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Dal cinema alla musica, l’immaginario dell’Italia a mano armata degli anni ’70 ha influenzato ogni branca dell’intrattenimento contemporaneo. Mancavano solo i videogiochi, ma Milanoir vuole cambiare la storia. Ne parliamo con Emmanuele Tornusciolo di Italo Games.

Raccontare Milano non è semplice. Solo in campo musicale ci si può perdere in ore d’ascolto di cantautorato: dai classici Dalla e Jannacci fino ai Baustelle e Dargen D’Amico, buoni eredi, a modo loro iconoclasti, di una tradizione autoriale che ha celebrato il capoluogo lombardo quale città all’avanguardia, anticipatrice del progresso, portatrice di innovazioni in ogni settore, seppur con un’anima provinciale che pensa in inglese ma risponde in siciliano. Milano non è però solo la capitale italiana della finanza, dell’industria o della moda, bensì anche l’innovatrice criminale. Dal secondo dopoguerra a oggi la malavita si è ammodernata, passando dalla ligera alle bande (Cavallero, Lutring, Vallanzasca) e, successivamente, al crimine organizzato internazionale; dalle rapine alle bische clandestine e alle estorsioni; dai colletti blu a quelli bianchi, soprattutto nel decennio della cosiddetta “Milano da bere”.

Storia della banda Cavallero, uno dei tanti classici di/con Volonté.

Questa storia è stata fonte d’ispirazione per un filone cinematografico che possiamo definire croce e delizia del cinema italiano, a metà tra il canto del cigno prima della decadenza e la conclamata espressione della stessa decadenza: parliamo del noir e del suo coevo pendant, il poliziottesco, che nel corso degli anni Settanta vide registi come Umberto Lenzi, Fernando Di Leo e Sergio Martini trasferire cronaca e leggenda in numerose pellicole girate sullo sfondo della madunina. E se alla lunga il genere è scaduto nel manierismo, perdendo il suo consenso di massa (complici anche le ripercussioni estetiche del riflusso degli anni ’80), a partire dai primi anni Zero il poliziottesco è stato riletto e nuovamente apprezzato tanto in Italia quanto all’estero, trovando in Quentin Tarantino uno dei suoi estimatori più accesi anche sul piano musicale (un ulteriore aiuto in tal senso è giunto dal rap, che negli scorsi quindici anni ha pescato a piene mani dal repertorio degli Osanna, di Franco Micalizzi, Luis Bacalov e Paolo Vasile).

Ma torniamo alla città. Di fronte a tutta questa tradizione, a chi oggi volesse raccontare Milano verrebbe la voce tremula: è un oggetto di non facile comprensione, specialmente per me che rischio di incarnare lo stereotipo del meridionale in cerca di fortuna. Quando incontro Emmanuele Tornusciolo di Italo Games non ho infatti chiaro cosa sia Milano: gli impegni sono stati parecchi, la mia esperienza visiva è limitata al Duomo e alle opere dei futuristi al Museo del Novecento; il resto del (poco) tempo l’ho passato a inseguire scadenze e coincidenze, a fare la conoscenza di metro e tram. Il mio incontro reale con la città inizia in medias res, e non c’è il tempo per i convenevoli: mi è di conforto solo la conoscenza del cinema e della musica, ai quali si aggiunge la prova della build di Milanoir che Emmanuele mi ha inviato qualche giorno prima dell’intervista, e che ho l’occasione di rigiocare prima di cominciare l’interrogatorio.

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Come la maggior parte degli studi italiani, anche Italo Games (evidente tributo alla Italo Disco, che solo a pensarci è nostalgia istantanea) è formata da pochissimi membri: Emmanuele e Gabriele Arnaboldi, rispettivamente sceneggiatore e programmatore di Milanoir, la loro opera prima. Per l’occasione, l’intervista sarà itinerante, Emmanuele ci condurrà attraverso alcune delle location principali del gioco, così da trovare le tracce della Milano noir.

Prismo: Domanda ovvia: sei nato a Milano? E, a prescindere dalla risposta, come ti è venuto in mente Milanoir?
Emmanuele Tornusciolo: Io sono di Milano, così come i miei genitori, però i nonni paterni sono di Benevento. Per quel che riguarda la seconda parte della domanda, da piccolo vidi dei filmini in super8 nei quali si vedevano mio padre e mio zio con mia nonna in giro per la città; molto più tardi iniziai a interessarmi ai poliziotteschi e al prog italiano anni Settanta: ecco, quando con Gabriele è venuto fuori il discorso “facciamo un videogioco” tutto questo mi è tornato alla mente e ho cominciato a scavare nelle memorie dei parenti, soprattutto di mio nonno, che è stato autista dell’ATM e mi ha raccontato moltissime storie della città, e di mio zio, che ha vissuto da adolescente quegli anni.

[Scendiamo in strada. Il rumore del traffico e dei tram interrompe la nostra conversazione. Subito accanto allo studio svoltiamo sotto un arco, in una strada privata, imbattendoci nel primo luogo significativo per il gioco: il cortile di una casa. Vedendo la mia sorpresa, Emmanuele sembra compiaciuto.]

Se le riconosci, il grafico ha fatto un buon lavoro: si tratta delle cosiddette “case di ringhiera”, una struttura tipica di Milano e provincia. Nasce come contesto di corte, umile, con famiglie povere che abitano l’una di fronte all’altra e condividono gli stessi spazi. Se ne vedono molte nei polizieschi anni ’70. Per Milanoir abbiamo deciso di riproporla trasformata in casa di piacere, per dare l’idea di luogo criminale. Tra l’altro il ballatoio, spazio stretto e lungo, è molto adatto al tutorial, affronti le meccaniche di base una alla volta.

La casa di viale Col di Lana che ha ispirato il primo livello.

[La passeggiata prosegue verso il deposito ATM di via Custodi, un altro degli scenari del gioco. Quando le porte si aprono sembra di entrare in un mondo metallico.]

Questo lo riconosco.
Infatti. La porta del deposito è perfettamente ricostruita in game, ma gli interni sono ovviamente stati stravolti per adattarsi alle esigenze del gioco. Il nostro intento non è documentaristico e, pertanto, le location non sono ricostruite in rapporto 1 a 1 con la realtà.

Beh, in ogni caso il tram è un coprotagonista del gioco: se ne vedono tantissimi.
Sì, infatti già che ci siamo potremmo fare Tram Simulator ’17. Scherzi a parte, è un mezzo iconico della città, perlomeno il modello Ventotto. Oltre a esso si potranno comunque guidare anche automobili, Apecar, una Vespa – per quanto sia consapevole che una Lambretta sarebbe stata più meneghina – e, ovviamente, gommoni sui Navigli. In genere, queste sezioni di inseguimento su veicoli servono a spezzare il ritmo tra le scene con dialoghi e le sparatorie.

‘Però la storia l'è minga finida/ Sora’l Navili gh'è n'altra vita’ (La canzon del Navili)

A proposito delle sparatorie: è possibile adottare un approccio stealth?
Entro certi limiti sì: è infatti possibile cogliere i nemici di sorpresa, ma alla fine lo scontro a fuoco sarà comunque inevitabile.

Scontri che, da quel che ho potuto vedere, non sono affatto facili.
No, e difatti abbiamo cercato di ridurre ogni eventuale frustrazione offrendo varietà all’interno delle varie situazioni, inserendo abilità e power up dal gusto cinematografico. Per esempio, al di là dell’arsenale a disposizione, si possono fare tiri angolari colpendo i cartelli stradali o utilizzare come molotov le bottiglie di J&B.

Come mai proprio il J&B?
Se ci fai caso il J&B – che nel gioco abbiamo rinominato J&P – è un autentico protagonista delle pellicole italiane anni Settanta, poiché all’epoca si faceva uso spregiudicato del product placement. Difatti il nostro grafico si è sbizzarrito a creare cartelli somiglianti agli originali inserendoli di forza negli scenari, un po’ come fecero nella vita reale quando decisero di coprire il palazzo di fronte al Duomo con insegne al neon. Confesso che quell’idea di modernità dato dalle luci pubblicitarie sullo skyline della città potrebbe essere un ottimo sfondo per il livello finale.

Whisky & taleggio

[Mentre parliamo arriviamo a Porta Ticinese, teatro dell’ultimo scontro tra Piero, il protagonista, e la sua nemesi dei primi capitoli, Ciro. Ancora una volta, Milanoir rielabora il luogo fisico in modo creativo: l’inquadratura è tutto, e la prospettiva aerea tramite cui si cattura la sparatoria si sposta con rapidi movimenti verticali man mano che si avanza verso il boss. Così facendo, la telecamera inquadra prima la base delle colonne, poi il corpo, e infine parte del colonnato e il timpano della porta (riconoscibile dalla scritta PACI POPVLORVM SOSPITAE), in un movimento di macchina tutto videoludico, molto old school.]

La passione per il cinema è evidente, a partire dai menù fino all’indicatore di salute del personaggio, è una pellicola che si brucia quando viene colpito…
L’idea era di giocare su due piani, intendendo la pellicola del gioco come la vita del protagonista. Il personaggio si muove all’interno di una storia che sarebbe stata, nella finzione del gioco, quella di un film. La sua vita sarebbe stata collegata a quella della pellicola, quindi se la pellicola brucia viene a mancare anche lui. Volevamo spingere di più su questo elemento, ad esempio con il fast-forward o con dei riavvolgimenti di pellicola, ma non volevamo creare il classico ralenti. Abbiamo anche pensato di dare al giocatore il controllo sulla pellicola, ma se avessimo spinto su questo elemento avremmo sicuramente perso qualcosa dal lato cinematografico.

La lavagna nello studio di Italo Games.

Parliamo della trama: com’è nata e, soprattutto, come si è sviluppata?
Ci ho messo tantissimo ad avere un’idea che fosse strutturata. Dopo aver scritto e riscritto tantissime storie diverse, ho deciso di partire dal triello de Il buono, il brutto, il cattivo: da lì sono andato a ritroso per ricostruire le fila principali della storia. Sceneggiando il soggetto – che ovviamente era scarno, all’inizio – ho poi aggiunto personaggi che si incontrano e interagiscono tra loro in determinati modi, così da caratterizzarli e spingere il giocatore a sospettare di questi rapporti. Dopodiché li ho fatti rientrare nelle meccaniche necessarie allo sviluppo del gioco. Ovviamente, il tutto è stato soggetto a un continuo lavoro di rielaborazione, di volta in volta forzato dalle esigenze del progetto o dai tempi di realizzazione.

A parte il western di Leone, qual è stata l’opera di riferimento per Milanoir?
Di tutti i poliziotteschi – esclusa la deriva comica tipo Er Monnezza, s’intende – Milano Calibro 9 è quello che più di altri mi ha dato l’idea per il taglio e l’ambientazione, ma naturalmente ci sono altri film dello stesso filone ai quali il gioco fa riferimento. Piero, per esempio, ricalca il protagonista di Tomas Milian in Milano odia: la polizia non può sparare, e nel gioco abbiamo ricostruito quasi fedelmente una scena di quel film. In generale, ci interessava creare un gioco in cui gli appassionati del genere potessero cogliere i riferimenti, ma che fosse giocabile anche da altri, italiani e non, per cui i rimandi sono più di natura cinematografica che di cronaca: ecco perché il gioco è molto crudo.

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NSFW/V.M.18: il trailer di Milano odia: la polizia non può sparare (1974).

Sempre in Milano Calibro 9, però, ci sono i due commissari – uno progressista e l’altro fascistone – che in un certo senso fotografano una realtà tangibile dell’epoca. Pur restando nell’ambito della finzione, avete fatto qualcosa di simile?
Inizialmente volevo dare un tono più politico al gioco, magari caratterizzando le zone della città in base al sentimento politico: banalmente, collocando elementi fascistoidi in centro, mentre in periferia, più di sinistra, mettere ragazzi pettinati e vestiti in modo diverso. Siccome però un simile uso sarebbe stato solo un orpello grafico, a quel punto avrei dovuto trovare modi per dare più spazio alla questione, appesantendo di conseguenza il gioco e rischiando addirittura di snaturarlo. Così ho scelto un approccio depoliticizzato.

Tarantino ha ripetutamente omaggiato il poliziottesco nei suoi film: come mai, secondo te, le storie criminali italiane – reali e cinematografiche – sono poco usate nel panorama videoludico?
Forse i team italiani le escludono temendo non abbiano appeal. È un peccato: al di là dei fatti storici, l’esistenza di un genere cinematografico così forte – ambientato non solo a Milano ma anche a Genova, Torino, Roma, Napoli – dovrebbe darci più coraggio. C’è addirittura un thriller, quasi horror, di Lucio Fulci ambientato in Basilicata, Non si sevizia un paperino, l’ambientazione può sembrare insolita ma è davvero un bel film. Sicuramente la riscoperta da parte di Tarantino di questo cinema ha fatto aprire gli occhi a tantissimi.

Per la musica, invece, avete pensato di tirare in mezzo i Calibro 35?
Siamo entrati in contatto con loro, ma abbiamo dovuto rinunciare per gli alti costi di registrazione in sala. In generale devo dire che la questione musicale è stata un travaglio: inizialmente eravamo partiti puntando al prog rock italiano degli anni ’70, tuttavia questa scelta non era sostenibile né come costi né sul piano tecnico. Innanzitutto, un brano prog ha un discorso musicale che si sarebbe sovrapposto a ciò che avviene sullo schermo e avrebbe costretto il giocatore a scegliere: o segui il brano oppure il gioco; in secondo luogo, siccome è necessario mandare in loop le tracce per inserirle nelle varie sezioni, il rischio era quello di stancare in fretta l’orecchio del giocatore. Così abbiamo optato per del funk risuonato in digitale con qualche leggera sonorità elettronica 8-bit, tipo Hotline Miami.

Pulp e cassoeula.

In effetti ho notato una qualche somiglianza con Hotline Miami…
È qualcosa che ha notato molta gente provando il gioco anche se ci sono delle differenze non secondarie: graficamente l’inquadratura è laterale per dare più profondità ai personaggi e agli ambienti, e poi il nostro gioco non è facile ma nemmeno così punitivo come Hotline Miami. Sicuramente l’accostamento mi lusinga perché è un gioco che ho apprezzato tantissimo.

[Nel frattempo siamo arrivati alla Basilica di San Lorenzo, sede di un livello ancora in fase di sviluppo embrionale. Emmanuele descrive come sarà strutturato il combattimento davanti alla basilica, di come verrà utilizzato il colonnato sul sagrato, e della scoperta, durante il primo sopralluogo, che la pianta circolare della basilica potrebbe essere un’arena perfetta per la boss fight.]

Tomas Milian/Giulio in Milano Odia, fonte d’ispirazione per Piero in Milanoir

Il viaggio di Piero e di Milanoir non è ancora finito, mi pare di capire. Il senso itinerante delle sue avventure è però già adesso molto forte; senza svelare troppo, puoi dirci da cosa è nato?
Il livello centrale del gioco sarà a ambientato al Parco Lambro ed è basato su I Guerrieri della Notte e sull’urbanistica di Milano. Analogamente al film di Hill, Piero viene mandato dal boss al Parco Lambro senza armi, per negoziare una tregua con la banda rivale. Naturalmente è una trappola da cui Piero deve fuggire; per cui scappa verso la metro, alla fermata Udine – esisteva già all’epoca, ho controllato – e una volta salito sul treno deve arrivare in testa, uccidere il guidatore, che continua a caricare nemici a ogni fermata, e arrivare in Duomo (una licenza poetico-urbanistica che ci siamo concessi dato che prendere la coincidenza in Loreto sarebbe stato un po’ troppo). Una volta sulla piazza deve proseguire nella fuga, arrivare in Cordusio, dirottare il 14 e arrivare in Giambellino che, oltre a essere il capolinea del tram, è anche la base della banda di Piero. Di più non posso dire perché rovinerei la sorpresa, ma anche perché dobbiamo ancora realizzare quanto detto, e probabilmente saranno apportati cambiamenti in corso d’opera.

[Di ritorno nello studio di Italo Games, rigiochiamo alla demo e la domanda sorge spontanea]

Com’è stata, finora, la tua esperienza di sviluppatore? Com’è fare videogiochi in Italia?
Questo è il primo gioco a cui lavoro, la prima storia che scrivo e il primo progetto che coordino. Per questo, mi ritrovo quotidianamente ad imparare le cose facendole per la prima volta; ne conseguono molti errori ma anche una sensazione di crescita costante.

Poiché è il primo gioco a cui lavoro, non mi sento in grado di rispondere sullo stato di salute della produzione videoludica indipendente italiana. Quel che posso dire è che le competenze qui non mancano. Stiamo lavorando con collaboratori esterni di altissimo livello e sono tutti italiani.

Emmanuele e Gabriele nello studio di Italo Games.

Avete già in mente, se non una data d’uscita, una tabella di marcia per i mesi successivi?
L’obiettivo che ci siamo posti è di terminare il gioco (avere la cosiddetta versione alfa, cioè tutti i livelli terminati e funzionanti da sottoporre ad un testing massiccio) per maggio di quest’anno. A quel punto non dovrebbero passare più di 3 o 4 mesi per la pubblicazione su pc, per le console bisognerà aspettare un po’ di più.

Matteo Cutrì
Fondatore di Decadentismo alcolico e altre voluttà. Declamatore per Roulette Russa Culturale su Radio Città del Capo. Collabora anche con IVIPRO e The Bottom Up. Il resto del tempo lo dedica alla contemplazione dell'effimero e a diventare duca di Normandia.

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