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Addio al filosofo francese, magnifico reazionario che ci ha messo in guardia dalle contraddizioni della società democratica.

René Girard è un autore che si presta bene ai riassunti, alle schematizzazioni, ai manuali. È la sua forza ma anche la sua debolezza, perché qualcuno potrebbe dimenticare che il suo metodo conta meno dei risultati che è riuscito a produrre: nuove interpretazioni dei miti biblici, di Shakespeare, di Clausewitz, nuovi punti di vista sulla giustizia, sul sacrificio, sull’escatologia. Per una cinquantina d’anni Girard ha riformulato la sua “teoria mimetica” e l’ha declinata nei vari campi dello scibile, dalla letteratura alla teoria militare, così creandosi un vasto seguito al di fuori dai circuiti universitari. Esistono oggi in tutto il mondo numerose associazioni dedicate agli “studi mimetici” e c’è da scommettere che la morte del fondatore scatenerà epiche rivalità — mimetiche ovviamente — tra i custodi della sua eredità.

Per capire cosa fu la teoria di Girard si potrà leggere il ricordo di Alfio Squillaci sugli Stati Generali oppure guardare questo video suggestivo, segnalato dal fumettista Tuono Pettinato all’uscita del suo Corpicino (nel quale appare il personaggio di Renato Giraldi, antropologo). Ma il rischio, fatto tutto questo, è di non riuscire a capire davvero quello che il pensiero di René Girard rappresenta per il nostro tempo: ovvero una reazione a certe idee che potremmo definire dominanti perlomeno fin dagli anni Sessanta, e forse da prima. Proverò dunque a spiegarlo qui, affrontando “di sbieco” l’opera girardiana ed evitando quelle schematizzazioni che rischiano di confermare il luogo comune secondo cui la teoria mimetica sarebbe una presuntuosa teoria-del-tutto.

Quando Girard ha pubblicato La violenza e il sacro, il testo a cui deve la sua fama, di sicuro non aveva letto L’Anti-Edipo di Gilles Deleuze e Félix Guattari: i due libri escono lo stesso anno, nel 1972. Eppure entrambi sembrano voler trarre un bilancio del Sessantotto, ed è un bilancio diametralmente opposto. Nel descrivere gli individui come “macchine desideranti”, Deleuze e Guattari producono una giustificazione teorica degli slogan del maggio francese, invitando i rivoluzionari a “godere senza limiti”. È un nuovo capitolo di quel dialogo tra psicanalisi e marxismo iniziato nei decenni precedenti con Georges Bataille e Wilhelm Reich.

Una tavola di Tuono Pettinato

Anche Girard mette il desiderio al centro della sua argomentazione, ma la sua è tutt’altro che un’apologia: al contrario, ne La violenza e il sacro il desiderio viene descritto come una forza distruttiva che la società deve assolutamente tenere sotto controllo. Il desiderio non ci salverà perché siamo noi a dover essere salvati dal desiderio. Moraletta puritana? Tutt’altro: Girard vuole attirare l’attenzione su certi antichissimi meccanismi sociali che sarebbe molto pericoloso ignorare. Sono meccanismi “nascosti sin dalla fondazione del mondo”, per citare il titolo di un altro suo libro, che i moderni rischiano di “rottamare” nella foga di ri-fondare il mondo su nuove basi. Girard, magnifico reazionario, è qui per metterci in guardia: quelle istituzioni, quei dispositivi, quelle metafore, quei riti che oggi ci paiono assurdi in realtà avevano una funzione ben precisa. E forse ce l’hanno ancora.

Il desiderio è all’origine della violenza. Quando due uomini desiderano la medesima cosa, come mostrano gli antichi miti e la letteratura, questo pone le condizioni per un conflitto. Per giunta gli uomini sono naturalmente portati a desiderare la stessa cosa, a costruire il proprio desiderio ispirandosi al desiderio degli altri.  Questo è vero più che mai nelle società borghesi, dove l’Homo economicus non rivaleggia per i beni di prima necessità quanto piuttosto per i beni posizionali, ovvero tutti quei consumi che servono a definire un rango sociale. Insomma la violenza non nasce dal confronto tra diversi ma tra uguali, ed è proprio l’uguale che temiamo anche in colui che crediamo essere diverso: ad esempio il profugo siriano che ci assomiglia tanto da volere la stessa cosa che vogliamo noi. È il fratello la figura dell’avversario. Lo stesso complesso di Edipo, in fondo, è un conflitto mimetico.

Gli antichi miti descrivono delle società nelle quali il contagio della violenza veniva evitato per mezzo del sacrificio: concentrando tutta la violenza su un “capro espiatorio”, il ciclo infinito delle ritorsioni poteva essere interrotto. Nelle società più avanzate, delle istituzioni e dei simboli prendono il posto del meccanismo vittimario. Ad esempio il ciclo della vendetta viene soffocato per mezzo del sistema giudiziario, che evacua la minaccia delle vendetta o per meglio dire la circoscrive in una rappresaglia unica il cui esercizio è affidato a un’autorità sovrana.

Caratteristica della società contemporanea, secondo Girard, è di avere messo in crisi queste istituzioni, di averle rese disfunzionali. Il filosofo francese attira la nostra attenzione sulla terribile contraddizione insita nel sistema democratico, che volendo farci uguali ci mette nella condizione di una guerra permanente di tutti contro tutti. La tradizione girardiana è dunque sostanzialmente quella del liberalismo conservatore di Edmund Burke e Alexis de Toqueville. Girard, proprio come questi autori, individua nella Rivoluzione francese del 1789 la grande rottura dalla quale è sorto un ordine del mondo instabile e precario, sempre a rischio di essere infettato dalla violenza. E a ben guardare sono le stesse parole d’ordine di questa nuova società ad essere sospette: “libertà”, “eguaglianza” e “fraternità” non sembrano condannarci appunto a una competizione senza fine, a un’urgenza di distinguerci gli uni dagli altri, a una lotta fratricida?

Contrariamente a certi luoghi comuni, la tradizione del liberalismo conservatore rivolge uno sguardo critico verso il liberalismo economico, ovvero quel “sistema della concorrenza” alimentato proprio dalla rivalità mimetica, il cui solo esito possibile nello schema girardiano sarà il consumo totale di tutte le risorse disponibili. René Girard viene a mancare senza avere scritto, magari a quattro mani come ultimamente amava fare, quel trattato di economia che sembrava covare da anni. Vi avrebbe potuto sviluppare le analogie tra il suo modello e quello della teoria dei giochi, o ancora interrogare la funzione della rivalità nella creazione di bisogni per stimolare domanda, consumi e spesa pubblica.

Su scala planetaria, come affermato nel libro-testamento Portando Clausewitz all’estremo, la rivalità economica tra le nazioni rischia di sfociare presto o tardi in un conflitto armato globale che potrebbe portare alla distruzione (letterale) del mondo, al termine di un’escalation come quelle descritte da Clausewitz nel suo trattato Della guerra. O per dirla altrimenti, una “Mutual Assured Destruction”: non bisogna dimenticare che Girard ha sviluppato le sue teorie in piena Guerra Fredda ma che negli ultimi anni di vita ha visto emergere la potenza cinese. La sua ultima profezia potrà essere verificata a tempo debito: “Il conflitto [tra USA e Cina] avrà luogo nel momento in cui l’indifferenziazione tra i due avversari avrà raggiunto il suo punto di non ritorno”.

René Girard

Il caos è in marcia e solo un mito potrà salvarci: Gesù Cristo. Tuttavia la conversione di René Girard è puramente intellettuale. Per lui “Gesù Cristo” è il nome della sola alternativa al ciclo eterno della violenza e a quella soluzione raffazzonata (poiché si limita a rimandare il problema) che è il sacrificio rituale: “Ci vorrà sempre maggiore violenza prima della riconciliazione”. Gesù Cristo è colui che “porgendo l’altra guancia” interrompe il ciclo della violenza, che accetta di subirla per l’ultima volta, che rifiuta il meccanismo delle ritorsioni e sostanzialmente “esce dal gioco” lasciando tutti con un palmo di naso. Il problema è che nessuno è sicuro se Gesù Cristo davvero verrà.

Buona Apocalisse a tutti.

Raffaele Alberto Ventura
Raffaele Alberto Ventura vive a Parigi dove si occupa di marketing per un grande editore europeo. Editor-at-large di Prismo e fondatore del blog Eschaton, ha scritto per Studio, Internazionale e Minima & Moralia.

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