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Dalla serie anime alle collaborazioni con le case di moda: storia del manga che stiamo cominciando a capire a 30 anni dalla sua nascita.

È incredibile come ultimamente tutti i nuovi trend siano annunciati usando il linguaggio dei meme. È incredibile, per esempio, che un giorno, dal nulla, mi sia ritrovato di fronte a un post proveniente dalla pagina Facebook di Tassoni che raffigurava King Crimson, uno dei personaggi più famosi della quinta serie di JoJo, nell’atto di bere la gustosa cedrata.

Le bizzarre avventure di JoJo è un fumetto Giapponese scritto e disegnato da Hiroiko Araki dalla notevole longevità, dato che ha compiuto quest’anno trent’anni. E lo stile della serie si legava perfettamente a quell’estetica vaporwave, utilizzata ironicamente o meno nei riguardi di molti dei fenomeni culturali italiani dagli anni ’60 in poi, proprio come la Tassoni. Ma restavo spaesato di fronte a tale accostamento. Quand’è che un fumetto giapponese così poco conosciuto in Italia diventa parte del lavoro di un social media manager?

Le origini
La risposta sta nella lunga storia del titolo, quindi cominciamo dall’inizio. Ho iniziato a leggere Le Bizzarre avventure di JoJo (JoJo no Kimyō na Bōken) nel 1999, quando veniva pubblicato mensilmente in Italia da Star Comics. Avevo 14 anni e rimasi completamente assorbito dal mondo costruito da Araki, che in pochi numeri spazzò via l’idea di fumetti giapponesi che mi ero costruito, fatta di Dragonball e Ranma ½.

In una settimana, ricordo, lessi tutta la serie, rimanendo a casa. Non ero malato: rimasi a casa perché volevo leggere JoJo.

A grandi linee, JoJo è un fumetto che parla delle vicende della famiglia Joestar e dei suoi discendenti a partire dalla fine dell’800. I Joestar hanno in comune poteri particolari e la capacità di ritrovarsi costantemente all’interno di situazioni assurde; le saghe sono quasi completamente slegate tra di loro e ambientate praticamente in tutti gli angoli del mondo. La loro cronologia arriva fino al 2011 con Stone Ocean.

Come accennato prima, all’inizio JoJo non aveva peculiarità che lo distinguessero dagli altri fumetti: le prime due serie proponevano scontri con vampiri e superuomini maya combattuti a suon di Hamon, una tecnica a onde che, grazie a una dinamica analoga a quella dei raggi solari, era in grado di squagliare (letteralmente) i vampiri o i vari mostri di turno. Lo stile era abbastanza realistico e solo a volte scadeva nell’irreale perfezione dei corpi dei personaggi.

Nonostante le discrete vendite, la serie in Italia non riesce a trovare un suo pubblico abbastanza ampio, oscurata da film americani e Ken il guerriero.

I personaggi spesso sceglievano di ingaggiare combattimenti mortali vestiti solo di un perizoma, tanto per sottolineare il discorso.

Gli Stand e la svolta
È con Stardust Crusaders, terza serie di JoJo, che Araki introduce il concetto di Stand – e tutto cambia. Lo Stand è la manifestazione di uno spirito, un’energia interiore che sta sempre accanto al personaggio ed è rappresentata come una figura spesso antropomorfa in grado di donare poteri sovrannaturali. Un’idea rivoluzionaria, che nel corso degli anni ispirerà svariati titoli sempre nel genere shōnen, come l’acclamato Shaman King, il franchise di Blue Dragon, e il molto più recente Bleach! Gli Stand possono essere dei muscolosi guerrieri o ibridi tra mostri e macchine; sono in grado di divorare se stessi per aprire varchi dimensionali; donano poteri semplici come quello di governare il fuoco ma anche la capacità di trasformare il proprio avversario in una bambola voodoo nel caso di sconfitta a un videogame. Si manifesteranno negli anni persino sotto forma di spade, di navi, di tralicci.

Il concetto ha una presa immediata sui lettori. Finalmente Araki aveva trovato il suo folle trademark.

Il pubblico giapponese rimane stregato non solo da questa innovativa idea, ma anche dall’atmosfera malinconica e suggestiva del viaggio verso il Cairo che i protagonisti compiono nel corso della serie: l’Egitto è infatti presente in maniera costante, nei costumi e nei paesaggi, e il pubblico giapponese (come quello occidentale più tardi) imparerà ad amarlo.

Gli anni ’90
Con la serie seguente e gli anni ’90, mentre Goku continua ad attenersi fermamente alle meccaniche shōnen, JoJo cresce e fiorisce: Diamond Is Unbreakable è forse la serie della conferma per Araki, e non è un caso che nel 2016, quando verrà trasposta nell’ormai conosciutissima serie anime, sarà a tutti gli effetti l’apripista per la diffusione e l’introduzione del mondo di JoJo nella cultura italica.

Ma andiamo con ordine. In Diamond Is Unbreakable, Araki spinge l’acceleratore, slegando la trama dalle vicende delle altre serie e rendendola più sperimentale: non si tratta più di un fumetto esplicitamente action o shōnen, ma anche di un giallo dalle tinte crime e horror. La serie termina nel 1996, lasciando spazio ad altri twist: con Vento Aureo cambia definitivamente il modo di ritrarre i fisici: non vediamo più i body builder delle serie precedenti (ricordiamo che Josuke, il protagonista di Diamond Is Unbreakable è un ragazzetto di 16 anni col fisico di Dolph Lundgren) e soprattutto, dopo qualche indizio presente nella quarta serie, Araki svela in tutto il suo splendore l’amore per l’Italia e la moda. Vento Aureo è completamente ambientato in Italia e presenta una serie di personaggi con nomi e caratteristiche comuni nel nostro paese. Fisicamente i personaggi appaiono magri, asciutti e abbigliati di tutto punto.

Una delle tesi più accreditate su internet riguardo il funzionamento di King Crimson.

In questa serie Araki commette però un primo passo falso che contribuirà paradossalmente a rendere ancora più cult tutto il fumetto: in passato si era dimostrato meticoloso nei confronti del lettore, cercando in tutti i modi di dare spiegazioni più o meno logiche alle stramberie che accadevano sulle pagine di JoJo. Ma la sua attenzione verso la coerenza tra il mondo reale e quello creato sulle sue pagine si scontra con un deciso aumento della portata surreale degli Stand: durante il combattimento finale della serie, infatti, di fronte allo scontro tra il protagonista della serie e lo stand King Crimson diviene impossibile dare una spiegazione logica a quello che sta succedendo. I combattimenti, seppur gloriosi come sempre, cominciano ad assumere caratteristiche parecchio confuse. L’incomprensibilità dei poteri del nemico arriva a intaccare forse per sempre la sospensione dell’incredulità del lettore e, com’è ormai prassi di questi tempi, diventa un meme che ancora riecheggia online.

Il collasso su se stessi: Stone Ocean
L’opera di Araki era cambiata in maniera inaspettata e rapidissima. Il guizzo creativo degli Stand aveva dato il via a una serie di idee incredibilmente fantasiose e per molti versi visionarie che l’autore aveva esplorato in lungo e in largo. Ma a un tratto era diventato chiaro che l’immenso sforzo di inventiva nel creare personaggi e poteri Stand sempre nuovi aveva smesso di dare i suoi frutti. JoJo si stava “accartocciando” su se stesso: le dinamiche si facevano sempre più meccaniche con scontri e poteri senza alcun riferimento alle serie passate; allo stesso tempo nessuna nuova spinta veniva dalla trama, particolarmente poco efficace in questo capitolo. Intanto l’attenzione verso la moda, riflessa anche nei nomi dei personaggi, spesso ispirati a famosi stilisti italiani e non, esplodeva definitivamente arrivando persino a dare vita ad una collaborazione tra Araki e Gucci per una campagna del 2013.

La collabo JoJo-Gucci.

La vittima di tutto questo è stata la storia: la sesta serie è tuttora la meno apprezzata, come conferma il numero di copie vendute, tornato drasticamente ai livelli della prima serie.

In tutto questo, Araki, quasi in modo climatico, fa di nuovo leva sul suo indomabile spirito creativo e compie un gesto piuttosto simbolico nei confronti della serie: fa finire l’universo. Grazie a un potere Stand, l’universo in cui tutte le serie erano state ambientate trova la sua fine, e tramite l’accelerazione temporale, un nuovo universo viene creato. Per quanto incomprensibile e assurdo, il fast forward temporale con conseguente fine del mondo, pone in maniera definita le basi per quello che sarà poi a tutti gli effetti un reboot.

Il presente e il futuro
L’ultimo gesto compiuto da Araki aveva lasciato intuire a noi lettori quella che si poteva tranquillamente considerare come la fine di JoJo. Nel corso del 2003 Araki ha smesso di parlare del suo lavoro, pur evitando di decretarne la fine. Quando tutto sembrava perso ecco che, l’anno dopo, viene annunciata a sorpresa Steel Ball Run, una nuova serie.

Attenzione però, da qui in poi Araki sembra cosciente del punto raggiunto in Stone Ocean e perde qualunque intenzione di coerenza (almeno nei temi e nelle meccaniche): la settima serie appare come un gigantesco remix di tutto l’universo JoJo, riuscendo a dare una ventata di freschezza senza innovare mai concretamente le conclamate dinamiche. La storia ricomincia dalla fine dell’800 con personaggi che sono versioni alternative di quelli delle serie precedenti, con poteri affini ma allo stesso tempo diversi. Anche se la ragione stessa di questo reboot non è chiara, i fan sembrano apprezzare anche grazie al contesto inusuale – la serie è ambientata durante una corsa di cavalli, con un protagonista paraplegico ma in grado di montare e con Stand che si manifestano in modo diverso, meno “fisico”. Anche la cadenza cambia, allineandosi al trend di molti titoli di culto, quello aperiodico. La serie ne trae immediato giovamento e l’autore riesce comunque a portarla a compimento nel giro di sette anni.

Quella successiva, iniziata nel 2011 e ancora in corso, partirà invece da una realtà alternativa proveniente dalla cittadina di Morioh, teatro dell’originale quinta, che prenderà il nome di Jojolion.

JoJo oggi
Date le premesse strampalate, assurde, ma in ogni caso singolarissime, ad oggi risulta sicuramente più chiaro il modo in cui Le bizzare avventure di JoJo si è affermato all’interno della nostra cultura e di quella mondiale. I meriti di Araki sono l’aver compiuto un processo creativo che raramente si è attenuto ai principi non solo del genere shōnen (il manga viene infatti definito anche seinen a partire dalla terza serie in poi) ma anche alla coerenza nei riguardi di se stesso. Questo ha creato un interesse per il fumetto di tipo meta, nel senso che oltrepassa il valore intrinseco del fumetto e dei suoi eventi, manifestandosi più che altro in modi non canonici per il genere, vedi infatti l’incredibile numero di meme e di inside jokes presenti all’interno dei più disparati thread sparsi sulla rete (finendo nel profilo Facebook di Tassoni, come abbiamo visto). Ciò che sembra incomprensibile arriva a essere rilevante per il pubblico (italiano e non) proprio grazie alla sua incoerenza. E, per quanto assurdo possa sembrare, è forse questo il maggiore punto di forza nel processo di diffusione dell’opera.

Lo sviluppo di JoJo negli anni è risultato imprevedibile: è cambiato radicalmente e rapidamente, tanto da acquistare rilevanza anche anni dopo la pubblicazione. La crescita di JoJo è davvero un caso a parte.

La creazione di un mondo basato su delle regole di per sé inusuali e alcune volte incoerenti è servito solo temporaneamente a frenare la diffusione tra i lettori. Come accennato prima, la vera esplosione in Italia è avvenuta con la pubblicazione della serie anime della quinta stagione, incredibilmente fedele al fumetto originale. Ed è proprio sulla base di un culto, già da anni presente all’interno di una cultura strettamente web, che l’anime consacra JoJo come fenomeno non solo di nicchia, ma anche popolarmente accettato e discusso. Intanto, oltreoceano il trend non si è sicuramente arrestato: tornando a King Crimson, poco tempo fa mi sono imbattuto in un post di Robert Fripp, cantante dei King Crimson (la band, in questo caso) colpito dalla curiosità verso il personaggio del manga, che cercava con pessimi risultati di dire la sua sull’argomento. Purtroppo non c’è riuscito. Come non c’è ancora riuscita tutta la rete, anche se ad oggi, pare non avere nessuna intenzione di smettere di interessarsene.

Matteo Corradini
Classe '85 scrive per lavoro in televisione e su internet, e per passione di fumetti e videogames. Partecipa a The Pills dal 2011.

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