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Lo staff di Trump sta prendendo le distanze dall'Alt-Right: diamo il benvenuto all'Alt-Light, l'estrema destra a basso contenuto antisemita.

Lo scorso 20 gennaio, mentre Donald Trump teneva il suo discorso di insediamento, nel Queens di New York avveniva un’altra inaugurazione: quella di He Will Not Divide Us.  I suoi creatori, Shia LaBeouf, Nastja Säde Rönkkö e Luke Turner, avevano deciso di montare una videocamera su una parete esterna del Museum of the Moving Image e di invitare il pubblico a ripetere la frase “He will not divide us” (“Lui non ci dividerà”) davanti ad essa, in mondovisione. Il livestreaming, visibile sull’home page del sito dell’iniziativa, sarebbe andato in onda in diretta 24 ore su 24 per tutta la durata del mandato Trump.

Nelle prime ore della diretta, molte persone hanno risposto all’invito di LaBeouf, Rönkkö & Turner. Quando mi sono sintonizzata sul livestreaming, poche ore dopo l’inaugurazione, Jaden Smith stava ripetendo (urlando) da ore il mantra, aiutato da una piccola folla di adolescenti e ventenni che parevano essere appena usciti da un casting per Dazed and Confused. C’era anche LaBeouf, che indossava un giubbotto di jeans imbottito e un berretto di lana rosso.

Il 26 gennaio ho rivisto l’attore e il pon pon del suo berretto incappando in un articolo del Guardian che ne segnalava l’arresto, avvenuto proprio presso l’installazione al Museum of the Moving Image. Qualche ora prima La Beouf aveva discusso con un venticinquenne, molto probabilmente sulla base di una divergenza politica, e lo scambio si era trasformato in una lite, durante la quale l’attore aveva tirato la sciarpa e graffiato l’ignoto avventore.

Nei primi articoli che segnalavano l’accaduto, si era puntato il dito contro un altro episodio che aveva coinvolto l’artista: un ragazzo lo aveva avvicinato, inquadrandosi al suo fianco con la videocamera dello smartphone rigorosamente accesa. Una volta ottenuta la sua fiducia, aveva pronunciato le parole “Hitler did nothing wrong” e in tutta risposta l’attore si era allontanato dal ragazzo dopo averlo spintonato lievemente. Il provocatore neonazista o presunto tale aveva usato gli stessi mezzi ipoteticamente positivi e intesi dagli organizzatori come strumenti unificatori – la videocamera e la fama di LaBeouf, entrambe garanzie di estrema visibilità e notorietà – per far ritorcere l’iniziativa su se stessa, fornendo inoltre prove inconfutabili per dimostrare la violenza dell’attore. A quanto pare il provocatore era un troll venuto da internet.

Anche se Reddit ha recentemente deciso di bannare due subreddit usati da membri dell’Alt-Right e supporter di Trump – r/altright e r/AlternativeRight – i centri di aggregazione del movimento di certo non mancano. Sono rimasti online altri subreddit (tra cui r/TheDonald), oltre a diverse altre piattaforme e app come 4chan, Discord (un servizio di chat per gamers), Voat, Tinychat. È proprio qui che diversi utenti prevalentemente anonimi, tra cui alcuni neonazisti, hanno discusso e diffuso diverse idee per contrastare e nel migliore dei casi sabotare He will not divide us.

Pare ad esempio che il 23 gennaio un sostenitore di Trump con un cappello molto simile a quello dei militari nazisti abbia pronunciato il codice neonazista “14 88” a favore di videocamera. Il primo numero corrisponde alle quattordici parole che compongono due slogan sulla purezza ariana coniati da un membro dell’organizzazione neonazista The Order e del Ku Klux Klan, David Lane. Il secondo numero fa invece riferimento all’ottava lettera dell’alfabeto, la h (molti neonazisti lo usano per dire Heil Hitler), ma anche agli Ottantotto Precetti, un’opera che contiene 88 norme per la preservazione della purezza ariana e la supremazia bianca scritta da, sì è sempre lui, David Lane.  Altri troll hanno usato He will not divide us per ottenere un secondo di gloria e l’acclamazione di molti sostenitori dell’Alt-Right. Una notte, nello spiazzo del Museum of the Moving Image ormai vuoto, due uomini mascherati hanno fatto a pezzi un peluche; i più moderati hanno scritto lo slogan Make America Great Again su un pezzo di carta; altri hanno indossato berretti pro-Trump o hanno fatto vedere il meme Pepe The Frog dallo schermo del loro telefono. Qualcuno ha cercato di incastrare i manifestanti impersonando una prostituta su Craiglist, nella speranza di organizzare un incontro davanti all’installazione e attirare l’attenzione della polizia in borghese che stava presidiando il posto. Alcuni utenti hanno addirittura cercato di identificare i manifestanti inquadrati dalla videocamera per poterli prendere di mira online.

Per l’Alt-Right, Shia LaBeouf rappresenta tante cose: l’élite hollywoodiana, il poster boy giovane e senza talento, l’agitatore politico senza ideali. Il fatto che sia ebreo non aiuta in ambienti di estrema destra.

In tutto questo la celebrità di Shia LaBeouf ha funto da catalizzatore. Personaggio controverso e conosciuto per alcune strambe installazioni e performance artistiche e per vari arresti, è uno di quegli attori la cui carriera nel mondo del cinema pare sia stata ormai subissata dall’immagine di provocatore irrequieto e imprevedibile. Per l’Alt-Right, rappresenta tante cose: l’élite hollywoodiana, il poster boy giovane e senza talento, l’agitatore politico senza ideali. Il fatto che Shia LaBeouf sia ebreo – solo sua madre è ebrea, ma lui si considera tale – non aiuta in questi ambienti di estrema destra. Non solo perché secondo molti membri dell’Alt-Right i media americani e Hollywood sono completamente dominati da persone di origine ebraica (la cosiddetta “lobby sionista”), ma perché una parte consistente del movimento appoggia posizioni esplicitamente antisemite.

La questione ebraica che divide il movimento e alcuni sostenitori del nuovo presidente è esplosa in occasione del DeploraBall, una celebrazione per l’insediamento di Trump alla Casa Bianca definita dagli stessi organizzatori “the biggest meme ever”. L’evento, svoltosi a Washington il 19 gennaio, è stato organizzato dal MAGA-3X, un gruppo di sostenitori di Trump unito dal motto intraducibile: “We memed a President into office”.

I problemi sono iniziati quando uno degli organizzatori ha iniziato a postare alcuni tweet antisemiti col proprio account Twitter, @bakedalaska. L’ex collaboratore di BuzzFeed, il cui vero nome è Anthime Gionet ma che si fa chiamare anche con l’alias Tim Treadstone, ha insultato Matt Lasner, un professore che avrebbe avvicinato Ivanka Trump su un volo, utilizzando un linguaggio omofobo e un simbolismo anti-Semita molto diffuso su Twitter. Le tre parentesi sono un simbolo (spesso inteso in senso denigratorio) usato per indicare il giudaismo e l’origine ebraica di una persona.

Il fondatore del sito Danger & Play Mike Cernovich, autodefinitosi nazionalista americano e misogino e tra gli organizzatori del DeploraBall, ha chiesto a Gionet di smetterla con i tweet antisemiti e, quando quest’ultimo ha continuato, ne ha concordato l’espulsione dall’evento. Cernovich è rimasto così a gestire il DeploraBall insieme a Jeff Giesea, un uomo molto vicino a Peter Thiel che come quest’ultimo è un imprenditore omosessuale e Repubblicano.

Cernovich e Giesea hanno fatto squadra contro Gionet nel tentativo di smarcarsi, in modo tanto implicito quanto evidente, dall’ala più estrema della destra alternativa se non da tutto il movimento, tant’è che sul sito del DeploraBall non vi è traccia della cosiddetta Alt-Right. Come si può notare leggendo la trascrizione del discorso con cui Giesea ha aperto l’evento, l’unica etichetta politica ricorrente è “Trumpism”.

La cacciata di Gionet è stata interpretata come uno smacco da parte di quel calderone di suprematisti bianchi, razzisti, antisemiti, troll che con le loro guerre virtuali e le loro campagne d’odio hanno contribuito alla vittoria di Donald Trump. Gli stessi che hanno suggerito, tramite diversi account Twitter anonimi, di sabotare il DeploraBall a suon di saluti nazisti. Andrew Anglin è una delle persone che più ha preso a cuore la questione Baked Alaska vs. Cernovich e Giesea. Fondatore di un sito apertamente neonazista, The Daily Stormer, Anglin è quel tipo di persona che suggerisce ai suoi lettori di creare finti account Twitter di persone nere per infiltrarsi nelle loro conversazioni (con tanto di istruzioni in merito al linguaggio, gli argomenti, lo stile delle immagini da postare ecc) e per ribellarsi contro la “purga” di repubblicani effettuata da Twitter dopo le elezioni dell’8 novembre. Il 27 dicembre Anglin ha pubblicato sul suo blog un post sulla faccenda DeploraBall, accompagnato da una vignetta che ritrae Baked Alaska sdraiato e colpito alle spalle da un coltello, sul cui manico è possibile riconoscere una stella di David.

Secondo Anglin, DeploraBall sarebbe una versione ripulita e pro-ebrei della conferenza del National Policy Institute dello scorso novembre, dove il presidente in carica Richard Spencer ha tenuto un discorso agghiacciante sulla supremazia dei bianchi e sulla vittoria di Trump accolto da diversi saluti nazisti. Un discorso iniziato con le parole “Heil Trump, heil our people, heil victory!”, in cui Spencer se l’è presa con la “Lügenpresse” (letteralmente, stampa che mente), prendendo in prestito il termine dalla propaganda nazista, che lo usava contro ebrei, comunisti e stampa internazionale. Spencer è la stessa persona al centro del dilemma “Is it OK to punch a Nazi?” dal 20 gennaio, il giorno in cui un manifestante gli ha tirato un pugno mentre rilasciava un’intervista.

È stato proprio Spencer, in una mail indirizzata al Daily Beast, a puntare il dito contro quella che lui ama definire Alt-Light: “Persone come Mike Cernovich e Milo [Yiannopoulos, di cui abbiamo parlato qui] non hanno un’ideologia; non hanno nemmeno delle vere politiche da indicare. Sono fan di Trump, vagamente conservatori e un po’ neoconservatori. Non gli piacciono le femministe e i social justice warriors; in altre parole, colgono i frutti attaccati ai rami più bassi”. In un altro passaggio ha aggiunto: “Chiaramente non apprezzano sempre la libertà di parola, soprattutto se riguarda la razza o l’attivismo e l’influenza ebraica”.

Da una parte c'è l’Alt-Light con conservatori appartenenti all’establishment o milionari; dall’altra l’Alt-Right di Spencer, Alvin e altri esponenti famosi, che non vogliono rinunciare a posizioni razziste e antisemite.

L’Alt-Light da una parte, dunque, costituita da conservatori appartenenti all’establishment o  milionari; dall’altra l’Alt-Right di Spencer, Alvin e altri esponenti più o meno famosi, che non vogliono rinunciare alle posizioni razziste ed antisemite e non sono altrettanto inseriti nell’élite di Washington. Trump, in tutto questo, che ruolo ha?

Dal punto di vista familiare, Trump si trova in una posizione particolare. Sua figlia Ivanka infatti si è convertita all’ebraismo ortodosso prima di sposare Jared Kushner nel 2009. Su Reddit si possono trovare molti esempi di sostenitori di Trump antisemiti che fanno i salti mortali nel tentativo di scindere le scelte personali e religiose di Ivanka da quelle politiche ed economiche di suo padre. Sul Washington Post Kelsey Osgood ha provato a rispondere alla domanda: “Può Donald Trump essere antisemita se sua figlia è ebrea?”. La risposta è sì.

Pur non avendo mai appoggiato apertamente posizioni antisemite, Trump ha spesso retwittato contenuti, meme e immagini da account gestiti da neo-nazisti e ha preso di mira personaggi come Soros e il CEO di Goldman Sachs Lloyd Blankfein (entrambi finanziatori di una startup fondata dal genero Jared Kushner e dal di lui fratello Josh) e altri miliardari di origine ebraica nel suo ultimo spot elettorale prima del voto dell’8 novembre. Anche la scelta di investire Steve Bannon, ex direttore esecutivo di Breitbart, della carica di Chief Strategist, la dice lunga su quanto Trump non usi la sua voce, ma si faccia spesso veicolo e specchio delle posizioni più violente dei suoi sostenitori e collaboratori.

In questo senso una delle tante polemiche ad aver colpito Trump pochi giorni dopo il suo insediamento, che riguarda il messaggio emesso dal presidente nella Giornata della Memoria in commemorazione delle vittime dell’Olocausto, è parecchio interessante.

Trump è stato infatti il primo tra i presidenti americani del secondo dopoguerra a non menzionare gli ebrei nel suo messaggio di cordoglio. Il portavoce Sean Spicer e il capo di gabinetto della Casa Bianca Reince Priebus non hanno esitato a difenderne la scelta: non si trattava infatti, a loro dire, di una mossa antiebraica, ma soltanto di un modo per riconoscere che la popolazione ebrea non è stata la sola vittima della persecuzione nazista. Poco cambia, per lo staff di Trump, se Obama e Clinton, tra gli altri, fossero riusciti a menzionare sia la popolazione ebraica che altri gruppi etnici e religiosi presi di mira dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Sulla questione ebraica, lo staff di Trump pare voler evitare a tutti i costi di schierarsi esplicitamente: omettere sia le offese dirette che le menzioni finora date per scontate alla popolazione ebraica potrebbe essere una strategia vincente per risultare inattaccabili e difficilmente etichettabili. Strizza l’occhio agli estremismi senza mai adottarne il linguaggio. Sarà la stessa strategia adottata dall’Alt-Light, quell’ala della nuova destra americana che secondo i detrattori si sta ripulendo? E se così fosse, i sostenitori di Trump più posizionati a destra saranno in grado di cogliere queste sfumature strategiche o vedranno solo un tradimento dei loro ideali?

Katie Notopolous ha ben documentato per BuzzFeed la crisi d’identità attualmente vissuta dall’Alt-Right: “What does it mean to be the ‘alt’ if you’re getting what you want?”. Ovvero: “Cosa vuol dire essere alternativi quando ottieni quello che vuoi?” Anche se non esiste una risposta precisa a questa domanda, non è impossibile immaginare che il movimento si spaccherà proprio su quei problemi, incongruenze e conflitti d’interesse che ha sempre additato quando erano rappresentati da Hillary Clinton: il sostegno delle banche e dei miliardari ebrei, la vicinanza all’establishment politico e mediatico, il politically correct.

Miriam Goi
Miriam Goi, nata nel 1990, scrive di trend, tv, cultura pop, femminismo e social media, su Soft Revolution Zine, VICE e altre riviste online.

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