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Viaggi nel tempo, nello spazio e nel mondo animale, romanzi, saggi, fumetti, musica e fantascienza: una selezione dei libri più belli del 2016.

Ciao e benvenuti alla lista dei libri dell’anno di Prismo. Come avrete già capito, dato che siete arguti e affilati come i micro-artigli di un micio di due mesi, non ho compilato una lista dei libri “migliori” dell’anno, né tantomeno una “classifica”. I libri sono tantissimi, e tutti molto diversi, e mi sembrava un po’ strano e riduttivo metterli in ordine. Ho solo chiesto ad alcuni nostri amici e collaboratori di selezionare un po’ di libri meritevoli di essere acquistati. Non c’è niente di scientifico, qui, solo una caterva di libri meritevoli usciti nel 2016. Sono davvero tanti. Alcuni—la stragrande maggioranza—sono in italiano, altri, no. Magari a Natale vostra nonna vi ha sganciato un 50 euro, e quindi, ecco, il mio consiglio, al posto di spenderli tutti per tre gin tonic fatti con un gin invecchiato in una botte di sherry da un monaco hipster e un’acqua tonica così speciale che nemmeno ha l’etichetta, è di spenderli in libri. Libri di tutti i tipi: saggi, romanzi, fumetti, quello che vi pare. E ora, avanti ai consigli!

Philippe Druillet
Lone Sloane. L’Integrale
Magic Press
Un libro in quota “mi è esploso il cervello leggendolo” è la raccolta definitiva in italiano delle spaziali avventure di Lone Sloane, personaggio creato nel 1966 da Druillet, genio francese tra i fondatori di Métal Urlant. Vorrei spiegarvi la trama ma mi rendo conto che è inutile, i disegni sono incredibili e le astronavi bellissime; Sloane è un eroe assurdo, un rinnegato potentissimo narrato su tavole densissime di dettagli galattici, esseri deformi e braccia deformate. Vero, alle volte la trama passa leggermente in secondo piano, ma alle volte i cazzotti spiegano tutto. Specie se sono disegnati così. (Pietro Minto)

Simon Critchley
Bowie
Il Mulino
Simon Critchley è un filosofo punk inglese, ha raccolto un discreto successo con Il libro dei filosofi morti (in Italia per Garzanti) e ha scritto di teatro, cinema, humor e comicità.  Critchley è anche un fan sfegatato di David Bowie, e nel 2014 ha pubblicato una sorta di raccolta di analisi dei testi delle sue canzoni, libriccino ampliato dopo la morte del cantante e ora pubblicato anche in Italia. “Bowie guardava se stesso sapendo che tutti guardavano lui”, scrive Critchley, e Critchley guarda Bowie raccontando se stesso, i suoi studi filosofici, le sue fissazioni personali. Nel frattempo passa in rassegna versi e dischi di Bowie, dal debutto all’ultimo, e cerca di trovare un filo rosso dell’opera omnia ripercorrendo le solite parole chiave: realtà, artificio, utopia, Dio, sesso – e Berlino, ovviamente. Ne vien fuori un volumetto indefinibile, caotico, lacunoso, a volte fuori fuoco, spesso illuminante, molto originale. (Matteo De Giuli)

Suketu Mehta
Vita segreta delle città
Einaudi
In un mondo in rapida urbanizzazione il tema delle città è sempre più fondamentale per capire il futuro del capitalismo, e infatti in lingua inglese si pubblica molto a riguardo. Non in Italia, dove questo pamphlet dell’autore di Maximum City è passato quasi inosservato. Eppure, portandoci a spasso tra New York, Mumbai e le favelas di Sao Paulo, il libro di Mehta ci induce a riflettere su una domanda importante: cosa diventano le nostre città se ne facciamo un prodotto da vendere sul mercato globale all’elite dei super-ricchi? (Gianluca Didino)

Julio Cortàzar
L’inseguitore
Sur
Cosa succede quando si annullano le distanze tra l’opera e l’artista, quando si finisce per raggiungere l’intimità con un genio problematico e inconsapevole? Siamo a Parigi, negli anni Cinquanta. Johnny Carter è un sassofonista rivoluzionario e instabile. Bruno è un critico musicale, suo biografo e amico. Johnny è un talento insoddisfatto e ignaro, un tossico tormentato ma senza grandezza, costantemente all’inseguimento dei propri fantasmi. Incide assoli stupendi che gli provocano disgusto. “Per lui è il fallimento a noi sembra una via, o almeno l’indicazione di una via”. Perde i suoi sax, li rompe, sta male, è in balia di alcune visioni, fa saltare in continuazione le date dei concerti. Bruno prende continuamente appunti mentali, aiuta l’amico, ne è disgustato, lo ammira, lo ama, ne prova pena. Uscito per la prima volta nel 1959 nella raccolta Le armi segrete (ultima edizione italiana Einaudi), L’inseguitore (già Il persecutore) è uno dei racconti più famosi di Cortàzar, basato sugli ultimi giorni di vita di Charlie Parker. Ripubblicato quest’anno da Sur, ha adesso una nuova traduzione (di Ilide Carmignani) e una manciata di illustrazioni di José Muñoz che accompagnano perfettamente la storia. (Matteo De Giuli)

Denis Johnson
Mostri che ridono
Einaudi
Denis Johnson scrive romanzi imperfetti che contengono paragrafi e personaggi indimenticabili. Mostri che ridono è la sua variazione sulle corde di Graham Greene e Joseph Conrad, maestri già visitati da Johnson in Albero di Fumo. Una spy-story equatoriale senza una vera e propria storia né delle vere e proprie spie ma molta, moltissima Africa e molti, moltissimi cuori di tenebra. L’ennesima dimostrazione di come, anche nei suoi esiti meno riusciti, Johnson abbia più talento di quasi chiunque altro per le atmosfere dei generi che attraversa. (Cesare Alemanni)

Ivan Carozzi
Teneri violenti
Einaudi
Il doppio sguardo romantico sulla storia che si muove dentro questo libro è sottile, dolcissimo, esattamente come il suo titolo dotato di estremi slanci di tenerezza e della percezione del ricatto assai violento che il nostro tempo ci impone ogni giorno. Così, tra ritagli di vecchi quotidiani e aperitivi schifosi, bar milanesi dai nomi esotici ed erotismi a corrente alternata creati su slanci nostalgici, il protagonista di questo romanzo troppo breve s’inabissa nelle storie del passato e insieme nella propria storia di piccolo umano degli anni ’10 di un secolo sabbioso e troppo cauto e calcolatore per chi col cuore caldo procede con il gusto appassionato di tenere aperti i passati, le storie perdute, l’amore finito, l’Italia magica scappata via. (Giulia Cavaliere)

Helen MacDonald
Io e Mabel
Einaudi
Di Io e Mabel si è parlato davvero parecchio quest’anno. In molti casi, forse nella maggior parte, come esempio di una letteratura dell’antropocene. Una scrittura capace di riflettere sul modo in cui l’uomo modifica e influenza la natura, incarnata in questo caso nel profilo affilato di un astore. Si, perché Io e Mabel è, come recita il sottotitolo dell’edizione italiana, un libro sull’arte della falconeria; ne spiega le tecniche, racconta il legame che si instaura tra un falconiere e il suo rapace e scava nella sua archeologia culturale, mostrandone i non detti e i sottintesi che l’attraversano.
E anche se questo è l’aspetto più celebrato ed evidente del il libro di Helen Mc Donald, Io e Mabel non è solo il resoconto dell’addestramento di un astore. È una profonda meditazione sulla depressione e una metafora della malattia: capricciosa, severa, dolorosa, spietata ed estenuante. Lo stesso spettro emotivo che emana da un astore e, come con un astore, non c’è risoluzione possibile alla malattia che non passi per un addestramento fatto di confronto diretto, scontro quotidiano, la negoziazione costante che ci costringa a guardare il male negli occhi e ad affrontarlo per non finire dilaniati dai suoi artigli. (Flavio Pintarelli)

Stefano Liberti
I signori del cibo
minimum fax
“I brasiliani usano le loro terre per produrre la soia che viene ingurgitata dai maiali industrializzati che la Cina ha importato dagli Stati Uniti; i cinesi usano le loro campagne per produrre il concentrato di pomodoro che verrà esportato in Africa o servirà da base al ketchup negli hamburger che i fast food come McDonald’s vendono in tutto l’Occidente – e che stanno cominciando a spopolare anche in Cina”. Una sorta  di enorme e tragica fiera dell’est si nasconde dietro l’opaca filiera globale dell’industria alimentare, dominata oggi esclusivamente da grandi gruppi commerciali e finanziari. Stefano Liberti è partito da quattro alimenti, tonno, pomodoro, soia e carne di maiale, e ha girato mezzo mondo per raccontare (e capire, anche grazie ai dati) i meccanismi di un sistema di affari che egli stesso ribattezza estrattivo: completamente cieco nella lunga distanza, destinato al collasso, incurante della sostenibilità delle risorse naturali e degli equilibri sociali. (Matteo De Giuli)

Richard C. Francis
Addomesticati. L’insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all’uomo
Bollati Boringhieri
Di mucche selvatiche non ce ne sono. Ma come ci sono finite, le mucche, nei nostri allevamenti? 18.000 anni fa in effetti non c’erano mucche, ma uri – gli animali più grossi e pericolosi che l’uomo abbia mai addomesticato, estinti e soppiantati dalle più miti parenti crumire. Evidentemente a volte lasciarsi addomesticare, almeno in un’ottica evolutiva, conviene: perdi la libertà, ma guadagni grossissime chance di riprodurti. Francis ci presenta gli antenati selvatici di tutte le specie oggi domestiche, in un saggio avvincente come un romanzo, popolato di animali antichi che farebbero la loro figura su uno dei pianeti sabbiosi di Star Wars. Non certo una sterile sfilata di creature freak, ma un’analisi profonda di che cosa significa addomesticare e che cosa accomuna tutte le specie addomesticate. Con frequenti detour storici, letterari, mitologici, e un finale a sorpresa: protagonista dell’ultimo capitolo, l’essere umano. (Roberta Fulci)

William Finnegan
Giorni Selvaggi
66th and 2nd
La sola cosa che si può rimproverare a un libro come Giorni Selvaggi è l’hype che ha generato. Talmente elevato che, dopo averlo letto, in molti si sono sentiti in diritto di disquisire con una certa, fastidiosa sicumera di break, swell, o drop anche se fino a quel momento la cosa più vicina a una tavola da surf che avessero mai maneggiato in vita loro era l’asse da stiro.
Ma l’hype è un peccato che si perdona facilmente. Soprattutto davanti a un libro di questa portata. E infatti il memoir con cui William Finnegan racconta il suo rapporto con la tavola e l’oceano non ha nulla di facile o superficiale. È, anzi, una sfida alla possibilità di scrivere la natura, riportando sulla pagina quel grumo di sensazioni che nasce dalla complessa interazione tra un essere umano, la sua protesi e le forze naturali che spingono enormi masse d’acqua a muoversi da una sponda all’altra degli oceani. E mentre prova a farlo, l’autore racconta anche qualcosa di se stesso: il proprio invecchiare e la ricerca di un modo per armonizzare alla selvaggia passione di una vita quel lento ma inesorabile cambiamento a cui solo la morte saprà sottrarci. (Flavio Pintarelli)

Davide Reviati
Sputa tre volte
Coconino
Un racconto straziante sulla vita di provincia, il razzismo, l’amore e la questione Rom. Sputa tre volte parla della grande campagna del Nord Italia, di giovani che vivono la loro vita in una bolla, tra scuole professionali, ubriacature e altre facezie. Poco più in là, ci sono loro, gli altri, i zingari, e tra di loro troviamo Loretta e il suo mistero. Ci sarà dolcezza e violenza. Reviati si conferma Reviati e anzi alza il tiro, con un’opera neorealista che più 2016 non si poteva. (Pietro Minto)

Amedeo Balbi
Dove sono tutti quanti? Un viaggio tra stelle e pianeti alla ricerca della vita
Rizzoli
Ci son domande alle quali è difficile dare una risposta o magari son malposte e la risposta non c’è o, se c’è, è un numero a caso. Altre paion fatte apposta per azzardarla e così di risposte se ne producono decine, per lo più improbabili. Capita per esempio con le domande fondamentali tipo quella, assai celebre, posta a titolo di questo libro (Dove sono tutti quanti? Tutte le forme di vita aliene, s’intende) che una “risposta scientifica” ancora non ha, almeno per ora.
Il libro di Balbi mostra quanta fatica è necessaria per capire come stanno le cose, qualsiasi cosa, se rifiutiamo le spiegazioni di comodo o il pensiero magico ci imbarazza. Racconta anche quanto sia meravigliosa quella fatica lì, il gusto che si prova a svelare un pezzetto di ignoto, a scoprire e dar ragione alle cose e agli eventi. Se ci salirete a bordo, del libro, vedrete brillare i raggi del Sole sul mare di Titano e, non vi bastasse, potrete andare più in là: nello spazio, magari a cercare indizi di vita dalle parti di Proxima Centauri, o nel tempo, per apprendere come diavolo abbiam fatto ad evolverci in quello che siamo. Son storie bellissime e se le sai raccontare, ancora di più. (Peppe Liberti)

Daniel Clowes
Patience
Bao Publishing
Patience è il primo lavoro di Clowes dopo cinque anni. È una storia d’amore e di ossessione, ma è anche una storia di fantascienza, il racconto di un viaggio nel tempo che andrà (forse) ad alterare la linea spazio-temporale incidendo sugli eventi in maniera imprevedibile, quel tipo di cose che abbiamo visto e letto ormai in un mucchio di libri, film e fumetti ma che continuano a piacerci moltissimo. La narrazione  si apre nel 2012, prosegue nel 2029, torna indietro nel 1985. Il 1985 è anche l’anno del debutto di Clowes, che nel frattempo è diventato uno dei nomi del pantheon del fumetto contemporaneo grazie soprattutto alle sue storie brevi. L’annuncio di una pubblicazione più corposa del solito (senza esagerare, siamo sulle 200 pagine) ha fatto subito sognare di poter leggere finalmente il grande fumetto americano di Clowes, un’opera che raccogliesse una volta per tutte la provincia, le introspezioni, le nevrosi un po’ indie, le citazioni pop, gli interludi surreali. Forse non ci siamo ancora, ma ci stiamo arrivando. (Matteo De Giuli)

Greg Milner
Alla ricerca del suono perfetto
Il Saggiatore
Alla ricerca del suono perfetto è uno dei più bei libri di musica degli ultimi dieci anni, ammesso che di semplice “libro di musica” si possa parlare: in effetti, oggetto di Milner non è la classica mitologia ruock né tantomeno qualche sua impervia variante underground; piuttosto, come il sottotitolo lascia intuire, è la storia del suono registrato, in un percorso che dai cilindri di Thomas Edison porta infine all’mp3, con tutto quello che c’è in mezzo: innovazioni tecnologiche, studi e tecniche di registrazione, diatribe tra audiofili, vinile vs. compact disc, analogico vs. digitale, batterie che suonano asciutte vs. batterie larger-than-life, eccetera eccetera eccetera. Se vi sembra un argomento arido o poco interessante, credetemi: la maniera in cui Milner ricostruisce storie, peripezie, effetti e persino filosofie di un secolo e passa di musica registrata, fa sembrare l’autobiografia di Keith Richards il modesto memoir di un pensionato, e spiega tantissimo del modo in cui noi oggi “ascoltiamo musica”. (Valerio Mattioli)

Frans de Waal
Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?
Raffaello Cortina Editore
Non è così azzardato definire de Waal uno dei maggiori divulgatori viventi, nel solco della tradizione dei grandi naturalisti. Negli anni il primatologo olandese ci ha mostrato le frontiere delle scienze cognitive applicate al mondo dei primati, utilizzando il suo inconfondibile stile di scrittura, asciutto, estremamente scorrevole e con, a tratti, sfumature personali alla Gerard Durrell. Questo libro rompe un po’ con quelli precedenti, diventando più accademico. E c’è una ragione, semplice: negli ultimi anni il dibattito attorno alla “cultura degli animali” è diventato arroventato, un dialogo serrato tra neo-behaviouristi e una agguerrita pattuglia di etologi che affermano che sì, esiste una cultura non-umana, è la scienza che ancora non ha gli strumenti per comprenderla. Marc Bekoff e Jessica Pierce qualche anno fa avevano affermato che anche gli animali hanno un’etica e che con buona probabilità è alla base di una sorta di cultura animale (M. Bekoff, J. Pierce, L’Intelligenza morale degli animali, Baldini e Castoldi, 2010). Bonner quest’anno conferma che gli animali hanno una cultura, perché “serve” loro dal punto di vista biologico (J. T. Bonner, La cultura degli animali, Bollati Boringhieri). De Waal conclude (fino ad oggi) rispondendo e andando al cuore del problema: su cosa si basa, etologicamente, la cultura?  Per scoprire la risposta dobbiamo prima uscire dalla nostra rigida razionalità umana e immergersi nella lettura di questo libro. (Giacomo Destro)

Jennifer Hayden
La storia delle mie tette
Edizioni BD
La promessa è mantenuta: alla fine, delle tette dell’autrice saprete tutto. Dall’adolescenziale Niente tette al liberatorio Tette al fresco, da Niente più tette (sì, la ragione è quella brutta) a Tette da dea, i capitoli di questo graphic novel mettono insieme un’intera autobiografia. Originale, buffa e anche devastante, racconta l’epoca in cui una proprietaria di tette si doveva confrontare con un protocollo chirurgico radicale: hai il cancro? Via tutto. E le vignette sono piene zeppe di particolari preziosi, che a una prima lettura possono sfuggire: la trama è divertente, nonostante il dramma, e impone una certa foga. La seconda volta invece i dettagli fanno sorridere moltissimo – come le mille didascalie fintamente ingenue, con tanto di freccette: “sudore”, “sacchetto di depistaggio”, “pane fatto in casa” – e raccontano una grossa fetta della storia. (Roberta Fulci)

James Gleick
Time Travel: A History
Random House
Pagando profumatamente un’agenzia di safari nel tempo, un turista parte per il Giurassico a caccia di T-Rex. Le cose però vanno meno lisce del previsto e quando il milionario torna nel suo presente trova l’America governata da un despota para-fascista e semi-illetterato. Cosa è successo? Non è un indovinello ispirato all’attualità, è la sinossi di Rumore di tuono di Ray Bradbury, uno dei tanti racconti di fantascienza che, nel mio saggio divulgativo dell’anno, James Gleick utilizza per ispezionare due strani animali: il tempo e il caos.
Time Travel è il romanzo di una rivoluzione: quella della nostra idea di Tempo e di causalità. Una rivoluzione cominciata come una scintilla nella testa di uno scrittore di fantascienza, H.G. Wells, e poi propagatasi come un incendio grazie all’opera di numerosi piromani: i più grandi fisici, scrittori, logici e artisti dell’ultimo secolo. Una rivoluzione che ha riempito le nostre vite di quesiti paradossali, e che Gleick ripercorre senza l’ansia di tracciare confini certi tra scienza e immaginazione, tra teoria e metafora, e anzi sottolineando come le prime spesso, se non sempre, nascano tra le pieghe delle seconde. (Cesare Alemanni)

Thomas Ligotti
La cospirazione contro la razza umana
Il Saggiatore
Dopo anni di ingiustificabile indifferenza, l’Italia sta finalmente scoprendo questo maestro americano del racconto weird, definito dal Washington Post “il mistero meglio custodito dell’horror contemporaneo”. Merito principalmente di due case editrici: la Elara Libri, che dopo aver curato l’esordio italiano di Ligotti con la sua celebratissima prima antologia (I canti di un sognatore morto, 2007) nei primi mesi di quest’anno ha dato alle stampe anche Lo scriba macabro (entrambe le antologie sono state recentemente ristampate in un volume unico nei Penguin Classics, un onore toccato a non più di una decina di autori viventi, inclusi Pynchon e DeLillo); e Il Saggiatore, che dopo la splendida edizione di Teatro Grottesco dello scorso anno nel 2016 è uscita con il celebre saggio La cospirazione contro la razza umana. Lavoro controverso, che ha ispirato piuttosto profondamente Nic Pizzolatto nella definizione del memorabile personaggio di Rust Cohle per la prima stagione di True Detective, questo libro è un concentrato della poetica nichilista su cui si regge la produzione di Ligotti. Una visione del mondo spietata, che mette a nudo la recita dell’esistenza e non lascia scampo, fino a opporre con convinzione la posizione antinatalista dell’autore all’ossessione per il superamento del tempo che accompagna tanta letteratura americana, fino all’ultimo Don DeLillo (Zero K, Einaudi). (Giovanni De Matteo)

Filipa Ramos
Animals
United Kingdom
E niente: La serie di antologie Documents of Contemporary Art edite dalla Whitecapel si delineano sempre di più come strumenti fondamentali per scorgere temi in quell’immaginario artistico contemporaneo che a uno sguardo superficiale potrebbe apparire sempre più inconsistente e ripiegato su se stesso. Filipa Ramos ha messo insieme una serie di contributi attorno ad un tema cruciale per la cultura visuale: gli animali. Dai graffiti delle grotte di Chauvet alle più recenti Biennali, gli animali continuano a rappresentare una presenza fissa, imprescindibile, per il racconto dell’umanità. Ed è particolarmente interessante leggere e rileggere i brani che attraversano tutta la storia del pensiero recente da Deleuze a Derrida, da Agamben a Berger (che scrisse l’importante Why Look at Animals?) all’antropologo Eduardo Viveiros de Castro: come continuare a pensare agli altri animali continui ad essere vitale, non solo in termini di rappresentazione ma per la formulazione del linguaggio e della nostra identità: “ogni parola fu un tempo un animale”. Gli animali come prima metafora dell’uomo, così come appare chiaro nelle opere di Joseph Beuys, Mike Kelley e Francis Alys, e come segno di mutazioni e trasformazioni in atto nel nostro ambiente nei lavori di Apichatpong Weerasethakul e Pierre Huyghe, particolarmente significativi alla luce del fatto che l’antropocene segna anche la sesta estinzione di massa di specie animali. (Riccardo Conti)

Emmanuel Carrere
Io sono vivo voi siete morti
Adelphi
Immagino a posteriori questo libro come materiale spumoso, una specie di panna montata da prendere con le dita, zuccherosissima e poi improvvisamente dal sapore equilibrato ma pronta al boccone successivo a riempirti di nuovo la lingua di zucchero grezzo. Così mi è parsa la vita di Philip K. Dick, appresa in diverse giornate e notti lunghe dell’estate 2016, portata tra le mie dita in versione digitale anche passeggiando per le strade della città pensando “sono diventata come quelli che leggono per strada e non sanno dove vanno”, rendendomi progressivamente sempre più conto di quanto quest’alternanza di estremi e il procedere diciamo pure progressivamente sempre più ossessivo della lettura, fossero anche tratti distintivi di questa biografia magmatica e precisa, trasparente, adatta a essere consumata anche da chi, come la sottoscritta, non ha certo mai fatto una malattia dell’opera del protagonista. Un imperdibile viaggio americano che parte dall’Europa. (Giulia Cavaliere)

Lukha B. Kremo
Pulphagus® Fango dei cieli
Urania Mondadori
Il 2016 è stato un anno particolarmente felice per la fantascienza italiana: l’attesa riedizione del premio Urania 2005 Nelle nebbie del tempo di Lanfranco Fabriani (Delos Books), il ritorno in gran stile di Maico Morellini con il romanzo La Terza Memoria (Urania Mondadori), il formidabile romanzo breve La mediatrice di Davide Del Popolo Riolo pubblicato direttamente in edizione digitale (ancora per Delos Books). Ma è stato soprattutto l’anno di Lukha B. Kremo, figura storica del fandom SF italiano, che dopo innumerevoli piazzamenti si è aggiudicato il premio Urania con Pulphagus® Fango dei cieli. Nel solco dello sperimentalismo new wave di Samuel R. Delany e della fantascienza anarchica di Ursula K. Le Guin, il poliedrico autore livornese ci paracaduta sull’asteroide omonimo, trasportato in orbita sublunare per ospitare i rifiuti terrestri e presto diventato un’entità semiorganica, oltre che un posto estremamente pericoloso. Quello del protagonista, chiamato a rintracciare una ragazza scomparsa a cui era un tempo molto legato, è anche un viaggio nella memoria, oltre che un ritorno in questa wasteland orbitale da cui è voluto scappare. E con un tour-de-force stilistico impressionante (basti pensare che nella società futura di Pulphagus® ogni parola è soggetta a registrazione e il linguaggio viene così ad avere un costo, vincolando i cittadini ad accedere a espressioni e vocaboli diversi a seconda della rispettiva disponibilità economica), Kremo conferma lo strano feeling che ormai da un decennio porta la fantascienza italiana a confrontarsi con il tema del collasso ambientale e l’opprimente minaccia dei rifiuti, rivelando forse la definitiva assimilazione di uno dei nuclei tematici del filone postmoderno. Dell’autore, fresco di stampa (digitale), si segnala anche il ciclo dei Nerogatti di Sodw, trilogia urban fantasy edita da Delos Books. (Giovanni De Matteo)

Boris Groys
In the flow
Verso Books
Recentemente Lawrence Lessing ha raccontato di come la segmentazione del mondo creata da internet sia devastante per la democrazia; nello stesso anno Boris Groys fa un tour attraverso alcune dei costrutti culturali più dominanti del nostro tempo: i musei, gli archivi e appunto, Internet. Analizzando quelli che sono gli oggetti depositati in questi contenitori e quali sono le tassonomie di tali archivi: attivismo, partecipazione, estetizzazione, infezione e trasgressione. Groys, alternando paradossi e provocazioni, si domanda come possano questi termini corrispondere ancora a valori culturali e artistici nell’era dell’avvento della post-truth e del post-contemporary. (Riccardo Conti)

Lily King
Euforia
Adelphi
Euforia è un libro che fa il suo dovere con una precisione insopportabile. È un romanzo secchione. Dichiara subito di giocare su diversi livelli, anzi, come i maestri di scacchi impegnati nelle dimostrazioni contro i bambini di otto anni, apre subito, sfacciato, una serie di partite: vuole raccontare le origini dell’antropologia moderna, sottolineandone con dolcezza meriti e ingenuità; vuole raccontare un triangolo amoroso i cui vertici vengono occupati da personaggi credibili e attraenti; vuole dare un colpo al gender e un colpo alla letteratura post-colonialista; vuole riuscire in tutte queste cose senza fare incazzare il lettore. E vince. Eccome se vince. Qualche difetto, giusto per non farlo passare come il migliore libro del decennio: alcuni colpi di scena sono al limite del grossolano, così come le pagine più sudaticce, con i loro “solchi tra i seni”, le barbe di tre giorni, quelle cose lì. (Nicolò Porcelluzzi)

John T. Bonner
La cultura degli animali
Bollati Boringhieri
Il confine tra animali e uomo, sotto il profilo culturale, appare ormai talmente labile da essere quasi del tutto sfumato. Questo ci dicono gran parte delle ricerche etologiche, specialmente sulle cosiddette “grandi scimmie” (bonobo, scimpanzè e gorilla). Negli ultimi anni, infatti, si hanno evidenze di attività che possiamo definire culturali anche in altre specie, dai corvi alle balene, dai macachi giapponesi alle orche. Già, ma siamo sicuri che parliamo proprio di cultura? Cos’è la cultura? Questa domanda, banale in apparenza, sta infiammando le ricerche sulla cognizione umana e animale. Bonner, con questo libro, rigoroso, severo e a tratti accademico, dà una risposta chiara. E’ un meccanismo biologico, che risponde (come gli altri) alle leggi dell’evoluzione. Come noi, bonobo, corvi, balene e molti altri animali hanno sviluppato uno strumento, la cultura, per sopravvivere in ambienti competitivi. Sembra una risposta banale, ma è invece estremamente di frontiera e ha sollevato un enorme dibattito nel mondo scientifico: non è un caso che nella versione italiana si sia deciso di eliminare proprio la parola chiave dal titolo. Noi compriamo “La cultura degli animali”, gli anglofoni invece “The evolution of culture in animals”. (Giacomo Destro)

Don De Lillo
Zero K
Einaudi
Nell’adolescenza leggevo Don De Lillo, a ritroso partendo da Underworld, come fosse un Vangelo. Dieci anni e numerose delusioni più tardi, ero riuscito a smettere con Falling Man, finché qualcuno non mi ha consigliato caldamente Zero K in un pomeriggio di estate. E, a sorpresa, persino i momenti più artificiosi e rarefatti tipici dei suoi late works, mi sono apparsi infine per ciò che mi piace pensare siano: burle a spese dei molti lettori che prendono De Lillo davvero troppo sul serio. Cosa resta di Zero K al netto di queste? Le cento pagine migliori scritte da Don nel XXI secolo e un tassello significativo, forse addirittura quello conclusivo, nella metafisica dello scrittore vivente più metafisico che conosca. (Cesare Alemanni)

Jean Ray
Malpertuis
Urania Mondadori
Romanzo a lungo rimasto fuori circolazione dopo la precedente edizione Mondadori del 1990, di cui questa ristampa riprende la traduzione di Marianna Basile. Cos’è Malpertuis? Citando un passaggio del libro: “Non si fanno simili domande a Malpertuis, è una tacita regola che ognuno adotta da subito, di sua spontanea volontà”. Oggetto di un seguito che potremmo definire quasi di culto da parte degli appassionati, Malpertuis ha il pregio di condensare, in una storia che potremmo definire essenziale, diversi archetipi del genere horror: dalla casa maledetta alla stregoneria, con un’irruzione di licantropi e altri miti antichi come l’uomo. Impossibile dilungarsi oltre senza rovinare il brivido della scoperta al lettore, ma l’inquietudine del romanzo deriva in larga misura dall’efficace rappresentazione di Jean Ray di un potere in grado di ridurre in schiavitù coloro che un tempo esercitarono un dominio incontrastato sulle sorti degli uomini. E la magia della scrittura riverbera in una magistrale struttura a incastro, che annida i resoconti di cinque diversi narratori mentre vanno aggiungendo alla storia i dettagli derivati dalle rispettive esperienze. Da leggere nelle notti d’inverno per riscoprire un autentico classico dell’orrore. (Giovanni De Matteo)

Han Kang
La Vegetariana
Adelphi
Non c’è niente da fare, il cibo ha smesso quasi del tutto il suo significato nutritivo e organico per diventare altro: se in passato l’atto del mangiare rappresentava solamente due possibilità: procurarsi cibo e non diventare cibo per altri, oggi ne contiene di così paradossali che la nostra identità rischia di sgretolarsi davanti ad ogni scelta legata all’alimentazione. Il Romanzo della Kang prende le mosse proprio da qui: quando una casalinga coreana a seguito di un sogno disturbante decide immediatamente di virare a un’alimentazione vegana. I tre diversi punti di vista su questa piccola e apparentemente innocente rivoluzione domestica si traducono in uno dei romanzi più sommessamente violenti e radicali sull’autonomia femminile che siano mai stati scritti. (Riccardo Conti)

Tom McCarthy
Satin Island
Bompiani
Non è il migliore dei romanzi di McCarthy e probabilmente avrebbe funzionato meglio in forma di saggio; ma siccome il suo autore è da un decennio una delle voci più interessanti della narrativa sperimentale britannica il libro merita ugualmente un’attenta lettura. Alcune scene (come il magistrale racconto del G8 di Genova a metà strada tra il Paolini di Salò e Kafka) e alcune intuizioni (la Grande Relazione, Staten Island come l’inconscio di New York) restano stupende. (Gianluca Didino)

Alberto Rollo
Un’educazione milanese
Manni
Ho aspettato questo libro per tutta la vita, l’ho sognato, l’ho desiderato e quindi, appena ho potuto, l’ho amato. Prima osservato con attrazione passeggiando in libreria, poi richiamato alla mente in diverse conversazioni, infine comprato un gelido lunedì pomeriggio di dicembre in una libreria vicina a piazza Duca D’Aosta.
Tutto di questo libro mi appartiene e tutto di questo libro non appartiene, per definizione, a tutti. In questo senso smentiamo qui l’idea sciocca per cui la grande letteratura è necessariamente di tutti: ciò che scrive Alberto Rollo non perde di vista i punti cardinali della tela di Milano, l’est e l’ovest di una formazione privata, di un inventario privato a – là – Pagliarani di strade, reticoli sentimentali, proiezioni continue ed elastiche tra il passato e il futuro. Un libro di storia sentimentale, insieme novecentesco e profondamente contemporaneo, un’opera di straordinaria attualità e di gigantesca coscienza linguistica. Autofiction di formazione e insieme romanzo storico di una città: faticosamente leggerete cose migliori uscite dalle viscere della terra italiana da qui a non so quanti anni. (Giulia Cavaliere)

Sonny Liew
The art of Charlie Chan Hock Chye
Pantheon
Non sono un grande esperto e amante di fumetti e graphic novel ma credo sia abbastanza facile farsi conquistare da lavoro così brillante che Sonny Liew ha messo insieme pazientemente in anni di lavoro, dispiegati nelle più di 300 pagine. Singapore e la sua trasformazione dal ’54 in poi attraverso la matita di un disegnatore immaginario Charlie Chan Hock Chye, appunto. Potrei sbagliarmi ma al di là della premessa meta-letteraria, l’opera di Liew incarna il racconto storico con l’evoluzione dello stile delle immagini in una modalità inedita e felicissima. (Riccardo Conti)

Kim Stanley Robinson
Rosso di Marte
Fanucci
Primo capitolo della Trilogia di Marte che Fanucci sta finalmente completando in italiano, Il rosso di Marte torna disponibile a più di vent’anni dalla prima edizione Mondadori (negli Stati Uniti era uscito nel 1993), ma lo fa in un momento in cui l’opera-simbolo di Robinson è diventata di colpo più attuale che mai. E non tanto perché il sogno marziano ha acceso la fantasie di venture capitalists e tech-titani della Silicon Valley, quanto perché quest’imponente space opera di rigorosissima fantascienza hard utilizza la missione sul Pianeta Rosso come (e qui rubo le parole al New Yorker) “una tabula rasa storica, un modello per la creazione di una società più sana, più sostenibile, più giusta”. È insomma un’opera che sottolinea con urgenza il potere e il valore dell’utopia (che Kim Stanley Robinson sia “our greatest political novelist?”, si chiede appunto il New Yorker), e lo fa unendo saga spaziale e riflessione sull’organizzazione del lavoro, ingegneria genetica e dilemmi ecologici, conflitti ideologici e superamento dei limiti della specie. Non è d’altronde un caso che proprio a Robinson e alla sua Trilogia si sia rivolto McKenzie Wark per proporre, nel suo ultimo Molecular Red, una “teoria per l’Antropocene” tanto radicale quanto non più procrastinabile. Ah, e poi nel 2017 ricorreranno i 100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre: e visto che in Rosso di Marte uno dei protagonisti principali altri non è che un discendente di Aleksandr Bogdanov(Valerio Mattioli)

Teju Cole
Known and Strange Things
Random House
Ci siamo abituati a conoscere Teju Cole come un fantastico flaneur e narratore dell’esperienza cittadina, da New York a Lagos. Poi ne abbiamo letto le puntuali polemiche sul tema del terrorismo internazionale e del razzismo. In questa raccolta di saggi scopriamo che può parlare di tutto, ma proprio di tutto (da quella volta che ha incontrato Naipaul a quella in cui è andato sulla tomba di Sebald, dal significato di avere la pelle nera alla fotografia di Leiter e DeCarava) con la stessa grazia e la stessa potenza. Saggi che sono uno più bello dell’altro, quasi senza eccezioni. (Gianluca Didino)

Zerocalcare
Kobane Calling
Bao Publishing
La guerra in Siria è una gigantesca catastrofe umanitaria che ci viene somministrata ogni giorno in forma di pillole struggenti: una foto di un bimbo impolverato e sotto shock, un video di un ragazzo che fa il clown fra i bambini di Aleppo, l’annuncio della sua morte, i sorrisi luminosi e stanchi delle combattenti curde cadute al fronte. Zerocalcare – o meglio, Michele Rech, l’essere umano dietro il personaggio Zerocalcare – si è messo lo zaino in spalla ed è andato in Siria a riempire come poteva gli spazi vuoti fra quei bocconi di storia che ci scorrono quotidianamente nella timeline di Facebook. Ne è uscito un libro raro, fatto di umorismo – quello cinico, romanissimo, a cui ci hanno abituati le strisce di Zerocalcare – e umiltà di fronte a una tragedia umana della quale l’Occidente rifiuta di assumersi la responsabilità morale e materiale. Kobane Calling non è una graphic novel, perché non è un romanzo: è una sorta di reportage intimo, buffo e tragico, il racconto di un viaggio dentro l’orrore compiuto da chi sa di avere una casa a cui tornare, e non permette mai a se stesso di dimenticarlo. (Giulia Blasi)

Laird Barron
La cerimonia
Hypnos
Celebrato come uno dei migliori scrittori horror contemporanei, Barron fa il suo esordio in Italia nella neonata collana Modern Weird delle encomiabili Edizioni Hypnos di Milano. La cerimonia è il suo primo romanzo e risplende di luce oscura, omaggiando i classici del genere da Hodgson a Lovecraft senza mai scadere nella sterile imitazione, anzi con una vitalità terrificante. In queste pagine ipnotiche il weird sconfina nel noir e nella fantascienza, mentre Barron segue l’ottuagenario geologo Donald Miller sulle tracce di un culto antico e terribile, che scoprirà affondare radici profonde ben più vicino a lui di quanto abbia mai osato temere. (Giovanni De Matteo)

Emanuele Garbin
Palaeontographica
Quodlibet Studio
In paleontologia l’incontro la scienza e arte è inevitabile: Comprendere un mondo perduto significa vederlo, e quindi tradurlo in immagini. Ma prima ancora della ricostruzione, sono i fossili stessi a dover essere disegnati. Così ripuliti e astratti, resi finalmente portatori di senso – procedimento che oggi la fotografia ha solo in parte sostituito. Qui parte Palaeontographica, viaggio coltissimo, inebriato e vertiginoso dell’architetto Emanuele Garbin tra le monografie paleontologiche del XIX secolo, di cui ospita una selezione stupefacente di stampe e disegni spesso mai ristampati finora. Opere al confine tra rigore scientifico e liturgia intellettuale verso i resti di un passato incomprensibile, inumano. Palaeontographica è un ponte tra “le due culture” che piacerà più ai laureati in filosofia che a quelli in scienze dure. Ma sono questi ultimi che ne avranno più beneficio. Scoprendo che mettere la scienza in immagini non serve solo a vedere. Ricostruire un mondo è anche visionario. (Massimo Sandal)

China Miéville
Embassytown
Fanucci
China Miéville potrebbe essere degli scrittori più sottovalutati al mondo, un grandissimo narratore che inventa storie, personaggi, intrecci, e soprattutto mondi incredibili, così ricchi di idee e sfaccettature da farti trasalire e da farti dubitare un po’ delle doti d’immaginazione degli altri scrittori là fuori. Noto principalmente per la splendida trilogia weird-steampunk-fantasy di Bas Lag e per un meraviglioso metaforone noir sul multiculturalismo e sui Balcani chiamato La città e la città, Miéville non aveva mai affrontato LA FANTASCIENZA prima di questo libro. Poi, grazie a Dio, ha deciso di farlo, e ha tirato fuori un romanzo talmente geniale, assurdo, inaspettato (che è, in qualche modo, pure un intelligentissimo trattato di linguistica), con una tale quantità di idee pazzesche, e con una tale gioia nell’essere quello che è (appunto: FANTASCIENZA) che io personamente vorrei che i romanzi li scrivesse tutti lui, sempre. Raramente mi sono divertito così tanto in compagnia di un libro, e quasi mai in così tanti modi diversi. (Timothy Small)

Wendy Hui Kyong Chun
Updating to remain the same. Habitual new media
MIT Press
Proprio quando sembrava che non ci fosse più niente da aggiungere a proposito di internet, Wendy Hui Kyong Chun torna ad analizzarne alcuni meccanismi paradossali ma soprattutto a tratteggiare prospettive critiche sulla nozione di update e di “novità” all’interno dei media. Se la nascita della rete (anche grazie a molta delle recente fiction) è stata circondata da un alone mitico, come di un luogo aperto dove formulare soggettività e utopie, la sua “maturità” nell’ultimo decennio ci racconta di uno spazio di sorveglianza totale, privatizzato dai social network. Il punto di questa trasformazione è che siamo diventanti abitudinari dei new media. L’update, Chun discute, è centrale nel creare nuove abitudini e dipendenze, il cuore del capitalismo neoliberale. (Riccardo Conti)

Antoine Volodine
Terminus Radioso
66th and 2nd
Qualche giorno fa mi segnalavano Into Eternity, documentario su un deposito permanente di scorie nucleari costruito in Finlandia e pensato per durare almeno 100.000 (centomila) anni nel futuro. Ecco, è in questa prospettiva temporale talmente altra da risultare aliena, inconcepibile e be’, a questo punto anche irraccontabile, che Volodine proietta i protagonisti di Terminus Radioso: il soldato Kronauer, lo sciamano Soloviei e gli altri abitanti del kolchoz che dà il titolo al libro sono ombre di individui già morti che a loro volta si muovono in un pianeta estremo, inospitale e ridotto a fantasma di se stesso, e in cui la catastrofe atomica si traduce in una specie di immensa, allucinata Area X che tutto altera e tutto contagia, a metà tra realismo magico avariato, collasso dello spaziotempo dai riflessi inequivocabilmente apocalittico-lisergici, e quella che altro non saprei chiamare se non post-death experience. È il libro che, dopo i primi tentativi targati L’Orma e Clichy, ha imposto Volodine (e il post-esotismo, giusto) anche in Italia, ed è anche uno dei libri più potentemente psichici che si siano letti quest’anno. (Valerio Mattioli)

Mario Desiati
Candore
Einaudi
La parabola esistenziale di Antonio Bux che consacra l’intera sua vita all’esplorazione della pornografia in ogni possibile declinazione è in realtà una parabola di lancinante assoluto romanticismo, di candore amoroso totale, persino di vocazione all’amore platonico che osserva, brama, piange, grida su calze a rete, insegue culi e reggicalze sui mezzi pubblici, nei club, nei giornaletti degli anni ’80 e nel web di oggi. Ciò che è più facilmente sessualizzabile vale qui come un occhio splendente, dita affusolate, persino un difetto, una ruga o una mancanza. Antonio Bux è allora il Cavalcanti dell’amore che si fa corpo finalmente, puro, estremo, amplificato, ma che al corpo non torna mai. Struggente come un’intera vita di storie d’amore, nomi di pornostar come nomi di fiori tropicali, ciò che la vulgata chiama volgarità trasformata in sontuosa invocazione a Venere. (Giulia Cavaliere)

Ted Chiang
Storie della tua vita
Frassinelli
Ringraziamo Frassinelli e Sperling & Kupfer per aver ristampato questa collezione di racconti di Ted Chiang, il genio dietro ad Arrival, prossimo film di Denis Vileneuve tratto appunto da uno dei pochissimi, premiatissimi racconti ad opera del “prototipo dello scrittore di fantascienza perfetto” (lo dice il Guardian). Chiang è uno scrittore strano, con uno stile minimalissimo, che usa per mettere assieme dei racconti quasi perfetti nel loro equilibrio tra il lato emotivo e il lato puramente scientifico. Qui li trovate raccolti quasi tutti. D’altronde sono solo 14, in totale, e li ha scritti nell’arco di 30 anni, quindi, certo, non sarà prolifico, ma è il prezzo che si paga, in questo caso, per la qualità e la cura. Nello specifico, il racconto dal quale Vileneuve ha tratto il suo film, “Storia della tua vita” è uno dei racconti più belli, intelligenti e commoventi che abbia mai letto, in generale, da quando leggo, che è praticamente da quando Chiang scrive. (Timothy Small)

Louise O’Neill
Solo per sempre tua
Il Castoro
Di questo libro credo di aver parlato ovunque, a chiunque me l’abbia chiesto, e anche a più di qualcuno che non le l’ha chiesto e gliene ho parlato lo stesso. Se continuo a parlarne è perché continuo a pensare che sia un libro, oltre che bello, necessario. Ambientato in un futuro devastato dalle catastrofi ambientali in cui le donne sono create in laboratorio, Solo per sempre tua è narrato dalla voce ansiosa e febbrile di freida (senza maiuscola: in quanto femmina, conta così poco da non meritarsela), una “eva” in competizione con le sue coetanee per il ruolo di Compagna degli Eredi adolescenti pronti a prendere moglie. Ci sono solo dieci posti, e spetteranno di diritto alle prime dieci in classifica: le più belle, magre, meglio vestite, più brave a sedurre, a recitare il ruolo della donna perfetta.
Un romanzo che dà almeno quanto toglie, in termini di ricchezza emotiva, e che attraverso la distopia mette a fuoco la realtà quotidiana di milioni di persone, nel nostro mondo e nel nostro presente, e lo fa utilizzando il ritmo di una lingua senza fiato, costellata di neologismi e calibrata al millimetro per restituire l’immagine di un’esistenza soffocante, in cui per le donne conta solo essere belle, sottomesse e scelte. Pensato per le ragazze più giovani, non offre però la consolazione di molti libri Young Adult, spesso orientati a indicare soluzioni semplici per problemi complessi. Solo per sempre tua non offre risposte né indica strade, ed è questo che lo eleva da narrativa di genere a letteratura. (Giulia Blasi)

Alberto Breccia e Juan Sasturain
Perramus
001 Edizioni
Finalmente approda anche in Italia, dopo un’attesa durata oltre trent’anni, l’edizione integrale di uno dei più bei fumetti di tutti i tempi. Alberto Breccia era stato strettissimo collaboratore di Hector Oesterheld e proprio con il padre dell’Eternauta aveva lavorato su una vita a fumetti del Che che, molto probabilmente, è stata tra le cause del suo rapimento e della successiva “scomparsa” nel 1977. Quando si mise all’opera su Perramus nel 1983 il ricordo dell’amico desaparecido doveva vibrare ancora intenso. E così ecco Perramus, l’uomo che non ha nome (e infatti ha scelto di farsi chiamare come una storica marca di impermeabili) perché, rispondendo a un duplice istinto di preservazione, ha optato per l’oblio dopo aver abbandonato i compagni nel mezzo dell’assalto di uno squadrone della morte. In fuga dal passato e dal mondo, l’uomo senza memoria intraprende un cammino alla riscoperta di se stesso e assume un’identità camaleontica, raccogliendo e assemblando frammenti di vite altrui. Memori degli orrori della dittatura dei generali e del loro aberrante “processo di riorganizzazione nazionale”, attraverso i registri del paradosso Sasturain e Breccia operano una feroce satira del potere in tutte le sue declinazioni. Riscrivono addirittura la figura di Borges, che diventa un comprimario e quasi un coautore ricorsivo della storia di Perramus, e tra enigmi e riflessioni filosofiche conducono il loro protagonista alla resa dei conti con il futuro. Come si sente dire da Margarita, la prostituta che incarna la seduzione dell’oblio, in occasione del loro secondo incontro: “Perramus, ciò che hai vissuto è davanti a te, non puoi ricordare ciò che succederà. È giusto così”. E ancora una volta, nel ciclo rituale di un eterno ritorno, le sue peripezie possono ricominciare. (Giovanni De Matteo)

Dr. Pira
L’almanacco dei Fumetti della Gleba
NERO
Dr. Pira è un artista italiano che disegna fumetti fatti male, storti, pazzi e bellissimi. I suoi Fumetti della Gleba sono da ormai vent’anni uno dei progetti di culto delle produzioni underground. Visto che state leggendo queste righe su Prismo c’è un’altissima probabilità che sappiate bene già tutto, quindi limitiamoci a celebrare insieme la pubblicazione dell’Almanacco: il meridiano del Dr. Pira, un mattone di 850 pagine che raduna tutte le surreali storie dei Fumetti della Gleba e le integra con omaggi, saggi, lettere e folli contenuti extra. Evviva! (Matteo De Giuli)

Maggie Nelson
Gli Argonauti
Il Saggiatore
Eccoci all’ennesimo capitolo straordinario di una delle intellettuali necessarie a questi anni, Maggie Nelson, che affonda le mani da tempo nella costruzione di una nuova idea di non fiction. Qui Nelson affronta la sua storia sentimentale con Harry Dodge, artista. Maggie ama Harry ancora prima di sapere se utilizzare il pronome maschile o femminile per menzionarlo, Maggie e Harry hanno un figlio e Maggie apre criticamente le porte all’analisi della propria esperienza di maternità queer, partendo dall’idea fondamentale – e verissima – secondo cui la maternità è già, di base, esperienza intrinsecamente queer per eccellenza.
Distantissima dalla tradizione del linguaggio rivoluzionario LGBT, da certi meccanismi già di per sé normativi del mondo di riferimento, Nelson scardina luoghi comuni su tutta la linea, distrugge concezioni che, all’interno della comunità, sono ormai leggi, combatte – con poesia – in modo autonomo, lontano da precetti di gruppo. Straziante, magica, importante. (Giulia Cavaliere)

Charles Stross
Rapporto sulle atrocità
Urania Mondadori
Questo dittico segna il ritorno di Stross in Italia e raccoglie le prime due novelle di uno dei suoi cicli più longevi e premiati: l’ancora inedito Rapporto sulle atrocità e il Premio Hugo Giungla di cemento, già pubblicato da Delos Books nel 2007. Il volume ci introduce dietro le quinte del controspionaggio, nell’universo della Lavanderia, l’organizzazione segreta dedita alla difesa del Regno Unito dalle insidie di un potere oscuro, molto peggiore di qualsiasi potenza straniera. Bob Howard, l’agente più nerd che abbiate mai conosciuto, viene di volta in volta catapultato in missioni impossibili che combinano minacce sovrannaturali, macchinazioni d’ufficio, richiami mitologici e rievocazioni pseudo-storiche. Originariamente ispirato ai moduli della spy story di Len Deighton e Ian Fleming, col tempo la serie ha acquisito una sua fisionomia riconoscibilissima: solo Stross poteva fondere con simile destrezza le trame spionistiche dei maestri inglesi con l’orrore cosmico lovecraftiano in una sorta di X-Files in salsa cyberpunk. L’auspicio è che Urania confermi il coraggio fin qui dimostrato, regalando ai lettori la copertura anche delle successive missioni che coinvolgono Howard e colleghi. (Giovanni De Matteo)

Maggie Stiefvater
The Raven King
Scholastic
L’ultimo episodio della serie The Raven Cycle di Maggie Stiefvater (giovane e prolifica autrice fantasy americana) è uscito la scorsa primavera negli Stati Uniti ed è già stato consumato dai suoi lettori, ansiosi di scoprire come finisce la storia dei ragazzi del West Virginia che cercano la tomba di un re gallese in grado di esaudire un loro desiderio, e come si risolve il nodo dell’amore impossibile che funge da propulsore emotivo della vicenda. Una serie fortunata, lodata dalla critica e amata dai suoi lettori, che in Italia è inspiegabilmente ferma al secondo di quattro volumi (pubblicati da Rizzoli). È quindi in maniera un po’ polemica verso il trattamento della narrativa di genere in Italia che fra i miei libri del 2016 ne inserisco uno che i lettori italiani dovranno aspettare anni per vedere in libreria. (Giulia Blasi)

Norman Ohler
Tossici
Rizzoli
Ohler voleva scrivere un romanzo ambientato nella germania nazista. Documentandosi è incappato nelle carte di Theodor Morell, il medico personale di Hitler. Ha iniziato a spulciare gli archivi sempre più in profondità e alla fine ha ceduto alla tentazione di scrivere un saggio su un pezzo di storia ancora poco conosciuto: il rapporto del regime tedesco con la droga. La Wehrmacht era dopata. La guerra lampo venne sostenuta anche grazie all’uso sistematico di anfetamine. Il Pervitin, un farmaco a base di metanfetamine, veniva assunto regolarmente anche dalle gerarchie naziste, compreso il Führer, che fece poi ampio uso di diversi stimolanti, cocaina e oppioidi. Ohler ci va coi piedi di piombo, sottolinea appena può che libri come questo hanno un valore storico che può essere solo parziale, aggiunge 100 pagine di note e bibliografia. Poco prima di morire, lo storico Hans Mommsen ha dato una mano con la consulenza scientifica e la sua benedizione accademica: “Si tratta di un’indagine sconvolgente, che mostra come i grandi eventi storici possano essere influenzati da banalità mediche”. (Matteo De Giuli)

David Wootton
La scintilla della creazione. Come le invenzioni dell’uomo hanno trasformato il mondo
il Saggiatore
Se vi piacciono i libri abbondanti questo fa per voi, anche solo per potervi vantare in giro d’averlo letto tutto, come fan molti con Infinite Jest, per dire (fingono però, lo sapete già). David Wootton, professore di storia della scienza all’università di York, non risparmia su nulla e, a dirla tutta, fa benone, ché non se ne può più di libretti gonfi d’aria o delle sette brevi lezioni di qualcosa. Andava benissimo il primo, quello di Rovelli, son spesso imbarazzanti tutti quelli che han provato a seguirne l’esempio. Ne La scintilla della creazione (titolo assai opinabile per un libro che, in versione originale, ha il più corretto The invention of science) si scava soprattutto nel periodo di tempo che inizia la sera dell’11 novembre 1572, quando Tycho Brahe osservò in cielo, in un punto dove prima di allora non s’era mai scorto nulla, quella che gli pareva una stella e termina nel 1704, il giorno in cui viene pubblicata la prima edizione dell’Ottica di Newton. È il periodo in cui si consuma La Rivoluzione Scientifica, la ribellione dei matematici all’autorità dei filosofi e di entrambi a quella dei teologi. Per far la rivoluzione servono gli strumenti e una nuova lingua e così il libro è anche la storia di alcune parole – fatto, esperimento, legge, ipotesi, teoria e altro ancora – che hanno reso possibile l’impresa. È un libro denso ed esuberante, che piacerà agli storici attempati pronti alla polemica e sorprenderà chi pensa che la storia sia una faccenda solo per storici attempati. (Peppe Liberti)

Boyd McDonald
Cruising the movies: A sexual guide to oldies on TV
Semiotext(E)
Per fortuna il 2016, tra le altre cose, è stato finalmente l’anno della riscoperta di uno dei personaggi più affascinanti ma scarsamente noti della queer culture: il “reverendo” Boyd McDonald. Per chi non lo conoscesse è arrivato il momento di colmare questa insopportabile lacuna acquistando True Homosexual Experiences: Boyd McDonald and Straight to Hell di William E. Jones (edito dall’indipendente We Heard You Like Books di Los Angeles) e questo volumetto della Semiotext(e). McDonald non è stato solo un brillante giornalista (scriveva per Time e collaborava con IMB e altre grandi agenzie) ma si è guadagnato il titolo di pornografo mettendo insieme una delle più ringhianti fanzine per omosessuali, Straight to Hell appunto, che di volta in volta si arricchiva di sottotitoli quali The Manhattan Review of Unnatural Acts oppure The New York Review of Cocksucking, giusto per non sbagliarci. Cruising the movies è un’esilarante collezione di recensioni non ortodosse di film visti in tv da McDonald, ovviamente dalla prospettiva queer, che ha anticipato di decadi non solo lo sguardo di artisti (da Waters in poi) ma anche della pratica contemporanea del bingewatching finalizzato a scorgere gli oggetti del proprio desiderio. (Riccardo Conti)

Siddhartha Mukherjee
Il Gene
Mondadori
Come ha detto bene James Gleick  sul New York Times all’uscita americana di Il Gene, Mukherjee ha un approccio panoptico alla scrittura: dipinge le sue storie incorniciandole da grandi distanze, con uno sguardo d’insieme completo, eppure riesce allo stesso tempo a restituire i dettagli, le vicende familiari, le sfumature più intime. Siddhartha Mukherjee è un medico e saggista indiano naturalizzato statunitense, professore associato alla facoltà di medicina della Columbia University. Nel 2010 ha pubblicato L’imperatore del male, una biografia del cancro, premio Pulitzer per la saggistica, festeggiato ovunque come un racconto epico, benedetto quasi ovunque da un gran successo di vendite. Il Gene segue lo stesso schema del primo libro per raccontarne l’antefatto: la nascita e lo sviluppo della genetica, il ruolo dei geni nelle malattie e i dubbi etici provocati dalle nuove tecniche di precisione di intervento sul genoma. Un’anteprima del libro pubblicata sul New Yorker a maggio ha sollevato una serie di accuse da parte di blogger e scienziati che lamentavano una imprecisa esposizione dell’effettivo stato dell’arte della ricerca epigenetica. Sono seguite repliche, lettere e articoli di risposta, una meta-letteratura che nel giro di pochi mesi si è fatta piuttosto corposa e che rende bene l’idea di quanto la materia trattata nel libro sia attuale ed estremamente delicata. (Matteo De Giuli)

Alessandro Vietti
Real Mars
Zona 42
Il 2016 è stato anche l’anno di Marte, dall’annuncio della SpaceX di Elon Musk di voler lanciare la prima fase dell’Interplanetary Transport System a partire dal 2022 per arrivare a un trasporto con equipaggio umano nel 2024, all’attesa edizione integrale della trilogia marziana di Kim Stanley Robinson (caposaldo della fantascienza degli ultimi trent’anni) curata da Fanucci Editore. E in questo filone d’attualità si è inserito con tempismo perfetto Alessandro Vietti, con la sua inedita prospettiva della prima spedizione umana su Marte organizzata dall’ESA grazie al provvidenziale finanziamento di un network televisivo. La missione si trasforma così in un gigantesco reality show in cui il lettore si cala e finisce per partecipare in veste di spettatore, alla spasmodica ricerca delle emozioni che solo “la più grande avventura della storia dell’umanità” potrebbe mai regalargli. E proprio di questo parla Real Mars: di Marte, delle frontiere della ricerca e della tecnologia; e dell’uomo, di noi stessi, di cosa avremmo voluto essere e di cosa stiamo invece diventando. (Giovanni De Matteo)

Bonus: Alcuni libri consigliati da Vanni Santoni
Quando si viene interpellati più volte circa i libri dell’anno, il rischio è ripetersi. Quando è arrivata la richiesta dell’Indice, ho puntato su Abbacinante – L’ala destra, il terzo volume del capolavoro di Mircea Cărtărescu, a cui è fin troppo facile, e forse un po’ illegittimo, assegnare il titolo di libro dell’anno, dato che fonda la sua forza spropositata sull’esistenza di due libri prima di esso, a comporre un’opera unitaria: un po’ come, scrivevo, designare La parte dei delitti / La parte di Arcimboldi miglior libro del 2008. Legittimo o meno, giocato che mi ero Abbacinante, sia su minima&moralia che su Radio Città del Capo ho virato su Satantango di Lázló Krasznahorkai (Bompiani), Terminus radioso di Antoine Volodine (66and2nd) e Absolutely nothing di Giorgio Vasta e Ramak Fazel (Quodlibet/Humboldt). Suitor dietro questi titoli – ma quando si fanno simili listini bisogna sempre considerare che i libri usciti negli ultimi mesi dell’anno hanno molte più possibilità di restarci in mente al momento di compilarli – metterei allora Bussola di Mathias Énard (E/O, traduzione di Yasmina Mélaouah), che per una minor cogenza delle digressioni rispetto all’impianto metaforico generale non eguaglia forse il suo capolavoro Zona, uscito per Rizzoli nel 2011, ma segna comunque un avanzamento della maestria dell’autore nella gestione del flusso ipnotico che ne caratterizza lo stile, e lo qualifica, per l’elevazione della digressione erudita a funzione narrativa, come il più credibile erede del magistero di W.G. Sebald.

Del massimo interesse è anche Gli huligani di Mircea Eliade, portato in Italia dall’ottima collana Calabuig di Jaca Books (che nell’anno ci ha dato almeno altri due titoli eccellenti: L’uomo è morto di Wole Solinka e Il romanzo luminoso di Mario Levriero, senza contare Le stagioni di Zhat di Sonallah Ibrahim, uscito nel 2015) e che, nel raccontare una gioventù romena affascinata dal nazifascismo offre più di uno spunto per interpretare l’attuale stagione di populismi e rigurgiti di destra. Traduzione di Cristina Fantechi.

Infine, un consiglio più sobrio di Eliade, ma non meno sicuro: da pochissimo è uscito per Einaudi Le cure domestiche di Marilynne Robinson (traduzione di Delfina Vezzoli) che, pur essendo il suo esordio (negli USA uscì nel 1980; gli altri libri arrivarono dopo uno iato di ventiquattro anni) non ha niente da invidiare al blocco immediatamente successivo GileadCasaLila con cui ha cominciato a essere (un po’, ma non abbastanza rispetto al livello dei romanzi) nota in Italia. (Vanni Santoni)

Timothy Small
Timothy Small nasce a Milano nel 1982. Già direttore di VICE Italia dal 2005 al 2012, è Head of Content di Alkemy, dove guida la divisione Alkemy Content. Co-fondatore e direttore editoriale de l'Ultimo Uomo nonché fondatore e direttore di Prismo, ha scritto per riviste come GQ, IL, Rolling Stone, L'Uomo Vogue, Kaleidoscope, NERO, The Paris Review, ha diretto video e documentari per VICE, Studio, Missoni, V Magazine e I Cani e, per un breve periodo, ha diretto una casa editrice chiamata The Milan Review.

PRISMO è una rivista online di cultura contemporanea.
PRISMO è stata fondata ad Aprile 2015 all’interno di Alkemy Content.

 

Direttore/Fondatore: Timothy Small

Caporedattori: Cesare Alemanni, Valerio Mattioli, Pietro Minto, Costanzo Colombo Reiser

Coordinamento: Stella Succi

In redazione: Aligi Comandini, Matteo De Giuli, Francesco Farabegoli, Laura Spini

Assistente di redazione: Alessandra Castellazzi

Design Direction: Nicola Gotti

Art: Mattia Rinaudo

Sviluppatore: Gianmarco Simone

Art editor: Ratigher

Gatto: Prismo

 

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