Carico...

L'11 ottobre uscirà il quarto episodio di Gears of War: una saga shooter-fantascientifica in cui maschi ipertrofici ammazzano alieni nata come killer-app dell'X-box 360, ma anche un'inaspettatamente profonda riflessione sulla "morte del padre".

Alla conferenza Microsoft tenutasi l’altro ieri durante l’E3 è stato (ri)presentato Gears of War 4, l’ultimo capitolo della saga che che dieci anni fa ebbe l’onore – e la capacità – di traghettare il gaming su console verso l’alta definizione, trasformandosi nella killer app dell’allora neonata Xbox 360 e riscuotendo un successo tale da rendere popolari meccaniche di gioco – su tutte, il sistema di coperture – che negli anni successivi sarebbero state riutilizzate o riviste tanto in pietre miliari mainstream come le serie di Uncharted e Grand Theft Auto, quanto in perle di nicchia come Vanquish. L’impatto che il titolo Epic Games ha avuto allora è stato a dir poco fenomenale, e l’ovvia speranza è che il suo esordio su console di ottava generazione possa aiutare Xbox One a recuperare il terreno perso rispetto alla concorrente Sony.

Ma laddove diventare la killer app non sembra essere un obiettivo particolarmente difficile da raggiungere, vuoi anche solo per l’assenza di concorrenti, replicare l’impatto (o perlomeno la qualità) della trilogia originale è un compito più arduo: il team di sviluppo The Coalition porta infatti sulle spalle il peso di un’eredità che va ben oltre le semplici meccaniche di gioco, la spettacolarità della campagna giocatore singolo o il multiplayer. Nonostante le apparenze – un third person shooter fantascientifico in cui maschi alfa ipertrofici si scontrano con alieni antropomorfi – Gears of War contiene infatti una carica emotiva di rara potenza che è dovuta in buona parte proprio al suo creatore – Cliff Bleszinski – e alla sua biografia, in assenza del quale si rischia di ridurre l’intera esperienza a uno sparatutto caciarone come ce ne sono a decine. In sé nulla di male, per carità, ma sarebbe uno spreco per una serie che nel 2006 si presentò al mondo con questo trailer, ad oggi considerato uno dei migliori – se non il migliore – del genere:

carico il video...

Se a un primo sguardo può sembrare strano che un videogioco noto soprattutto per l’azione e l’ultraviolenza offra letture di tutt’altro tipo, bisogna però tenere a mente che fin dal primo episodio Cliffy B e il suo team alla Epic Games svolgono un lavoro di contestualizzazione narrativa del tutto inusuale per il genere. Sera – il pianeta in cui hanno luogo gli eventi di Gears of War – è simile alla terra, caratterizzato da una spiccata estetica retrofuturista le cui architetture neo (classiche, gotiche, barocche a seconda dell’occasione) sono disseminate di tecnologie dal gusto 50s; sfortunatamente, è anche un luogo sconquassato dalla guerra, dove le macerie testimoniano laconicamente la sua tramontata grandezza. Una grandezza che il giocatore esperisce in dosi relativamente piccole, ma che tramite numerosi collectibles sparsi nel mondo di gioco si declina in una realtà parallela ricca di storia e tradizione; fattori, questi, che vengono ulteriormente approfonditi e arricchiti in ben cinque romanzi e una collana di fumetti, a testimonianza del fatto che Gears of War si presta con facilità a essere un prodotto transmediale. Scoprire la vastità e la complessità dell’ambientazione, nonché gli eventi “storici” che modellano quest’universo parallelo (muovendosi tanto all’interno quanto all’esterno del gioco, tra media differenti), significa aggiungere alla trama del gioco nuovi elementi in grado di arricchirne la profondità narrativa.

Rovine, devastazione e macerie con tramonto. Un tipico paesaggio di Sera.

Ciò che però rende Gears of War davvero unico sono le tematiche che vengono affrontate nei suoi capitoli, nonché i forti elementi autobiografici che le permeano. Come racconta a Tom Bissel lo stesso Bleszinski, se suo padre non fosse morto nel 1990, quando lui era ancora un adolescente, con ogni probabilità ne avrebbe seguito le orme iscrivendosi ai corsi di ingegneria della Northeastern University, trattando i videogiochi come un semplice passatempo. Purtroppo e per fortuna le cose sono andate diversamente, e il trauma non è stato solo il momento sliding doors della sua vita, ma ha anche lasciato un segno indelebile nella vita del futuro game designer. Per esempio, nell’intervista Bleszinski rivela di aver appreso della scomparsa del genitore mentre stava giocando a Blaster Master, un action platform per NES pubblicato nel 1988; non è quindi un caso che, quando nel 2008 esce Gears of War 2, sono in molti a notare che il design del carro armato Centaur omaggia apertamente quello del titolo Sunsoft.

Soltanto una coincidenza, come suggerisce il designer, oppure dietro c’è qualcosa di più profondo, come Bissel prova invece a sottolineare? Dopotutto, se si osserva il mondo di Gears of War da una maggior distanza si nota come la morte del padre – inteso sia in senso biologico e relazionale, sia in senso assiologico – sia la corrente narrativa che più di tutte attraversa la superficie del mondo creato dagli sviluppatori della Epic Games.

Gears of War – la morte del patriottismo
Il protagonista di Gears of War si chiama Marcus Fenix ed è un soldato in forza all’esercito della Coalition of Ordered Governments, l’unica organizzazione umana rimasta su Sera dopo l’invasione aliena dell’E-day, il giorno in cui per la prima volta gli antagonisti (definiti “Locuste” per via della distruzione che li accompagna) emergono dal sottosuolo per sbarazzarsi degli umani. All’inizio del gioco è rinchiuso nel carcere di Jacinto, la capitale, in cui sta scontando una condanna per aver disobbedito a un ordine diretto: 14 anni prima abbandonò la sua posizione per salvare il padre Adam, uno scienziato molto in vista nella gerarchia del COG, senza tuttavia riuscirvi. Nel momento in cui si apre il primo capitolo la città è assediata dal nemico; gli uomini scarseggiano, e così Dominic “Dom” Santiago, il miglior amico di Marcus, lo libera dalla prigione e lo riporta sul campo di battaglia.

carico il video...
Uscire di prigione e assaporare la libertà: you’re doing it wrong.

Inizialmente, delle motivazioni che spingono le Locuste ad accanirsi contro gli umani sappiamo ben poco; quel che è certo è che sono parecchio incazzate, hanno l’abitudine di sciamare fuori da tunnel soprannominati “buche di vermi” (grub holes) e, come se non bastasse, sono piuttosto coriacee. Per eliminarle – dopo numerosi fallimenti – gli strateghi del COG hanno creato un’arma di distruzione di massa; obiettivo del giocatore è creare le condizioni adatte a farla detonare, infiltrandosi sotto terra alla ricerca del luogo ideale in cui innescare il “risonatore”. Purtroppo quest’ultimo fa cilecca e la squadra Delta, prima del faccia a faccia finale con RAAM, il generale delle Locuste, deve recarsi alla casa del padre di Marcus dove sono state individuate alcune mappe dei loro tunnel. L’intero atto – intitolato “Luogo Immaginario”, da una battuta del film La mia vita a Garden State – è il racconto del “ritorno a casa” di Marcus Fenix; un momento che, per usare le parole di Bleszinski, “racchiude molta infelicità”. Ma il punto nodale della trama si trova nel terzo atto, durante l’assalto a una piattaforma di estrazione di idrocarburi  protetta dalle truppe d’elite dell’esercito delle Locuste: è in questa occasione che per la prima volta la visuale del giocatore si allarga e comincia ad apparire più chiaramente l’orografia dell’immagine che il gioco sta costruendo.

Gears of War esce nel novembre del 2006: tre anni prima gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq alla ricerca di armi di distruzione di massa, applicando massicciamente la dottrina militare del “dominio rapido”. In quel triennio sono state combattute le battaglie di Falluja e quella contro l’esercito del Mahdi di Muqtada al-Sadr, ed è già emerso lo scandalo delle umiliazioni e delle torture perpetrate dalle forze di occupazione americane nella prigione di Abu Ghraib. Sarebbe ingenuo pensare che non vi siano parallelismi diretti tra quegli eventi e un gioco in cui viene messa in scena l’invasione di un territorio nemico (ricco di risorse energetiche, l’Imulsion è un carburante fondamentale per umani e alieni) da parte di un esercito in grado di produrre una potenza di fuoco ineguagliabile.

carico il video...
Muoia Sansone con tutti i filistei.

Ma Gears of War non è solo un’allegoria dell’invasione dell’Iraq, ne è anche una critica. Marcus Fenix è stato condannato dalla legge degli uomini per aver seguito i propri affetti e, sebbene sia costretto ad affidarsi alla patria come unica possibilità di sopravvivenza in un mondo al collasso, egli resta un eroe tragico che, a differenza dei cliches consolidati del genere, non concede mai nulla al cieco fanatismo patriottico. È grazie al filtro costituito dal suo sguardo che emergono le lacune morali del governo di Sera, e in più occasioni viene spontaneo chiedersi se quella che si sta combattendo in nome del COG non sia una guerra sbagliata e ingiusta e, soprattutto, che le ragioni delle Locuste forse non sono poi prive di fondamento.

Gears of War 2 – la morte della patria
La “bomba solare” esplosa a Timgad alla fine del primo episodio ha colpito duramente le Locuste ma, contrariamente alle aspettative degli strateghi del COG, non le ha eliminate definitivamente. Tutt’altro: all’inizio del secondo episodio della serie sono gli umani a essere in difficoltà e tutte le forze del COG vengono mobilitate dal Presidente Prescott per lanciare un’ultima offensiva.

carico il video...
Il discorso motivazione del Presidente Prescott.

L’obiettivo dichiarato è penetrare nel “Nexus”, la roccaforte delle Locuste, con un attacco in massa ed eliminarle completamente. Penetrandovi, Marcus e Dom scoprono che è in corso una guerra fratricida tra le Locuste e una loro variante mutata (i Lambent, cioé gli Splendenti), con i membri di quest’ultima che spingono le prime verso la superficie; la loro origine è ignota – così come quella delle Locuste stesse – ma nel corso del terzo atto si scopre che il COG umano, con la scusa di “curare i bambini”, ha finanziato ricerche su una misteriosa mutazione genetica. Non esistono nessi concreti tra questi esperimenti e la minaccia “aliena”, ma è inevitabile che il dubbio s’insinui nel giocatore assestando un ulteriore colpo alla bontà della causa per cui sta combattendo, nonché al valore della propria patria. Domande che vengono poste esplicitamente dal gioco stesso dopo che, in una sorta di tragico contrappasso, gli umani sono stati costretti ad affondare la loro stessa capitale, Jacinto, per poter inondare il “Vuoto” (Hollow) dove vive il nemico: dopo i titoli di coda ascoltiamo la voce di Adam Fenix – è vivo, dunque! – chiedere “Che cosa avete fatto…”

Con l’affondamento della capitale gli sceneggiatori portano a compimento il processo di dissoluzione della patria innescato durante il primo episodio di Gears of War: accecati dalla volontà di distruzione, gli umani si sono spinti oltre il punto di non ritorno. Il collasso della capitale è la metafora del collasso dell’umanità di Sera, colpevole di aver perpetrato la guerra come unica forma di relazione possibile per lunghissimo tempo.

Come nel primo capitolo, anche in Gears of War 2 emerge in filigrana da una parte il paragone, e dall’altra la critica nei confronti dell’America di G.W. Bush. La patria, infatti, per giustificare la guerra non esita a mentire, e del resto le armi di distruzione di massa per cui gli americani invasero l’Iraq erano false. Come l’amministrazione americana, che finanziò Saddam negli anni ‘80 in chiave antiiraniana, anche il COG usa la menzogna per coprire quella che nel gioco sembra essere la sua responsabilità diretta nella genesi del conflitto, ovvero aver condotto esperimenti su mutazioni genetiche con scopi bellici.

Uccisa nella sua manifestazione fisica e sepolta sotto un cumulo di bugie, della terra dei padri non resta che una sbiadita nostalgia.

Gears of War 3 – la morte del padre
All’inizio del terzo episodio di Gears of War la popolazione di Sera è costretta alla diaspora. Alcuni membri del COG hanno trovato rifugio in mare, tra isole e grandi navi da trasporto; altri hanno deciso di colonizzare antiche roccaforti sulla terraferma; la patria è caduta e il presidente Prescott che doveva guidarla è fuggito senza lasciare tracce. L’umanità naviga a vista, cercando di sopravvivere agli attacchi sempre più frequenti degli “Splendenti”, le Locuste mutanti di cui abbiamo compreso la vera natura nel capitolo precedente.

Un incontro con la fauna del sottosuolo di Sera.

Il gioco si apre facendoci rivivere in sogno il giorno in cui il padre di Marcus Fenix viene creduto morto, gettando le basi per una trama che ruoterà interamente attorno a lui: perché Adam non solo è vivo, ma ha anche trovato un modo per sconfiggere le Locuste, e Gears of War 3 racconta dunque la missione che la squadra Delta intraprende per salvare Adam, mettendo così in moto il meccanismo che concluderà la serie. L’happy end, ovviamente, è una vana speranza: dopo una folle corsa tra la barbarie ormai imperante nei territori di Sera, si arriva alla resa dei conti.

È a questo punto che l’Imulsion si rivela per la sua vera natura: non semplice idrocarburo ma vero e proprio organismo vivente, responsabile per l’infezione e la mutazione che sta colpendo senza distinzioni umani e Locuste, diffondendosi a una velocità impressionante. Sarà proprio questa sostanza a uccidere – stavolta per davvero – Adam Fenix: iniettatosi una dose di liquido per poterne osservare gli effetti in prima persona ne resta vittima quando fa detonare un’arma che annienta Locuste, Splendenti e chiunque sia venuto a contatto in modo prolungato con l’Imulsion.

Quella di Adam è una scelta dolorosa, e non solo per se stesso. Lo scienziato prova infatti un forte senso di reponsabilità nei confronti delle Locuste, che cerca disperatamente di salvare dall’estinzione. Ancora una volta, nella trama del gioco, la morte del padre è avvolta da un mistero che, anche se siamo all’epilogo, non trova soluzione. L’unica persona a poterlo risolvere, Myrrah (la regina delle Locuste), viene infatti uccisa da Marcus con una pugnalata dopo essere inspiegabilmente sopravvissuta all’arma azionata da Adam Fenix.

carico il video...
La morte del padre, con la maiuscola.

Voler a tutti i costi trovare paralleli tra un’opera e la biografia del suo autore non è una pratica critica particolarmente corretta, eppure non si può non notare come la morte del padre sia uno dei binari su cui scorre l’intera narrativa di Gears of War. Una scomparsa, quella del padre, che viene raccontata sia nelle strutture simboliche su cui si regge la società (il collasso della patria, la fuga/abbandono/morte del padre politico) sia in quelle che regolano i rapporti umani. Non si tratta solo del (complesso) rapporto che lega Marcus e Adam l’uno all’altro, e entrambi al destino del mondo: anche il sacrificio di Dominic Santiago, che nel terzo episodio decide di immolare la sua vita – ormai svuotata di senso per la perdita della moglie e della figlia – in modo da permettere agli amici la fuga, è la morte di un padre. E la relazione che Marcus instaura da quel momento con il giovane soldato Jace, che di Dom prende il posto come spalla del protagonista, non è altro che un nuovo rapporto padre/figlio.

Ecco: quello che sembrava un banale sparatutto di mostri spaziali si rivela essere una lunga, dolente e complessa meditazione sulla morte del padre come evento con cui fare i conti e come categoria dell’esistente. Il tutto implementato su un irresistibile e frenetico sistema di gioco.

Gears of War 4 – una nuova morte del padre?
Il quarto episodio di Gears of War è atteso per l’ottobre di quest’anno. Dopo il mezzo flop dello spin off Gears of War: Judgment c’è molta attesa per questo titolo, che è passato dalle mani di Epic Games a quelle di The Coalition, sviluppatore di proprietà dei Microsoft Games Studios. Terminato il periodo di prova per la versione beta del gioco, fatta circolare tra i fan senza averne soddisfatto in pieno le aspettative, del gioco sono disponibili in rete solo una manciata di clip, il video di un gameplay della modalità “Escalation”, un recap della trama (in cui il risorto COG viene, guarda caso, descritto come “un padre iperprotettivo che finisce per soffocare la libertà dei suoi figli”) e, soprattutto, il trailer del nuovo episodio.

carico il video...

In linea con l’estetica malinconica del gioco, Tomorrow – così s’intitola il trailer – è accompagnato in sottofondo dalla cover (cupissima) dei Disturbed di The Sound of Silence. Il video è un montaggio alternato e convergente in cui alle immagini di un soldato COG che corre in una notte color pece – illuminata solo dalle fiamme, rotta da urla, spari e ruggiti di Locuste – si alterna una scena familiare con tutti i crismi da pubblicità del Mulino Bianco. Marcus Fenix, circondato dalla sua famiglia, pianta un albero sul cui tronco incide con un coltello le lettere JDF. Le stesse che vediamo sull’albero caduto dietro cui si rifugia il soldato prima di essere aggredito da un mostro dall’enorme stazza. Ebbene: quel soldato non è altro che JD Fenix, il figlio di Marcus, il bimbo biondissimo che gli corre incontro nel trailer e il protagonista del prossimo episodio di questa saga.

E anche se tutto sembra far pensare il contrario, a oggi non sappiamo ancora se Marcus Fenix sia vivo, sappiamo però che un padre, anche quando non c’è più, sa sempre come proteggerti.

Flavio Pintarelli
Nasce nel 1983 qualche decina di chilometri a sud del Brennero. Ha scritto su Franz Magazine, Lavoro Culturale, Doppiozero, Il Manifesto e Vice. Con :duepunti ha pubblicato l'ebook "Su Facebook" e con Agenzia X il saggio "Stupidi Giocattoli di Legno".

PRISMO è una rivista online di cultura contemporanea.
PRISMO è stata fondata ad Aprile 2015 all’interno di Alkemy Content.

 

Direttore/Fondatore: Timothy Small

Caporedattori: Cesare Alemanni, Valerio Mattioli, Pietro Minto, Costanzo Colombo Reiser

Coordinamento: Stella Succi

In redazione: Aligi Comandini, Matteo De Giuli, Francesco Farabegoli, Laura Spini

Assistente di redazione: Alessandra Castellazzi

Design Direction: Nicola Gotti

Art: Mattia Rinaudo

Sviluppatore: Gianmarco Simone

Art editor: Ratigher

Gatto: Prismo

 

Scriveteci a prismomag (at) gmail (dot) com

 

© Alkemy 2015