Affinità e divergenze tra l'ex guru del Movimento 5 Stelle e la “pop art della virtual plaza” che ha elevato il capitalismo in 3D dei vecchi sistemi Windows a cifra estetica e forse pure ideologica.
Da una conversazione via chat dello scorso 12 aprile, nel giorno della morte di Gianroberto Casaleggio:
“Ma tu come la definiresti la vaporwave?”
“Musicalmente o in generale?”
“In entrambi i modi.”
“Mah. Musicalmente ho un po’ di difficoltà. Cioè, mi sembra che nel genere stiano dentro cose diversissime tra loro…”
“E in generale?”
“Direi la parte ‘ironica’ e leggera dell’accelerazionismo. Nel senso che mischia così tanti elementi e unisce così tante declinazioni della tecnologia pop (da internet ai videogiochi) proprio perché l’accelerazione tecnologica è così serrata e veloce che non dà il tempo ai nuovi generi di svilupparsi. E tutto diventa vapor…”
“E Casaleggio?”
“E che vuoi da me? Quello ce l’hai messo tu.”
Ha ragione, la persona che ha tirato in ballo Casaleggio? Fisso lo schermo del portatile, mi sistemo gli occhiali. Questa conversazione non ha luogo, o al limite ne ha almeno due, è una normale interazione internet avvenuta nel 2016 da due early users, che ormai percepiscono la comunicazione in rete come un’estensione del proprio corpo.
Casaleggio è Vaporwave. Da dove veniva questa mia sparata? E perché sembra così convincente?
Ridotta ai minimi termini, la vaporwave è un genere musicale e un’estetica che in maniera spudoratamente kitsch recupera il tipico immaginario corporate di fine anni ’90/inizi anni 2000: il risultato è un tripudio di grafiche digitali primi Windows, 3D antidiluviani, e una pesante atmosfera new age che fa pensare ai colonnati dorici di qualche lobby d’albergo a Dubai.
Bene, riapro quindi su YouTube il mitico video di Gaia – The future of politics della CasaleggioAssociati e clicco sulla descrizione: “Caricato il 21 ott 2008. Gaia – The future of politics è un video sperimentale del 2008 che ipotizza possibili scenari del futuro. Gaia non rispecchia in alcun modo le intenzioni o la volontà nè [sic] di Casaleggio, nè del Movimento 5 Stelle”.
Ma ne rispecchia almeno l’estetica? Riguardiamolo assieme. A prima vista, sembrerebbe proprio un perfetto concentrato di immaginari vapor: pessime grafiche 3D uscite dalle enciclopedie in CD-ROM della DeAgostini, mischiate a immagini 2D da sussidiario e nozioni di storia di identica provenienza. Ma c’è anche una mitologia della rete tradotta in una versione ridigerita una migliaia di volte de La Cattedrale e il Bazaar di Eric S. Raymonds (eliminata naturalmente tutta la componente analitica, tecnica e realistica). Alla fine rimane “la rete”, o una sua versione degna di The Net, un pessimo film anni ’90 con Sandra Bullock.
Più che alla vera vaporware, siamo di fronte a quella che – a torto o a ragione – è stata definita “estetica grillina”: un incubo grafico che non sembra essere stato aggiornato da quindici anni. Basta guardare il sito di Beppe Grillo, costruito da quello che in Italia è stato considerato un “guru di internet” e che sembra essere uscito da una rivista di vent’anni fa con le guide per “scrivere in HTML il vostro sito web in venti minuti – CD-ROM CON UTILITIES INCLUSO”. E più vado avanti con il flusso di coscienza, più mi rendo conto che tra Casaleggio e la vaporwave c’è una specie di affinità profonda, ma come spezzata da un discrimine fondamentale che non riesco a trovare.
Il vero è un momento del falso? Il postmodernismo aveva ragione? Sentire un surrogato di Lyotard pronunciato dalla voce di Grillo mi confonde.
Su YouTube trovo un altro video chiamato Beppe Grillo spiega il NUOVO ORDINE MONDIALE, caricato da un profilo che si è preoccupato di modificarlo con ogni genere di scritte in sovrimpressione – sia mai che lo sprovveduto spettatore non capisca fino in fondo tutti i possibili rimandi a eventuali teorie del complotto. Grafica da WordArt probabilmente applicata con Windows Movie Maker (non ricordo, si potevano applicare WordArt con WMM?), il video risulta essere stato caricato nel 2012 anche se la descrizione dice che il primo upload è del 2007. C’è Grillo che dice: “Noi non riusciamo più a percepire cos’è la verità; non sappiamo se una medicina ci fa bene o male, se una notizia è vera o falsa… non sappiamo più cos’è un debito e non sappiamo più cos’è un credito”. E giù altri sette minuti di delirio su golden standard e signoraggio bancario.
Il vero è un momento del falso? Il postmodernismo aveva ragione? Sentire un surrogato di Lyotard pronunciato dalla voce di Grillo mi confonde, mentre la mia copia de Le strategie fatali di Baudrillard mi rimanda ottusamente l’immagine di copertina con lo scoiattolo suicida di Cattelan.
Tac. È il momento in cui capisco tutto. È esattamente in questa indistinzione tra vero e falso (e nell’atteggiamento che ha Grillo nei suoi confronti) che si trova il discrimine tra Casaleggio e vaporwave. In un suo lungo articolo, Adam Harper risponde a una delle domande centrali del movimento, ovvero: “I/le vaporwavers ci sono o ci fanno?”. Cioè, il loro sguazzare felici nella totale equivalenza delle immagini e dei suoni, nel loro rimescolamento continuo, è un gesto di totale fedeltà alla sovrapproduzione capitalistica o costituisce una critica sarcastica e cinica alla realtà? “Both and neither”, risponde Harper: la variante accelerazionista che sembra informare la vaporwave propone non di resistere, ma di assecondare lo sviluppo capitalistico, al fine di causare una rottura rivoluzionaria epocale o di causare la distruzione totale.
C’è completa fedeltà alle immagini e ai prodotti del capitalismo, in questo tipo di accelerazionismo, come nella vaporwave. L’indistinguibilità del vero e del falso è abbracciata senza condizioni, e anzi accentuata con una distorsione ulteriore. Vi troviamo l’idea iperbolica che nessun mezzo per combattere il sistema vigente si trovi al di fuori del sistema stesso, che i nostri corpi siano già dei corpi postumani, che nella catastrofe che sta già avvenendo ci siano le condizioni di possibilità per la catastrofe che deve avvenire.
Qualcosa di simile aleggia anche nel video Gaia della CasaleggioAssociati. Sta per arrivare una terza guerra mondiale nella quale – con una visione del mondo ancorata, nonostante i proclami, alle dinamiche interstatali precedenti la caduta del muro di Berlino – la popolazione mondiale verrà ridotta a un miliardo di persone con armi batteriologiche, un cambiamento causato del clima e tutto ciò che l’arsenale dell’immaginario complottista può suggerirvi. Però poi il bene trionfa, grazie alla Rete – misteriosamente sopravvissuta a una guerra condotta per vent’anni – che permetterà a tutti di auto-organizzarsi dopo la fine dell’era dei combustibili fossili (esauriti tutti, naturalmente, nella terza guerra mondiale). Tranquilli: vince l’Occidente (!) dove la Rete è libera (!!), contro le “dittature orwelliane dell’est del mondo” in cui la rete è sotto controllo. Il movimento ambientalista emerge spontaneamente in tutto il mondo per risolvere tutti i problemi (sanitari, energetici, alimentari) su scala territoriale, ma interconnesso in un social network fornito da Google e chiamato EarthLink (!!!).
Non pensavo che ce l’avrei fatta, a rivedere il video. Ma almeno, cercando di riassumere tutte le sue conclusioni, sono riuscito a spremere cosa non c’è di vaporwave in Casaleggio.
C’è un’ingenua selezione di cosa è “assolutamente bene” e cosa “assolutamente male” nell’economia e nella tecnologia mondiali. Se proviamo a mettere insieme lo spettacolo di Grillo con il video di Casaleggio, ne esce un discorso che recita pressappoco così: i governi mondiali ci stanno fregando, ma solo quelli orientali; anzi no, anche quelli occidentali, che però sono un po’ più buoni perché il controllo lo detengono le aziende multinazionali, che però sono il Male perché sono legate alle Banche che hanno abolito il golden standard e fanno signoraggio bancario primario e secondario; anzi no, Google è buona perché ci darà EarthLink, sono le Big Pharma che sono cattive perché sperimentano le armi batteriologiche… però ecco, c’è LA RETE che sopravviverà a tutto questo e niente, popolazione decimata e ciao combustibili fossili, alimenteremo tutto il sistema mondiale di interconnessioni con due pannelli solari nel Sahara e addio, ciaone vecchio sistema, io vado a coltivare le patate.
Inutile dire che questo per la vaporwave non è il punto di vista da adottare, ma uno dei molteplici punti di vista deliranti prodotti dalla schizofrenia capitalistica, da assecondare anche questo e da frullare nuovamente nel misturone ideologico che continuiamo a riprodurre. Nell’interpretazione vaporwave dell’accelerazionismo non c’è decrescita possibile, né ci sono attività che si possono sottrarre allo sviluppo tecnologico: dobbiamo avere più Pepsi, più droghe, più psicofarmaci, più rete, più pubblicità, più neon, e far tornare in vita e continuare a usare anche i prodotti già rotti e già consumati, esausti; tutto torna perché tutto va accumulato verso la liberatoria esplosione finale. Non c’è un vero sotto la patina di un falso da grattare via, se il raschietto che usi è fatto della stessa sostanza della patina; il mondo ha già smesso di esistere e la catastrofe sta già avvenendo. Tanto vale affrettare il collasso del capitalismo diffondendo la trash music, che potremmo dire essere il programma estetico della vaporwave.
C’è comunque una relazione cronologica tra Casaleggio e vaporwave. Nel 2008 esplodeva Facebook come social network potenzialmente mondiale; solo due anni dopo si vedeva già quanto questo potenziale fosse davvero realizzabile. Nel 2008, invece, Casaleggio pubblicava Gaia ed esaltava il ruolo di MeetUp. Era già obsoleto quando, per una fortunata congiuntura politica, veniva incoronato “guru” di internet, in un paese che pure aveva conosciuto piuttosto presto le potenzialità controculturali e organizzative della Rete. Mentre infuriava a un nuovo livello la battaglia tra il mainstream di internet e le spinte controculturali e antisistemiche (l’anonimato, il P2P, l’informazione decentrata, le darknet), Casaleggio proponeva una versione semplificata e ritardataria di ciò che esisteva già, con l’obiettivo di andare ancora più indietro nel tempo e con la convinzione che, nella confusione sistematica tra il vero e il falso che si realizza in una società resa ancor più complessa dall’interconnessione globale, quella stessa interconnessione fosse in grado di semplificare i processi.
Se c'è qualcosa che la vaporwave ha in comune con il complottismo e con i sottoprodotti della cultura di internet, è che recuperandoli con sguardo ironico è perfettamente conscia di essere, lei stessa, uno scarto che si alimenta di scarti.
Avevo scritto un articolo, qualche tempo fa, sulla singolare ossessione di Eco per il tema della falsificazione universale. Provavo a concludere dicendo che questo particolare modo di affrontare il tema era un modo di governare il dibattito pubblico che, allo stesso tempo, produceva e ingrandiva il suo principale avversario. Se c’è qualcosa che la vaporwave ha in comune con il complottismo e con i sottoprodotti della cultura di internet, è che recuperandoli con sguardo ironico è perfettamente conscia di essere, lei stessa, uno scarto che si alimenta di scarti; e questa stessa coscienza sarcastica le permette di trasformarsi nel perfetto antagonista del sistema che l’ha creata. Talmente perfetto da essere indistinguibile da ciò che vorrebbe combattere, al punto che chi tiene il timone tende a riassorbirla (in una dinamica in cui l’atteggiamento di Eco non trova posto, da un lato o dall’altro della barricata).
A forza di giocare con gli scarti, la vapor-accelerazione diventa essa stessa scarto e il sistema lo adotta come tale; a forza di rimettere in circolo tutto, tutto torna a rinforzare un processo che non accenna a far intravedere la sua catastrofe finale. Probabilmente né Eco, né Casaleggio, né tantomeno la vaporwave hanno la soluzione. Bisognerebbe, forse, spezzare il meccanismo imitativo e fare dell’accelerazionismo un modo di usare gli stessi mezzi per fare qualcosa di completamente diverso – che era poi quello che chiedeva l’originario Manifesto per una Politica Accelerazionista del 2013.
Nasce a Palermo nel 1990, studia storia dell'arte a Pisa e come tutti i comunisti dei centri sociali è fuori corso. Da grande non vuole fare niente, che già vivere gli fa fatica.