E così pensate che essere incoronati “nuovo Miyazaki” sia una gran cosa. Non proprio, chiedetelo al regista di Your Name, l’anime dal record di incassi.
C’è una tendenza nel cinema d’animazione giapponese per cui appena un regista raggiunge un certo grado di successo, qualcuno appiccicherà sul suo nome l’etichetta di “nuovo Miyazaki”. La critica è diventata ancora più impaziente adesso che il maestro si è ritirato dall’attività – salvo annoiarsi, come ogni buon pensionato, e riprendere posto alla scrivania per Boro the Caterpillar, atteso per il 2020.
In certi casi l’investitura assume i contorni di una maledizione. Vedi Hideaki Anno, appuntato come nuovo faro dell’animazione giapponese da fonti interne allo stesso Studio Ghibli – il co-fondatore Toshio Suzuki – ma eternamente sospeso tra i suoi stessi demoni e collaborazioni di varia fattura, incapace di dare un indirizzo alla propria produzione dopo i fasti di Neon Genesis Evangelion. Anno ha finito per convincersi che l’industria degli anime morirà entro pochi anni e si è convertito alla regia di attori in carne e ossa col recente reboot di Godzilla.
Parlando di eredità di Miyazaki, il secondo nome che salta alla mente è Makoto Shinkai, sul radar della critica già da alcuni anni, come testimonia una menzione nel prestigioso saggio Anime Aesthetics: Japanese Animation and the ‘Post-Cinematic’ Imagination di Alistair D. Swale. Gli appassionati che lo seguono dagli esordi ne conoscono i pregi al pari delle manie. Chi lo scopre adesso, sulla scia del successo planetario di Your Name (Kimi no na wa) – anime con più incassi di sempre che ha superato La Città Incantata –, apprezza un autore maturo, che lavora con un team di professionisti e dispone di un budget dignitoso; e ignora forse gli esordi, dove un po’ per necessità e un po’ per ostinazione, concentrava ogni impegno nelle proprie mani e dava alla luce in soli sette mesi Voices of a distant star (Hoshi no koe) occupandosi persino del doppiaggio.
Il mono no aware è il sentimento di compassione che scaturisce osservando ogni cosa con la consapevolezza della sua caducità. Altri lo chiamano ‘scenery porn’, il paesaggio che s’impone sulla storia.
Il risultato è una produzione estremamente rarefatta, punteggiata da cortometraggi, mediometraggi e cutscene di videogiochi, del tutto diversa da quella di un collega come Mamoru Hosoda (Summer Wars, The Boy and the Beast) che si è immischiato anche con OAV tratti da anime di successo per tenersi impegnato. Le opere di Shinkai soffrono della sua stessa solitudine, sono isolate e autoreferenziali. Ogni autore ha i propri feticci ma quelli di Shinkai si gonfiano fino a diventare autentici tòpoi e rosicchiare spazio narrativo. Entità astratte – distanza, attesa, incomunicabilità – ma anche elementi concreti: gatti, treni, razzi spaziali, cieli. Un film come 5 cm al secondo (Byōsoku go senchimētoru) ha convinto la critica ma diviso gli appassionati. La trama è esile, la lontananza di due innamorati, e si dipana perlopiù attraverso monologhi interiori sullo sfondo di cieli spettacolari, popolati di nuvole spumose e riflessi dorati. I temi spiccano nella loro bellezza essenziale: è il mono no aware, il sentimento di compassione che scaturisce osservando ogni cosa con la consapevolezza della sua caducità. Per alcuni spettatori la definizione più corretta è invece scenery porn, il paesaggio che s’impone sulla storia.
Del resto l’abilità di Shinkai nell’unire matita ed effetti grafici, ereditata dai suoi trascorsi nei videogames, non teme rivali. Ogni sprazzo di cielo sembra ritratto nella golden hour, nessuna sfumatura è lasciata al caso. Sono, inoltre, scenari parlanti. Shinkai ricava bisettrici dal baluginio del sole, dalla scia di un aereo, dai cavi del telefono o da uno stormo di uccelli in migrazione comunicandoci che Akari e Takaki, intenti a osservare fianco a fianco, finiranno similmente divisi. Oppure la pioggia sotto cui si ritrovano gli amanti de Il giardino delle parole (Kotonoha no Niwa), più bagnata di quella vera a detta di alcuni. “Mi limito a osservare i dettagli della vita quotidiana” dice lui. “Il mondo ha già creato ogni cosa alla perfezione”.
L’attesa
In Makoto Shinkai, tempo e spazio si intrecciano a creare una terza dimensione della distanza: l’attesa. Così si possono riassumere i concetti chiave – o ossessioni – dei suoi film. Nel mondo di Shinkai tutti attendono, persino i gatti. In Lei e il suo gatto (Kanojo to kanojo no neko), cortometraggio d’esordio di Shinkai, Mimi promette amore eterno a Chobi ma lui ha occhi solo per la sua umana. In Qualcuno ci osserva (Dareka no Manazashi) un’altra Mimi muore di vecchiaia aspettando la visita della padrona, troppo impegnata col lavoro. Mimi è anche il nome che la ragazzina protagonista di Viaggio verso Agartha (Hoshi o ou kodomo ) assegna alla sua gattina, in realtà uno yadoriko (un essere spirituale connesso al mondo sotterraneo che è meta dell’avventura). L’attesa è la sua condizione d’esistenza: una volta condotta la ragazza al luogo prestabilito, si allontana da lei e si lascia morire. Allo stesso modo, Takaki di 5 cm al secondo vive nella costante tensione di quello che non può avere.
Il film opera un’autentica decostruzione del concetto di attesa. Significativamente, i due innamorati riescono a colmare la distanza che li separa già dal primo episodio: Takaki raggiunge il paese di Akari dopo un interminabile viaggio in treno, sotto una neve tardiva, e il ricongiungimento è coronato come da tradizione: un pasto caldo da condividere, un bacio, una notte trascorsa insieme a chiacchierare. Ma il ragazzo si ritrova il cuore colmo di tristezza e l’epifania lo sorprende durante la notte. I cieli notturni sono, nell’arte di Shinkai, uno strumento per ribaltare la realtà diurna nel suo opposto onirico. Le linee si intersecano con la luna a disegnare sogni e presagi. Lì Takaki realizza che la relazione con Akari esiste solo nella sua assenza, nella sua attesa. Da quel momento dieci anni passeranno in un battito di ciglia, al contrario dei minuti di quel viaggio in treno che si dilatavano all’infinito. Takaki abbandonerà i suoi sogni, disilluso, “con gli occhi sempre inchiodati a qualcosa di lontano”. Si convincerà che “il solo fatto di vivere riserva montagne di tristezza”. Il finale è asimmetrico, e per questo ancora più crudele. I due si incrociano di sfuggita, separati dalle stesse sbarre del passaggio a livello che li avevano divisi da ragazzini, ma non si riconoscono. Akari è andata avanti, sta per sposarsi con un altro uomo. Takaki ha un’intuizione, si volta, ma passato il treno lei non c’è più.
Altrove
I cieli di Makoto Shintai, lo abbiamo intuito, sono anche metafora di un altrove che assolve la stessa funzione dell’attesa – esistere in absentia e creare tensione narrativa. Spesso si identifica con lo spazio siderale – Voices of a distant star –, oppure in mondi paralleli come in Oltre le nuvole – Il luogo promessoci (Kumo no mukō, yakusoku no basho) – appena rispolverato dai cinema italiani sulla scia del successo di Your Name. Manipolando i suoi stessi tòpoi, Shinkai ribalta la situazione nel mediometraggio Il giardino delle parole, dove Takao è uno studente delle superiori e Yukino una professoressa in congedo per motivi di salute. Il loro altrove è uno spazio chiuso che li isola dal mondo, una tettoia che li ripara dalla pioggia e sotto cui nasce un amore proibito. Non vorrebbero trovarsi in nessun altro luogo e i cieli restano chiusi, coperti di nuvole. Li guardano soltanto per augurarsi altri giorni di pioggia, in modo da potersi rincontrare. Anche la distanza fisica, per la prima volta, raggiunge il grado zero. Takeo è un apprendista calzolaio e disegna delle scarpe per Yukino, sfiorandole i piedi nudi – feticcio inedito per Shinkai, ma dalla sfumatura sensuale. Lo spazio che li divide, anche in questo caso incolmabile, risiede nella differenza d’età e condizione sociale. La storia non può che concludersi con l’ennesima separazione. Nelle ultime battute Takao medita di mettersi in viaggio e fare visita a Yukino nella città dove si è trasferita, appena terminati gli studi; nel cielo che fa da sfondo ai suoi pensieri il sole torna a farsi spazio tra le nuvole.
L’altrove di Viaggio verso Agartha, invece, si trova sottoterra. Una catabasi in pieno stile, una discesa nel mondo delle anime ricalcata sul mito nipponico di Izanami e Izanagi; agli occhi di noi occidentali ricorda la storia di Orfeo e Euridice. L’insegnamento è il medesimo: per riportare in vita i morti occorre pagare un alto prezzo, ma quello che si è perso in realtà non può tornare; lo farà, in forme differenti, scorrendo nel fiume della vita eracliteo – non a caso, per raggiungere il luogo è necessario immergersi in un’acqua che, riempiendo i polmoni, permette di respirare. Agartha è il posto dove Asuna sentiva di appartenere, quello che “le fa battere forte il cuore”. Il cielo, là sotto, è un soffitto percorso da una sorta di aurora verdastra, ma mancano le stelle. “Come si fa a vivere in una notte senza stelle?”, si chiede il suo accompagnatore, il professor Morisaki, determinato a riportare in vita la moglie.
L’incomunicabile
Abbiamo esplorato i cardini della cifra stilistica di Shinkai ma rimane una domanda fondamentale. Perché proprio il recente Your name l’ha reso celebre al grande pubblico, proiettando la sua fama a livello mondiale e conquistando una platea molto più variegata della fanbase otaku?
Al terzo approccio in carriera coi lungometraggi, Shinkai ha imparato a non abusare del formato e anzi approfitta del tempo a disposizione per sfoggiare la sua abilità di narratore. Questo significa, in certi casi, cedere il passo a esigenze mainstream confidando nella pazienza dello spettatore più riflessivo. Your Name è senza dubbio l’opera più ruffiana di Shinkai, ma senza esagerare. C’è un’esplosione di accattivante J-Pop fin dalla scena iniziale, per esempio. Tutta la prima parte del film strizza l’occhio alle tematiche teen di cui sono imbevuti shonen e shojo e scorre veloce, condita da un pizzico di fanservice – quell’indugiare sulle forme di Mitsuha – e colpi di scena.
Il risultato è godibile anche per lo spettatore occasionale, mentre chi già conosce Shinkai trova i riferimenti che si aspetta disseminati su più livelli di lettura. Se in precedenza il regista si concedeva il lusso di raccontare il proprio messaggio, stavolta sposa il comandamento show, don’t tell. Con Your Name Makoto Shinkai si allontana dallo stile introverso, sofferto dei primi lavori e porta a compimento un processo cominciato con Viaggio verso Agartha, non a caso il suo film più commerciale fino a oggi. Libero da quel groviglio di concetti che dominava la sua scrittura, può finalmente giocare coi suoi stessi tòpoi inserendoli in un sottotesto ricco come mai prima d’ora – questa sì, un’operazione degna del maestro Miyazaki. L’ossatura è la stessa di 5 cm al secondo, tanto da suggerire che i due film vadano interpretati l’uno alla luce dell’altro, e il rimpallo di punti di vista su cui si fondava Voices of a distant star è qui portato all’estremo. Taki e Mitsuha, colpiti da un sortilegio, si scambiano corpi e vite ogni volta che si addormentano. Conoscono l’uno i segreti dell’altra, ma non s’incontrano mai. Non possono farlo, perché la distanza che li divide, ancora una volta, si articola nel tempo e nello spazio. Mitsuha è morta anni prima, il suo villaggio cancellato dalla caduta di un meteorite. Nei soliti, spettacolari cieli di Makoto Shinkai il masso che precipita sulla terra disegna una traiettoria uguale, ma inversa, al razzo spaziale di 5 cm. Le allusioni non finiscono qui. La mappa con cui Taki rintraccia, invano, il villaggio di Mitsuha somiglia a quella che accompagnava Takaki nell’interminabile viaggio in treno. La scalinata dell’ultima scena è la stessa su cui si apriva Voices of a distant star; è un luogo autentico, conduce al tempio Suga in una delle zone più tranquille di Tokyo.
Il messaggio profondo in Your name risiede in uno strato nascosto, affidato al simbolismo che è ancorato alla mitologia, come in Agartha: è uno sfoggio di moderno realismo magico. C’è un legame che tiene insieme i due ragazzi, il nastro rosso della leggenda del dio cinese Yue Lao, traslato in Giappone col nome di Musubi. Una divinità lunare, sotterranea, che ha potere di unire e separare gli uomini. La professoressa di letteratura di Mitsuha, si noti, si sofferma proprio sull’etimologia di quel nome in battute che sembrano un banale sfondo ai pensieri di lei. Shinkai ha dato infine un volto al mostro che egemonizza tutta la sua produzione, l’incomunicabilità; non poteva che essere quello, trascendente e incomprensibile, di un dio.
In Your Name l’altrove, il luogo deputato agli incontri, è il mondo dei ricordi sul cui sfondo campeggia la luna. Il cielo è tagliato dalle solite bisettrici, in segno di cattivo presagio, ma a differenza di 5 cm al secondo compaiono altre rette intersecanti. Svelano che Taki e Mitsuha si rincontreranno, inganneranno il cataclisma che l’ha uccisa e il dio Musubi che fa svanire, poco per volta, quel giardino che è la loro memoria. Dimenticheranno i rispettivi nomi, ma non l’amore che li legava. Il nastro rosso ha azzerato la distanza e Makoto Shinkai ha superato la sua stessa incomunicabilità. La conclusione non è un semplice happy ending per accontentare il pubblico, bensì lo scioglimento di una tensione narrativa che Shinkai teneva in ostaggio da almeno dieci anni. Se Takaki, in 5 cm, si arrendeva all’evidenza che “il solo fatto di vivere riserva montagne di tristezza”, i sorrisi di chi esce di sala dopo Your Name chiudono un cerchio ideale con la sua opera prima, il cortometraggio Lei e il suo gatto: “io, e forse anche lei probabilmente”, rifletteva Chobi, “amiamo questo mondo”.
La maledizione di Miyazaki
Anche alla luce del successo di Your Name, dove collocare Makoto Shinkai tra i ranghi dell’animazione giapponese? L’investitura a nuovo Miyazaki ha scatenato il suo influsso negativo: Shinkai l’ha rifiutata e, in uno slancio di imbarazzo per i risultati inaspettati, ha sconsigliato agli spettatori la visione di Your Name. Stilisticamente parlando, l’accostamento appare forzato. La voce di Miyazaki vanta la potenza delle fiabe e la capacità unica di mostrare il mondo attraverso gli occhi dei bambini. Ama soffermarsi su temi di ampio respiro: la natura, le tradizioni e la denuncia della loro decadenza. La poetica di Shinkai è più intimista e tormentata, al tempo stesso più colta. Lo stesso autore ha studiato letteratura giapponese all’università, con un paio di suoi alter ego che fanno capolino nei suoi lavori: la professoressa Yukino de Il giardino delle parole o il professor Morisaki di Agartha, per esempio. Abbondano poi le allusioni alla letteratura classica – il poema Eiketsu no Asa, di Kenji Miyazawa, letto da Sayuri in Oltre le nuvole fornisce una chiave di lettura dell’intero film – e tra i suoi punti di riferimento il regista non manca mai di citare i romanzi di Haruki Murakami.
Il debito più ingente di Shinkai, se vogliamo, è proprio quello nei confronti del pupillo di Miyazaki, Hideaki Anno. In The Art of Studio Gainax: Experimentation, Style and Innovation at the Leading Edge of Anime, Dani Cavallaro mostra come i due siano tra i pochi ad aver trattato il tema della dilatazione temporale con accuratezza scientifica nel contesto dell’animazione giapponese: Anno in Punta al Top! GunBuster e Shinkai in Voices of a distant star. Quest’ultimo mediometraggio è da annoverare tra i numerosi figli di Evangelion, dove la forza trascendente – la distanza, nel caso di Shinkai – si identifica con nemici alieni, sconosciuti, da combattere interfacciandosi con un mecha; vale a dire, un guscio che ospita il proprio io. Nei lunghi monologhi che scandiscono il ritmo dei primi lavori di Shinkai – 5 cm su tutti – si palesano tracce dello Hideaki Anno più psicanalitico: quello di Le situazioni di lui & e lei e del controverso finale di Evangelion. Ma se l’animazione di Anno sembra aver già raggiunto il suo culmine, seppur involuto, quella di Shinkai si è appena scavata nuove vie, apparentemente lontane dalla maledizione di Miyazaki. Dopo Your Name è lecito attendersi cieli ugualmente luminosi, ma popolati da linee diverse.
Nato a Pistoia, classe 1988, una laurea in filologia medievale nel cassetto. Si occupa di sport per La Giornata Tipo, Play.it USA e BasketInside. Scrive racconti su Spaghetti Writers e ha un romanzo in uscita con Astro Edizioni.