Ascoltiamo gli ultimi album di Fatima Al Qadiri, Brood Ma, Paul Jebanasam, e parliamo della collaborazione tra Amnesia Scanner, Bill Kouligas e l’artista Harm Van Den Dorpel.
Questa domenica proseguiamo da dove ci eravamo lasciati lo scorso novembre parlando di musica hi-tech, accelerazionismi post-internettiani e futurismi digitali, insomma della roba che in ambito elettronico ha dominato il 2015 (dei vari Arca, SOPHIE e Roly Porter si è già avuto modo di parlare in altre puntate di questa rubrica). Vediamo quindi come se la stanno cavando a 2016 appena iniziato i beniamini contemporanei della fully automation prossima ventura, quelli che insomma quando li ascolti non puoi fare a meno di ricordati che le macchine stanno a nostra insaputa prendendo coscienza da sole.
Fatima Al Qadiri – Brute
(Hyperdub)
Brute è il disco arrabbiato di Fatima Al Qadiri, un aggettivo che – mi rendo conto – viene difficile applicare al suono levigato, mercuriale, tutto pareti lisce e zero spigoli che già informò il precedente Asiatisch. L’artista-musicista kuwaitiana si è sempre tenuta a mezza strada tra concettosità iperrealista alla DIS e quella che fondamentalmente ne è la controparte audio: una specie di muzak che pare venuta fuori dalla lobby di un albergo di Dubai, sottilmente inquinata da orientalismi acidognoli e rade trame grime, perversamente semplice nel suo porsi come pura superficie, piatta come lo schermo del vostro iPad (un paragone che quando si parla di lei salta sempre fuori e di cui io stesso continuo ad abusare, perdonatemi).
E Brute a prima vista è ancora quella roba lì, solo che è anche un disco molto buio, di un buio a malapena rischiarato da qualche lontana insegna al neon, e come afflitto da una struggente malinconia depressa. Il motivo di tanta negatività è che è l’album è quello che chiameremmo “un concept sulla repressione”, intesa proprio come manganelli e cordoni della polizia, in un percorso che dagli ultimi fuochi di Occupy passa per primavere arabe, Ferguson, ma anche sorveglianza online e controllo globale.
“È l’album politico e rabbioso di cui avevamo bisogno” ha sentenziato recentemente Noisey, e per quanto di dischi politici ormai ne escano a cadenza praticamente settimanale (specie nell’ambito della nuova elettronica HD), l’idea che c’è gente che potrebbe scambiarlo per banale musique d’ameublement per sfilate e mi provoca un sottile, perfido moto di divertimento.
Brood Ma – Daze
(Tri-Angle)
James B. Stringer aka Brood Ma è il principale motore dietro Quantum Natives, collettivo inglese (o banda di terroristi digitali, fate voi) che basta dare un’occhiata al sito per farsi un’idea di cosa stiamo parlando: un labirinto che parodia Google Maps per precipitare lo “spazio dei flussi” internettiano in un’intricata serie di fratture, buchi, vuoti e strappi, un po’ il tipo di sensazione che provi quando guardi un manifesto firmato Metahaven.
Avevo grandi aspettative per il suo primo album su Tri-Angles (oramai una delle tre o quattro etichette più influenti in circolazione), anche perché il precedente POPULOUS mi era piaciuto parecchio, e in generale Quantum Natives mi sembra una delle esperienze più sintomatiche e interessanti dell’odierna estetica hi-tech; e per fortuna Daze è il classico disco più-che-buono, uno di quei titoli che uno è un po’ obbligato a dargli un’ascoltata per tenersi aggiornato, solo che non so…
C’è tanta, troppa roba in questa mezz’oretta scarsa di musica, e qui e là si respira un’aria cyberpunk che sì, fa sempre colpo, ma se Ghost in the Shell va a finire in mano a gente come Steven Spielberg e Scarlett Johansson vuol dire che anche basta. Però alla fine chi se ne frega, ho già detto che il disco è più-che-buono e piccoli rave in miniatura come “Molten Brownian Motion” filano dritti a fianco degli ultimi Rabit e Angel-Ho tra le esperienze sonore più dure, distopiche e feroci ascoltate di recente.
Bill Kouligas/Amnesia Scanner/Harm Van Den Dorpel – Lexachast
(lexachast.com)
A proposito di pesi massimi: Bill Kouligas (il boss della PAN) ha recentemente partecipato a questo progetto dell’artista olandese Harm Van Den Dorpel assieme ad Amnesia Scanner, in assoluto la mia coppia preferita del giro Janus e dintorni.
Finora gli Amnesia Scanner non hanno mai pubblicato un disco “vero”, preferendo diffondere le loro cose esclusivamente online, il che è una scelta se non altro coerente col loro concept post-umano, post-tecnologico e post-tutto. E anche qui, la regola viene puntualmente rispettata. Nella fattispecie, Lexachast non sarebbe nemmeno una vera e propria “opera musicale” quanto un (ehm) progetto multimediale da guardare/ascoltare sul sito lexachast.com: in sostanza, quella di Kouligas e Amnesia Scanner altro non è che la colonna sonora per una serie di immagini raccolte da Van Den Dorpel online, col piccolo particolare che ogni volta che uno ricarica la pagina, le immagini che partono sono sempre diverse.
In casi del genere, è ovviamente impossibile separare il contenuto musicale da quello visivo; ma se teniamo da parte le immagini e proviamo a concentrarci sul puro suono di questo singolo brano della durata di un quarto d’ora circa, la buona notizia è che gli Amnesia Scanner sono rimasti quella cosa enigmatica, disturbante e affilata che erano ai tempi dei primi brani (e del personale, piccolo capolavoro “As Angels Rig Hook”) mentre gli interventi di Bill Kouligas sembrano limitarsi ai disturbi noise e divagazioni digital-concrète tipiche del musicista/producer greco. So che rischio la banalità, ma visto anche il retroterra di Van Den Dorpel, possiamo tranquillamente chiamarla post-internet music.
Paul Jebanasam – Continuum
(Subtext)
L’altro giorno mi lamentavo con l’amico Polysick che sì, bella l’estetica accelerazionista e tutta quest’elettronica 3D fredda e ipermoderna, però ogni tanto uno sente anche bisogno di un po’ di sentimento, e insomma se prima di andare a dormire metto Arca mi sale l’angoscia, e non può essere che nel 2016 sei costretto a ritirare fuori i Boards of Canada quando ti viene voglia di un po’ di umano trasporto per l’era delle macchine.
Immagino sia il segno che sto invecchiando, e sono abbastanza certo che in giro c’è qualche diciannovenne che Arca se lo spara come piacevole musica d’accompagnamento mentre si fa la doccia. Comunque Continuum di Paul Jebanasam è un po’ quel tipo di disco lì: moderno, iperrealista, ultra-hi-tech e tutto, e in più con una sua solennità chiesastica, quasi sacrale, roba insomma che fa pensare a qualche rito liturgico per fibre ottiche e mastodontici impianti al silicio. Il sentimento c’è, sull’umanità ho qualche dubbio, ma già che si parlava di macchine che prendono coscienza da sole, immagino che rimpiangere i bei tempi dell’elettronica calda & umana sia null’altro che triste nostalgismo di una specie oramai condannata all’estinzione. :(
Valerio Mattioli, caporedattore di PRISMO, ha scritto tanto in giro. Il suo libro "Superonda - Storia segreta della musica italiana" è uscito per Baldini & Castoldi nel 2016.