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Le immagini di Berlusconi che allatta un agnellino, porta a spasso il cane Dudù e mangia da McDonald’s sono le ultime fasi di un inquietante processo di “normalizzazione” e rivalutazione ironica della sua figura.

Nel 1991, David Foster Wallace pubblicò un saggio che per tutti i successivi venticinque anni sarà citato un po’ ovunque ma più come un santino per confermare di averlo letto, che non da utilizzare come filtro per interpretare e attraversare le complessità del ‘mondo nuovo’. E Unibus Pluram, pubblicato molto prima che Foster Wallace si trasformasse in un idolo post-mortem à la page da citare durante gli aperitivi giusti nei quartieri gentrificati di ogni città del mondo, era un campanello d’allarme verso l’ironia, la sua tendenza ad assorbire, normalizzare e disinnescare ogni analisi critica; annullare qualsiasi differenza in nome di una riscoperta vacuità post-ideologica; istituzionalizzare quello che in Italia chiamammo “riflusso”. Ironicamente (!), David Foster Wallace metteva in guardia anche verso l’atteggiamento dei suoi stessi fan, che lo trasformarono in una figurina da esporre per posizionarsi culturalmente. Trasformando il mondo complesso in una immensa flatlandia, spuntando totalmente le armi della critica, subendo la “presentificazione” per cui non esiste più il passato da cui imparare, né la tensione verso il futuro, ma solo l’istante, viviamo in un “supermarket dell’immaginario” dove le ‘merci’, attraverso un meccanismo diffuso di memefication, rifiutano il processo dialettico con il contesto e possono essere utilizzate in qualunque modo, più che depotenziate, ri-potenziate. Tutto è uguale a tutto, e se vale tutto, niente vale. Trent’anni dopo la pubblicazione di Watchmen, siamo come il Dottor Manhattan: costretti a vedere nello stesso momento il passato, il presente e il futuro, identifichiamo la realtà solo come somma di dinamiche e relazioni tra molecole senza coglierne le sfumature e i risultati.

La scorsa domenica l’Italia dei social network è stata invasa dall’immagine di Silvio Berlusconi che allatta un agnellino. Uno tsunami, una scossa tellurica che ha avuto pochi eguali nella storia della viralità. È solo l’ultimo capitolo di una “normalizzazione” che ha già potuto contare una puntata da McDonald’s, il racconto nostalgico del suo addio al Milan, e una più generale auto-narrazione ri-mediata attraverso i social. Tutto, ovviamente, in chiave elettorale. In questo periodo in cui sembra trionfare la retorica del populismo e della post-ideologia, e dove pure le armi della critica intellettuale e di avanguardia sembrano cadere nello stesso tranello, Berlusconi sembra scaldare i motori per giocarsi l’ennesima partita, forse l’ultima, consapevole di una cosa: il mondo in cui ci muoviamo è plasmato a sua immagine e somiglianza. Questo perché Berlusconi non è stato solo un fenomeno politico e un fenomeno culturale: è stato soprattutto un fenomeno psichico. Il risultato di un lungo processo di riconfigurazione dell’immaginario, dell’abito, di quello che Umberto Eco chiamava “il costume di casa”. L’ethos di un paese, la spinta verso cui tendere.

Berlusconi non è stato solo un fenomeno politico e un fenomeno culturale, è stato soprattutto un fenomeno psichico: il risultato di un lungo processo di riconfigurazione dell’immaginario.

Dal 1986 (anno in cui acquista il Milan) e il 1994 (anno della sua discesa in campo), l’Italia è cambiata sempre e solo nel segno indicato dal berlusconismo. Una figura iper-tradizionale ma in un certo senso di avanguardia: il self-made man che viene dalla strada, che può prendersi una birra con te giustificando i tuoi vizi, i tuoi segreti, le tue pulsioni nascoste e al tempo stesso promettere di farti fare una palata di soldi e farti vivere una vita pazzesca e invidiabile. Il tutto attraverso una lenta “persuasione occulta” operata dal più potente e pervasivo apparato mediatico mai immaginato e concepito che è stato, a pensarci bene, il più grande laboratorio ideologico per il Ventunesimo secolo. Liberando gli istinti, i costumi, le pulsioni corporali; mostrando la contraddizione – da lui perfettamente incarnata – tra pubbliche virtù e vizi privati; fornendo il terreno per far crescere il “regno dei piaceri” contro il regno dei doveri, Berlusconi ha riconvertito i meccanismi cognitivi dell’elettorato, costruito la “cornice”, il frame, in cui ci muoviamo. Cos’è il Gabibbo se non il primo giustiziere ad instillare nella mente della gggente il germe della rivolta anti-casta? Da dove arriva la nostra passione per gli animali che fanno le cose buffe su Facebook se non da Paperissima Sprint? (il che forse suggerisce la necessità di studiare Antonio Ricci – non a caso ligure e amico di Grillo – come eminenza grigia del “mondo a venire”) E come mai i trentenni di oggi sono già incagliati in un meccanismo nostalgico fatto di sigle di cartoni animati giapponesi e concerti di Cristina D’Avena che hanno fornito materiale per un pessimo libro wannabe generazionale?

Fosse solo così, non ci sarebbe niente di nuovo. Steve Jobs era convinto che le persone non sapessero quello che volevano fino a quando non lo vedevano, e Berlusconi, come ogni pubblicitario che si rispetti, non ha fatto altro che creare una domanda per cui aveva già pronta l’offerta: la domanda di se stesso. Quello che però sta succedendo adesso è un po’ più complesso e, forse, più pericoloso. La figura di Berlusconi, priva del giudizio della Storia, potenziata dalla “presentificazione” e avendo sconfitto lo spazio-tempo, sta beneficiando di una vera e propria rivalutazione ironica. Il Berlusconi nonno, che beve una spremuta d’arancia, si propone come “padre del paese” contro i cattivi populisti che urlano e dicono cose orribili (facendo dimenticare di essere stato proprio lui quel populista che urlava cose orribili), che prima si fa vedere a passeggio con l’ovviamente adorabile cane Dudù per poi sublimare allattando un altrettanto ovviamente adorabile agnellino. Questa rivalutazione ironica da un lato disinnesca ogni possibilità di giudizio e bolla ogni posizione critica come “moralista”; dall’altro abbassa le difese immunitarie e i filtri analitici per diventare consenso inconsapevole, sotterraneo, strisciante. Il trionfo dell’“innocuo”, la Berluscuteness.

Questo processo è stato possibile perché Silvio Berlusconi non è solo un discusso uomo d’affari o un eminente politico che ha vinto quasi tutte le campagne elettorali cui ha partecipato, ma è un “fenomeno”. È questa la differenza fondamentale tra Trump e Berlusconi. È questo il motivo per cui, a mio avviso, senza Berlusconi non ci sarebbe stato Trump. Ci sono due temi, qui: fare i conti con Berlusconi, e fare i conti con il berlusconismo. Il primo è un uomo, larger than life, ricco e potente, ma pur sempre un uomo. Il secondo è il frutto di un’ingegneria sociale e culturale che si può scardinare solo con un drastico, radicale, profondo e altrettanto lungo (e per questo molto complicato, se non impossibile) cambio di paradigma.

Personalmente, ho capito che questa nazione non avrebbe mai fatto veramente i conti con il berlusconismo il 10 gennaio 2013. Quel giorno, Berlusconi, con un colpo di genio che solo i pugili feriti, ammaccati, messi all’angolo e osteggiati da tutto lo stadio – con pure l’arbitro contro – ma dotato di quello straordinario talento che poi diventa puro ‘cinema’, tira fuori un fazzoletto e pulisce la sedia su cui era seduto il suo avversario, il Mike Tyson del giornalismo: Marco Travaglio. In quel momento Berlusconi, ospite da Santoro, non ha solo vinto il duello, ma ha completamente rovesciato il tavolo, modificato le regole del gioco un’altra volta e guadagnato un momentum significativo per gli ultimi giorni di campagna elettorale. Vi ricordate il contesto? Berlusconi dato morto da tutti i sondaggi, ai minimi storici di popolarità; il centrosinistra retto da Pierluigi Bersani in vantaggio e destinato a un’agile vittoria; ancora nessuno riusciva a decifrare la dimensione del Movimento 5 Stelle. Per Marco Travaglio, in quel momento storico assurto a ruolo di catalizzatore e decifratore degli umori (anche bassi) di un popolo bipartisan che voleva semplicemente una nuova stagione, era l’incontro decisivo, il sogno di una vita. Guardate il video: è emozionatissimo.

carico il video...

Un conto è snocciolare dati e sentenze contro i primi politici e corifei mandati apposta a farsi massacrare; un altro è avere davanti Berlusconi. Lui incassa. Ride. Finge disinvoltura. Tutti i film sulla boxe dicono che la prima qualità di un pugile è quella di incassare un colpo in più dell’avversario. Essere resistenti. Berlusconi incassa senza battere ciglio. Poi comincia ad attaccare a sua volta. Un crescendo. Usa le armi dell’avversario e Travaglio è preso di sorpresa. Poi arriva il caos, l’arbitro interpreta il regolamento e lo toglie dal suo angolo, portandolo alla sedia. Ed eccolo lì, il gesto. Un gesto che non va interpretato come un colpo di teatro, come un siparietto comico, ma come un gesto che agisce sui meccanismi psichici profondi di chi guarda. Dal giorno dopo, infatti, accade l’impensabile: Berlusconi comincia a salire nei sondaggi. Se ne torna a parlare. Diventa di nuovo il centro del dibattito. Il 25 febbraio 2013 la sua coalizione prende il 29.18%.

Oggi cosa sta succedendo? Ovviamente si sta delineando l’orizzonte della prossima campagna elettorale, con Berlusconi pronto a rimettersi in marcia (in attesa che la corte di Strasburgo si pronunci sulla legge Severino che lo ha reso incandidabile). Secondo un recente articolo di Marco Damilano per l’Espresso, Berlusconi è ancora l’unico in grado di rifederare le destre (da quelle governiste di Alfano & soci a quelle “estreme” di Salvini e Meloni) grazie alle alchimie garantite da una legge elettorale proporzionale e – al tempo stesso – l’unico in grado di coalizzare contro di sé tutto il popolo della sinistra, dal Pd in poi, per via di quel fenomeno psichico, appunto, che vede in Berlusconi l’alfa e l’omega della vita pubblica del paese, nuovo “muro di Berlino” a cui si è a favore o contro. Se la sfida diventa sconfiggere il Movimento 5 Stelle, coalizzare i due poli ‘storici’ è l’unica soluzione.

Ma c’è un altro aspetto da considerare, ed è qui che entra in azione la Berluscuteness. Agendo in un contesto in cui esiste solo il presente, Berlusconi di colpo non è più l’uomo che negli anni si è reso protagonista di frasi come “In tre anni sconfiggeremo il cancro” o “Eluana Englaro può ancora avere dei figli”; non è più il politico che entra a Strasburgo o nei vertici internazionali e dà del kapò a Martin Schulz; non è più l’uomo delle leggi ad personam sotto i cui governi è esploso il debito pubblico; il Primo Ministro durante il G8 di Genova e che nel 2009 prometteva di ricostruire l’Aquila in pochi mesi. Disinnescando la critica, depotenziando lo ‘sguardo morale’ e annullando di fatto il giudizio di valore, Berlusconi è semplicemente un vecchietto che allatta un agnellino nella sua ultima evoluzione in difensore dei diritti degli animali. Un vecchietto che fa cose normali, ma che è comunque Silvio Berlusconi, ed è comunque estremamente riconoscibile, estremamente identificabile e fornisce quindi una variazione sul tema del romanzo della sua vita.

Volendo, possiamo legare questo fenomeno alle strategie di persuasione occulta con cui le istanze dell’alt-right possono diventare identificabili e capaci di costruire il frame anche nel nostro paese attraverso le pagine Facebook “bomberiste”, come discusso su Vice qui e qui (dove non a caso Berlusconi è presente come meme di bomber supremo). Unire a questo aspetto quello del Berlusconi “carino” e “innocuo”, vuol dire costruire una strategia di attacco che colpisce là dove le difese immunitarie sono abbassate. Del resto, l’utenza di queste pagine ha tra i venti e i trent’anni, e sono le generazioni che in questo paese hanno sempre e solo visto l’orizzonte di Berlusconi. I primi, vedendone già i segni cascanti della macchietta di se stesso impegnata nella battaglia contro il “complotto globale” ai suoi danni (e sappiamo bene come questo sia un argomento sempre molto forte e convincente per la costruzione della mentalità civica dell’individuo italiano); i secondi, avendo mosso i primi passi attorno al 1994, anno della discesa in campo di Berlusconi.

La strategia migliore del Diavolo è convincerti che non esiste. Nel momento in cui ogni analisi del reale viene accompagnata dalla frase “e fattela una risata”, capisci che il pericolo è molto più grave del previsto. Sottovalutare le cose perché ormai non esistono più differenze, è il risultato di anni e anni di “riflusso”, disimpegno e deconcentrazione. In questo Berlusconi è davvero la realizzazione massima del “postmoderno”. Non è solo il compimento dell’ultimo uomo attraverso cui Francis Fukuyama prefigurava la “fine della Storia” (la democrazia liberale come ultimo stadio dell’evoluzione per poi lasciare spazio all’utopia del mercato decretandone l’inefficienza: vi suona familiare? Una tesi leggermente sconfessata anche dal suo stesso autore); non è solo la realizzazione farsesca della tragedia di questa stessa Storia; non è solo il “corpo” ipertrofico, eterno, oltre la morte, che include in sé il governo, il populismo, la lotta e l’Italia nuova e quella vecchia; ma è anche e soprattutto la lente interpretativa utilizzabile da chiunque per portare avanti qualsiasi argomento valido per dire qualsiasi cosa. Anche attraverso quel corto circuito mentale totale che porta la rivalutazione ironica a sfondare “a sinistra” attraverso gli hipster che condividono quelle stesse citazioni di David Foster Wallace accanto a fotomontaggi in cui Berlusconi si cura dell’agnellino sulla copertina di quel capolavoro di teenage symphonies to God che è Pet Sounds dei Beach Boys.

Hamilton Santià
Abita a Torino da trent'anni. Ha un dottorato. Si occupa di comunicazione politica. Collabora con vari siti e riviste ma lo trovate principalmente su Rolling Stone.

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