Che il regista di Cannibal Holocaust sia stato condannato a quattro mesi di reclusione non stupisce. Che il suo maestro fosse Rossellini, sì.
Squilla il telefono. Antonello Geleng, scenografo, è disteso sul letto di un misero albergo colombiano, con la fronte imperlata di sudore e la finestra spalancata sulla notte calda e appiccicosa. Si porta la cornetta all’orecchio cercando di muoversi il meno possibile. È Ruggero Deodato, dalla stanza accanto.
Antonello?
Dimmi Ruggero.
Domani mattina impaliamo una ragazza.
L’8 febbraio 1980, a Milano, c’è la prima assoluta di Cannibal Holocaust. Dopo un paio di revisioni la censura ha concesso il nulla osta al film, vietandolo ai minori di 18 anni e tagliandolo inaspettatamente in pochissime scene. In città sono già state affisse numerose locandine, sulle quali campeggia, terrificante, l’immagine di una giovane india impalata e coperta di sangue. Circa trent’anni dopo Tarantino chiederà personalmente a Deodato quanto gli costò quell’effetto speciale. Deodato gli spiegò che attaccarono un sedile di bicicletta ad un palo, fecero sedere la ragazza e le fecero tenere un pezzo di legno in bocca, poi la ricoprirono di sangue. 10 dollari in tutto.
Leticia è la città più a sud della Colombia, un piccolo porto sul Rio delle Amazzoni, incastrata al confine tra Perù e Brasile, centro del narcotraffico continentale e quasi nel mezzo dei 7 milioni di chilometri quadrati di Foresta Amazzonica. Ruggero Deodato e una piccola troupe arrivano a Leticia nel 1979. La cittadina è isolata e vive di un turismo primitivo; Deodato dichiarerà che un giorno denunciò un safari dove ricchi uomini bianchi, pagando una guida del posto, venivano condotti nella foresta per sparare agli indigeni.
La troupe si sistema in un albergo. Ogni mattina prendono delle barchette a motore e si addentrano nella foresta a scovare location per girare, senza un’idea precisa di quello che troveranno. Deodato si è convinto che gli indios brasiliani siano i più svegli, quelli più adatti per recitare nel film. Ogni giorno si addentra nella giungla seguendo gli indigeni che si aprono una via tra la fitta vegetazione a colpi di machete e portano gli operatori e gli attori in angoli vergini dell’Amazzonia. Deodato paga gli indigeni per recitare, o meglio, paga il capo tribù, che spende tutto in liquore ed è sempre ubriaco, anche durante le riprese.
Ogni sera Deodato torna in albergo e aspetta la telefonata di Franco Palaggi, produttore del film, che da Milano lo aggiorna sulle case di distribuzione che lo stanno acquistando. Gli operatori di giorno in giorno spediscono brevi estratti di pellicola a Palaggi, il quale li usa per vendere il film in giro per il mondo, anche se non è ancora finito. Su Cannibal Holocaust le aspettative sono altissime.
L’Italia si è inventata questo nuovo horror senza buio: sole accecante, giungla, ambientazioni esotiche e misteriose, ambientazioni esotiche e misteriose dove costa zero girare un film, donne poco vestite facili allo svestirsi, tribù selvagge che compiono impensabili riti sessuali e cannibalismo, animali selvaggi e pericolosi, sangue, budella, stupri, torture, sesso, avventura. I cosiddetti cannibal movie sono in ascesa in Europa e nel mondo. Dopo i successi di Il paese del sesso selvaggio (1972) di Umberto Lenzi e di Ultimo mondo cannibale (1977), dello stesso Deodato, un gruppo di produttori tedeschi si era presentato dal regista romano con novantamila marchi. Volevano un nuovo cannibal, qualcosa di memorabile.
Cannibal Holocaust si trova all’apice di una strategia produttiva tipica di alcune produzioni horror tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, basata su un rapporto di contrattazione e di compromesso con la censura. I film horror vivono, per definizione, della loro natura violenta ed estrema (almeno la maggior parte di essi). Questo li veicola commercialmente e li mette in competizione con un vasto mercato di prodotti simili, tutti pensati per un pubblico amante dei contenuti violenti, scioccanti, sangue, budella, schifi etc. In questo sistema, per un film horror, non avere almeno il divieto ai minori di 14 anni è penalizzante (minimo). Parliamoci chiaro, se non vieni vietato ai minori non sei nessuno. Significa che la commissione di censura, compresa di docente in psicologia dell’età evolutiva, docente in pedagogia e rappresentante dell’associazione genitori, ha visionato il tuo film e ha deciso: “Sì, mia figlia di 12 anni lo può vedere”. Non sei nessuno. Di conseguenza le produzioni caricano i film di sangue, violenza, sbudellamenti, sesso e tutto il resto, e poi, in sede di revisione, contrattano il massimo del divieto tagliando il meno possibile. Questo gioco di equilibrismo tra il divieto totale e il divieto ai 18 anni, alla fine degli anni ’70, è al suo culmine (non è un atteggiamento sistematico, ma una tendenza riscontrabile in moltissime produzioni di cinema horror e hard). Cannibal Holocaust è figlio di questo sistema e porta il limite oltre il limite, usando tutti i linguaggi, i trucchi, e il cinismo che ha a disposizione, creando un film unico, sospeso per sempre nella storia del cinema horror e non solo.
L'Italia si è inventata questo nuovo horror senza buio: sole accecante, giungla, ambientazioni esotiche e misteriose.
Torniamo a noi.
Squilla il telefono. Deodato è in albergo, si tampona il sudore sul collo con un asciugamano mentre si appunta delle idee su un quaderno. Alza il telefono, è il produttore Franco Palaggi, da Milano.
Ruggero?
Ciao Franco.
Ruggero ammazza chi te pare, fai quello che ti pare, perché qui comprano tutto, tutto.
Questi dialoghi che vi propongo non sono completamente inventati. Certo, qualche dettaglio ambientale me lo sono immaginato per amore di narrazione, ma le situazione sono raccontate da Deodato in diverse interviste. Andiamo avanti.
Deodato è spronato dalla produzione a calcare la mano sulle scene di violenza. Lavora senza una sceneggiatura e prosegue le riprese a braccio, inventando di giorno in giorno nuove situazioni, lasciandosi indirizzare da quello che trova nella giungla durante le spedizioni giornaliere. L’unica cosa molto chiara nella sua testa è la struttura narrativa alla base del film. Due parti. Nella prima l’antropologo Harold Monroe si mette alla ricerca di quattro reporter dispersi nella giungla, trova degli scheletri e delle pellicole. Porta le pellicole all’emittente BDC di New York e le visiona. Nella seconda parte vediamo il contenuto delle pellicole, che sono il materiale girato dai quattro reporter assetati di scoop giornalistici. Scopriamo che i quattro reporter – mandati a fare un documentario sulle tribù cannibali dell’Amazzonia – uccidono, torturano, bruciano, stuprano, creando scenari da incubo per il loro reportage, con l’intenzione poi di montare le scene e spacciare il tutto come un’ambientazione autentica, propria della cultura sanguinaria degli indigeni. La seconda parte naturalmente è quella fondamentale, e nella testa di Deodato deve essere iperrealistica, lo spettatore deve credere che sia un documentario vero. Come?
Il realismo è stato da sempre una fissazione per Deodato. A 14 anni il giovane Ruggero vive ai Parioli. Negli anni comincia a frequentare Cinecittà, rimedia qualche particina e si interessa di cinema. Al tempo è molto amico di Lorenzo, un ragazzo che abita nel suo palazzo. D’estate lo raggiunge nella casa a Santa Marinella per fare le vacanze. Un giorno il padre di Lorenzo gli dice:
Ruggerino perché non vieni con me a farmi da assistente?
Il padre di Lorenzo è un regista. Si chiamava Roberto. Roberto Rossellini. In quel momento Deodato comincia la sua gavetta come regista, partendo come terzo assistente e scalando posizioni con il tempo, ma soprattutto comincia ad elaborare un suo amore per il realismo, potendone ammirare l’essenza direttamente dal maestro.
L’altra grande ispirazione di Deodato sono i Mondo movie. Questi collage di documentari nascono negli anni ’60 e brulicano con grande fortuna fino all’inizio degli anni ’80. Queste opere alternano reportage sui posti più disparati del mondo, mostrando agli spettatori usanze curiose e conturbanti, scene erotiche e violente, spesso brutali, il tutto commentato con piglio antropologico da una voce fuori campo. Immaginate oggi di vedere un best of dei filmati più truci e inquietanti di YouTube. Cliccare play con la tensione addosso, con la possibilità di vedere davvero qualsiasi cosa, aspettando da un momento all’altro la scena raccapricciante che ti rimane in testa per anni. La sensazione doveva essere quella, anche perché i contenuti erano forti davvero, come la famosa sequenza in Ultime grida dalla savana (Antonio Climati, Mario Morra, 1975) in cui due leoni sbranano un uomo davanti alla sua famiglia. A vederla oggi questa scena sembra finta, molto finta, e questa è la cosa che ci interessa dei mondo movie: per metà sono finti. Alcune situazioni sono filmate veramente, altre montate ad arte, alcuni sono pezzi di documentario comprato in Inghilterra o negli Stati Uniti, altre sono scene ricostruite a Roma magari sulla Tiburtina (Studi De Paolis), altre ancora sono sequenze filmate dai registi durante viaggi in giro per il mondo. Insomma c’è un lavoro segreto abbastanza misterioso e sofisticato dietro, che cancella il confine tra realtà e cinema, per mettersi al servizio del pubblico e del suo intrattenimento.
Deodato impara la lezione e per girare il finto reportage dei suoi protagonisti usa tutti i trucchi a sua disposizione: rovina la pellicola, cambia il formato di 35 millimetri (usato per la prima metà del film) in quello a 16 millimetri di una cinepresa amatoriale, scrittura attori sconosciuti, gira tutto in soggettiva e con camera mossa, con inquadrature sbilenche o con tagli bruschi, costruisce delle situazioni di complicità e intimità tra i protagonisti, definisce, in pratica, tutte le regole, oggi note, di quello che è il genere del found footage. Ma non basta.
Deodato deve far credere al pubblico che tutte le atrocità commesse dai suoi protagonisti siano reali, fino ad arrivare alla morte in diretta degli stessi. Una brutta idea comincia a miagolargli nella testa.
C'è un lavoro segreto abbastanza misterioso e sofisticato dietro, che cancella il confine tra realtà e cinema, per mettersi al servizio del pubblico e del suo intrattenimento.
L’impatto dei mondo movie è dirompente perché mischiano episodi artefatti a scene reali ed è la forza di queste ultime a trasmettere credibilità e autorevolezza alle prime, trasformandole quantomeno in “possibili”. È in questo momento che Deodato prende la decisione che pagherà per tutta la vita: in Cannibal Holocaust gli animali sarebbero stati uccisi veramente.
Deodato dichiarerà che: Chi è disposto ad accettare la tartaruga sgusciata (per chi non lo ha visto, c’è una tartaruga sgusciata), accetta anche – col dubbio che possano essere veri – i cinque minuti traballanti della fine … (quando i protagonisti vengono squartati e uccisi).
12 marzo 1980. Dopo un mese dall’uscita del film, a seguito della denuncia da parte di un cittadino, il sostituto procuratore della Repubblica dispone il sequestro di Cannibal Holocaust su tutto il territorio nazionale. L’accusa assume una forma già usata migliaia di volte: “opera contraria al buon costume e alla morale”. Tre mesi dopo il Presidente della quinta sezione penale del Tribunale di Milano condanna il regista Ruggero Deodato, lo sceneggiatore Gianfranco Clerici, i produttori Franco Palaggi, Franco Nunzio e Alda Pia e il distributore Sandro Perrotti, a quattro mesi di reclusione e quattrocentomila lire di multa.
Quanto è seccante quando pensi di aver fatto tutte le cose alla perfezione, ma esse ti si ritorcono contro una per una.
Il giudice accusa Deodato di aver ucciso i protagonisti del film.
Cosa?
Lei è accusato di aver ucciso tali Francesca Ciardi, Luca Barbareschi, Gabriel Yorke e Perry Pirkanen.
Ma… ma certo che non li ho uccisi!
Ah certo, e la pellicola rovinata? E i 16 millimetri? E la soggettiva? La camera mossa? Il sangue e le budella? Le urla? Questo è uno snuff movie, signor Deodato.
E’ tutto finto, è tutto inventato!
Certo, e come spiega il fatto che queste persone siano scomparse?
Ah…
(Chiaramente questa conversazione non è mai avvenuta in questi termini, ma l’accusa è verissima)
Deodato ha costruito inconsapevolmente una trappola perfetta, e ci si è ficcato dentro. Oltre ai numerosi accorgimenti tecnici per rendere il film il più realistico possibile, il regista ha curato anche alcuni aspetti produttivi e di immagine del prodotto. Nel contratto degli attori, tutti più o meno esordienti, ha aggiunto la clausola per cui non avrebbero dovuto partecipare ad altre pellicole o interviste o ad avvenimenti pubblici per almeno un anno, dando così, ai più, l’impressione di essere spariti, come se fossero veramente morti durante le riprese, aumentando quello che oggi chiameremmo hype. Deodato è costretto a chiamare di corsa Luca Barbareschi (quello che abitava più vicino, a Roma) e pregarlo di presentarsi al più presto in tribunale, per poi rintracciare gli altri protagonisti così da dimostrarne l’ottima salute.
Dopo 30 anni Cannibal Holocaust viaggia ancora su un filo tra ammirazione, appassionati, convention in tutto il mondo, riconoscimenti, omaggi e gente che si sente male solo a sentirlo.
Scampata? Ancora no. Esiste una vecchia legge del periodo fascista che riguarda la tortura degli animali, eh già. Deodato e gli altri sono con un piede nel carcere se non fosse che la Cassazione, in ultimissimo grado, riabilita miracolosamente l’opera che può tornare nelle sale nel 1984, stavolta con 135 metri di pellicola tagliati e il divieto ai minori di 14 anni. La nuova uscita italiana è un flop, per via della pessima reputazione del film e per l’attenzione del pubblico ormai svanita. L’anno prima, solo a Tokyo, il film aveva fatto 21 milioni di dollari, secondo solo a E.T. di Spielberg.
L’uccisione degli animali (giustificata con il fatto che poi gli indios se li sarebbero mangiati in ogni caso) e questo rapporto ambiguo tra realtà e finzione hanno reso Cannibal Holocaust uno dei film più vietati e censurati della storia del cinema. In Inghilterra è stato inserito nella lista nera dei cosiddetti video nasty, una lista di film “osceni” la cui commercializzazione in Gran Bretagna veniva bloccata e fortemente limitata. Inoltre queste sono state le reazioni di altri paesi all’uscita del film. Danimarca: v.m.15; Canada e Paesi Bassi: v.m.16; Australia, Corea del Sud, Finlandia, Francia, Germania: v.m.18; Filippine, Islanda, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore, Sudafrica: bandito. Dopo 30 anni Cannibal Holocaust viaggia ancora su un filo tra ammirazione, appassionati, convention in tutto il mondo, riconoscimenti, omaggi e gente che si sente male solo a sentirlo, odio, disprezzo, animalisti incazzati che dedicano la loro vita a evitare che venga proiettato (vi sfido a organizzare una proiezione pubblica di Cannibal Holocaust, vedrete quello che succede).
In ogni caso a vent’anni suonavo in una band, era il 2005. Per una serie di circostanze fortuite ci chiamarono a fare le comparse in una puntata di Incantesimo, la serie tv che tanto piaceva a mia nonna. Dovevamo esibirci in un locale mentre l’attore Walter Nudo discuteva con una ragazza su questioni sicuramente vitali per lo svolgimento della trama. Ricordo delle luci caldissime puntate addosso e un brulicare di assistenti che urlavano e coordinavano le varie situazioni: questa benedetta conversazione di Walter Nudo in primo piano, il pubblico urlante e noi sullo sfondo. Ricordo una mattinata a ripetere queste cose. Ricordo anche il regista salire da noi sul palco e dire agli assistenti:
Prendiamo anche qualche dettaglio di questi ragazzi.
Presero qualche dettaglio mentre fingevamo di suonare. Ricordo di aver pensato che fare il regista dell’ottava serie di Incantesimo deve essere una rottura di palle. Ricordo di aver pensato che il regista di questa roba televisiva brutta doveva essere un tipo mediocre, noioso, avvezzo alla routine; uno sfigato. Io avevo vent’anni e quello era Ruggero Deodato.
È un giocatore di basket e hockey sul prato. A 12 anni ha incontrato Alberto Angela al McDonald. Scrive su Bookskywalker.