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A novembre la Chiesa polacca ha riconosciuto Gesù Cristo come sovrano del paese davanti al presidente della Repubblica. Un’incoronazione che sembra ben rappresentare la fase politica che il paese sta attraversando.

Sabato 19 novembre 2016 la Chiesa polacca ha incoronato a Cracovia Gesù Cristo come re della Polonia alla presenza del presidente Andrzej Duda e migliaia di pellegrini, in una parata di abiti tradizionali, croci e poster di Gesù. Un atto simbolico privo di alcun valore legale, come quello di Giovanni II Casimiro, che nel 1655 nominò la Vergine Maria regina del paese. Tuttavia, sebbene in Italia la notizia sia stata sostanzialmente ignorata (solo alcuni blog della galassia ultra-cattolica l’hanno ripresa), la cerimonia di Cracovia segna una tappa fondamentale della vita politica della Polonia. Suggella infatti quel processo di ritorno al tradizionalismo in chiave nazionalista che il paese sta vivendo negli ultimi anni, intensificatosi a partire dall’elezione del partito ultra-conservatore Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, abbreviato in PiS) nell’agosto del 2015.

Per la comunità cattolica polacca, l’intronizzazione di Gesù Cristo è stato un topos ricorrente per quasi novanta anni. È nel 1930, infatti, che l’infermiera Rozalia Celak riceve tramite alcune visioni il messaggio che la Polonia deve compiere questo passo per salvarsi. Già nelle visioni di Rozalia è esplicitamente menzionata la necessità che a riconoscere Gesù sovrano del paese non sia soltanto il clero, ma anche lo stato secolare. Allora, quando il celebrante scandisce “Affidiamo a te lo stato polacco e i suoi governanti. Fai in modo che quelli che esercitano il potere lo facciano con giustizia e governino in accordo con le tue leggi” con la massima carica dello stato inginocchiato e assorto a due metri di distanza dall’altare, per i cattolici polacchi è un cerchio che si chiude, un sogno a lungo agognato che finalmente si avvera. Un sogno che era sembrato svanire durante il mezzo secolo buio del comunismo.

Eppure è proprio durante il comunismo che l’identità cattolica dei polacchi acquisisce piena consapevolezza del proprio peso politico. Le autorità socialiste riusciranno solo a reprimere, non a disintegrare né delegittimare, la comunità cattolica più pervicace e coesa dell’Europa Centrale. Quando Karol Wojtyla viene tributato da una folla oceanica alla sua prima visita ufficiale come papa nel 1979, è infatti chiaro a tutti che la Polonia è soltanto uno stato, non una nazione, comunista. Dalle file dell’attivismo cattolico nascerà il sindacato Solidarność che, guidato dall’elettricista Lech Wałęsa e forte di 10 milioni di iscritti, sarà il principale oppositore del comunismo. Sarà Solidarność a iniziare quelle tavole rotonde che traghetteranno il paese indenne verso la democrazia liberale e l’economia di mercato.

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Caduto il comunismo, come prevedibile, la voce pubblica dell’ecclesia polacca aumenta di intensità. Già nel 1997 e nel 2000, alla figura di Gesù Cristo vengono tributati riconoscimenti ufficiali da parte delle autorità clericali in cerimonie religiose prive dell’implicito imprimatur statale ottenuto a novembre. La cerimonia di Cracovia segna anche un cambio di attitudine della chiesa polacca verso la commistione con la politica. Infatti, nonostante 46 parlamentari avessero firmato una proposta di legge per dichiarare Gesù Cristo Re del Paese nel 2006, la nomenklatura clericale aveva allora bollato la proposta come “inappropriata e non necessaria”, ribadendo la stessa posizione nel 2012. Soltanto ad inizio 2016, aveva stabilito che il riconoscimento del ruolo di Gesù Cristo da parte di una comunità nazionale fosse teologicamente accettabile.

E i tempi sembrano essere cambiati non solo per la gerarchia ecclesiastica, ma anche per la società civile. Alcuni ragazzi si azzardano a sostenere che la voce liberale della società polacca sarebbe oggi più fievole rispetto al 1990. Il periodo subito dopo la caduta del comunismo sarebbe stato il periodo più fertile per la diffusione di valori laici, prima dell’inizio di una nuova restaurazione. Una storia sintomatica in tal senso sconvolse l’Europa quattro anni fa. Un arcobaleno composto di 23.000 fiori artificiali, esposto in centro a Varsavia come simbolo di tolleranza, venne pubblicamente bruciato da attivisti di destra, senza che ciò scatenasse ferme condanne da parte dell’establishment politico, che assistette immobile al fumo nero che avvolse la capitale. La vocazione incendiaria di questa parte della meglio gioventù polacca è stata confermata anche recentemente, questa volta adoperando per la combustione bandiere dell’Unione Europea.

Con l’inasprirsi della crisi migratoria in Europa, retoriche di xenofobia e caccia all’untore sono tornate prepotentemente alla ribalta, partorendo video kitsch come questo contro i fedeli musulmani, nonostante la comunità islamica sia pressoché nulla in tutta la regione. Inoltre, alcune associazioni ultra-cattoliche hanno abbracciato la causa anti-abortista con una veemenza sconosciuta agli altri movimenti pro-life europei, paragonando l’aborto alla guerra e ai campi di concentramento. Una comparazione che in Polonia non può essere declassata a boutade retorica. Proprio la memoria storica della Seconda Guerra Mondiale, nello specifico il ruolo e la diffusione dell’antisemitismo tra la popolazione polacca durante l’occupazione tedesca, rappresenta un terreno di battaglia, un vaso di Pandora perennemente scoperchiato. L’antisemitismo polacco è un fil rouge che connette figure distanti come Roman Dmowski, padre del nazionalismo polacco e ministro degli Esteri tra le due guerre, e Mieczysław Moczar, ministro dell’Interno durante il comunismo, che nel 1968 provò a guidare una fronda dei falchi per epurare il partito dai membri ebrei. Quando Radio Maryja viene multata per “offese antisemite”, o quando a Wroclaw durante una manifestazione anti-rifugiati viene dato alle fiamme un pupazzo dalle fattezze ebraiche, la storia torna attuale riesumando responsabilità storiche mai oggetto di un dibattito pubblico capace di aspirare, se non al consenso, per lo meno all’inclusione della società in toto.

Nella Polonia dove forse una democratizzazione effettiva non è mai avvenuta, la società civile si specchia nella politica e viceversa. Tra proposte di vietare l’aborto, bilanci statali approvati per alzata di mano fuori dal Parlamento e una faida con il Tribunale Costituzionale che si trascina da più di un anno, il governo del PiS ha già chiamato alle armi più volte i propri sostenitori. Quindi, come sostiene Foreign Policy, per il partito di governo “arruolare la gerarchia cattolica nella difesa dello stile di vita e dei valori polacchi si è dimostrata una brillante mossa elettorale.” L’incoronazione di Gesù Cristo è stato il livello più alto raggiunto da questa alleanza profana tra il partito e la Chiesa, ordita dal Grande Vecchio del PiS: Jarosław Kaczyński.

Nella Polonia la società civile si specchia nella politica e viceversa. L’incoronazione di Gesù Cristo è stato il livello più alto raggiunto dall'alleanza profana tra il PiS e la Chiesa.

Primo ministro per poco più di un anno tra il 2006 ed il 2007, sulla carta Kaczyński sarebbe soltanto uno dei 460 deputati del Sejm polacco. In realtà ha l’ultima parola su ogni decisione rilevante della vita politica polacca e gode di una legittimazione che ne trascende le doti e i meriti politici. Il 10 aprile del 2010 il suo fratello gemello Lech, ai tempi Presidente della Repubblica, muore in un incidente aereo nei cieli di Smolensk mentre si sta dirigendo in Russia per una commemorazione storica, probabilmente per un errore del pilota. Assieme a lui muore metà classe dirigente. La disgrazia e gli “eroi” di Smolensk sono tra i pilastri della legittimità del PiS, tanto da meritarsi un sito ad hoc e l’onnipresenza mediatica. Le nuove rivelazioni, dal sapore lievemente complottista, hanno permesso a Kaczyński e sodali di attaccare il loro nemico storico, l’ex Primo Ministro e attuale Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, definito dal ministro degli esteri “l’icona del male e della stupidità.”

Tusk è solo una delle auctoritas invise alle forze di governo. Il più celebre della lista nera è proprio il premio Nobel per la Pace Lech Wałęsa, accusato di esser stato una spia comunista (sotto il nome di Agente Bolek) grazie a cui il regime riuscì durante la transizione a garantirsi un’insperata immunità per i crimini perpetrati. Confermando come l’idiosincrasia sia reciproca, Wałęsa si è spinto a proporre l’espulsione del proprio paese dall’ Unione Europea in risposta alle numerose violazioni compiute dal governo di Andrzej Duda. L’opposizione del cattolicissimo Wałęsa dimostra come sia riduttivo considerare i credenti polacchi uniti e compatti nel sostegno alle politiche del governo attuale. Una parte dei fedeli e della gerarchia vede anzi molto di cattivo occhio la liason tra Chiesa e governo. Sembra improbabile, tuttavia, che la nomina di Gesù Cristo a monarca del paese possa contribuire, come auspicato, ad appianare queste divisioni.

Simone Benazzo
Caporedattore Balcani per East Journal, ha un debole per l'Est pur non sapendo dove sia. Studia al Collegio d'Europa a Varsavia, i Baustelle l'hanno rovinato, è un finto intellettuale tra i tanti, combatte il retorico.

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