Carico...

A pochi giorni dall'ultima edizione del MEI, e coi gruppi italoindie che organizzano partite di calcetto e vanno ai talent, proviamo a fare il punto su ricambio generazionale, dilettantismo e appropriazioni mainstream.

Questo pezzo parla di indie italiano, un genere musicale che non è facilissimo definire ma che tutti sanno cosa sia. Lo fa, un po’ volutamente, confondendo termini che una volta erano rigidamente divisi (mainstream, alternative, indie, indipendente) e ora non più. La terminologia che utilizziamo è stata coniata da qualche parte tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, ha messo le radici e ha generato una letteratura che si è mossa autonomamente rispetto alla musica.

Se era difficile che la retorica dell’indie desse un quadro del rock nel 1997, diventa quasi impossibile utilizzarla per descrivere il contesto culturale/economico odierno senza sorridere. Eppure, in qualche modo, un concetto di indie/alternative rock italiano continua a venire percepito. Che lo faccia sulla base di alcune consuetudini, più che sull’appartenenza a un sistema di valori che nessuno ha ben chiaro, poco importa.

Breve riassunto di dieci anni di indie italiano (più o meno)
Credo sia possibile datare l’inizio dell’attuale fase indie/alternative italiana alla seconda metà degli anni Duemila. Fino al 2005, gli attori di maggior successo nel mercato alternative sono grossomodo quelli che muovevano stampa e pubblico nella seconda metà degli anni Novanta, affiancati da una scena indie/DIY il cui terreno d’azione è ancora molto ben definito; il disco più in vista di quell’anno è probabilmente La Malavita dei Baustelle, opera major di successo, in bilico tra vocazione alt-rock e ascendenze cantautorali anni settanta.

carico il video...
I Baustelle nel 2005.

Nel 2006 un gruppo emiliano di nome Offlaga Disco Pax pubblica un bizzarro disco di racconti musicati, una specie di versione minimal-pop dei primi Massimo Volume, e diventa un caso nazionale: tantissime copie vendute, concerti strapieni, pagine di giornali dedicate, post sui blog.

L’anno successivo La Tempesta Dischi, l’etichetta dei Tre Allegri Ragazzi Morti, pubblica il primo album di un gruppo composto dagli ex One Dimensional Man Pierpaolo Capovilla e Giulio Favero. Il disco è in italiano, come del resto il nome del gruppo (Il Teatro degli Orrori). Nonostante le sonorità relativamente aspre, vagamente jesuslizardiane, il gruppo diventa seguitissimo in tempo zero.

carico il video...
Da 'Dell'impero delle tenebre', primo album del Teatro degli Orrori.

Il 2008 la stessa Tempesta pubblica l’esordio de Le Luci della Centrale Elettrica. Il progetto solista di un ragazzo di 22 anni, Vasco Brondi, che incide canzoni con una chitarra acustica. Ha testi particolari, un approccio interessante e un seguito di culto; il suo primo disco scardina un mare di equilibri.

Mentre Brondi viene invitato a suonare in contesti giganteschi, l’Italia inizia a riempirsi di imitatori: canzoni acustiche, basilari, arrabbiate… Un uovo di colombo: rivendere il cantautorato indie come ragionevole evoluzione del cantautorato classico. Col tempo, a Le Luci della Centrale Elettrica si aggiungeranno i vari Brunori, Dente, Thegiornalisti eccetera. I nuovi De Gregori, i nuovi Guccini, i nuovi Dalla del pop italiano.

carico il video...
Dall'esordio di Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica.

Nel 2009 i Fine Before You Came, un gruppo emocore milanese attivo dai primissimi anni Duemila, pubblicano online Sfortuna, il loro primo album in italiano. Il disco fa rumore nella comunità alternative e inizia a riunire un pubblico di ragazzi entusiasti, che nel giro di qualche mese affollano i concerti con numeri che il gruppo, nei dieci anni di militanza nel giro punk italiano, non aveva mai conosciuto.

Nel giro di un annetto, sull’onda del successo di Sfortuna, l’emocore rinasce in Italia come genere musicale di massa. Ne beneficiano soprattutto gruppi come Gazebo Penguins e Fast Animals and Slow Kids, ed etichette come To Lose La Track, e il fermento è evidente. Gruppi storici del giro post-punk  passano all’italiano, altri gruppi si formano ex novo, altri ancora si convertono all’emocore. Non è necessariamente musica mai sentita prima, ma in giro per i concerti si avverte un entusiasmo per il “rock” (scusare la parola) che sembrava mancare da anni.

carico il video...
Arrivano I Cani.

Nel giugno 2010 un ventiseienne romano di nome Niccolò Contessa pubblica su Soundcloud due tracce registrate in cameretta. Le tracce sono accreditate a un gruppo di nome I Cani e riscuotono un successo immediato nel giro di blogger musicali e smanettoni. Il primo disco dei Cani esce un annetto dopo: l’esibizione del gruppo (sostanzialmente esordiente) al MI AMI è già il piatto forte dell’edizione 2011.

A sua volta, il MI AMI è un festival nato nel 2005 per opera di Rockit, il sito di sola musica italiana che in quegli anni sta proponendosi come organo semiufficiale dell’italoindie. L’anno dopo i Cani, al MI AMI ci sarà anche un dj set di Max Pezzali: le celebrazioni del ventennale di Hanno ucciso l’Uomo Ragno stanno imponendo il gruppo come un bizzarro nume tutelare della scena indie italiana.

Ancora nel 2011 la gente inizia a condividere una traccia intitolata Sono così indie, registrata da un gruppo di Bologna chiamato Lo Stato Sociale. È un pezzo strano: invece dell’empatia ironica delle canzoni dei Cani, sembra esplodere di odio passivo-aggressivo per la scena. Le coordinate sonore sono piuttosto simili: pop molto basilare con vigorosi inserti elettronici, qualche declinazione wave e via andare, un po’ come gli Offlaga Disco Pax.

carico il video...
Punto di non ritorno?

La traccia diventa un mezzo caso: molti di coloro che la condividono lo fanno per deridere il gruppo e lamentarsi dello status quo, ma al contempo intorno allo Stato Sociale inizia a radunarsi un pubblico di fedeli.

La cosa più rilevante del successo dei bolognesi, è che sembra non passare attraverso nessuno dei canali tradizionali. La critica musicale per esempio li distrugge, un giornalista di lungo corso come Federico Guglielmi conia per loro il termine indiesfiga, eppure il pubblico continua a crescere. Per l’indie italiano, è uno dei momenti di massimo trionfo: sembra certificarsi in questa fase come una musica il cui pubblico ha definitivamente abbandonato i tradizionali canali di diffusione ed esiste a prescindere da quel che si dice di essa.

carico il video...
Balletto.

Oggi: #nuovoMEI2015, l’indie ai talent show e i tornei di calcetto
“È necessario chiudere questa fase perché ci siamo resi conto che la frammentazione in tante iniziative che c’è in Italia non aiuta a far crescere il pubblico per la musica indipendente”. Così andava raccontando Giordano Sangiorgi nel settembre del 2014, mentre presentava alla stampa quella che sarebbe stata, a suo dire, l’ultima edizione della sua creatura più nota: il Meeting delle Etichette Indipendenti, per gli amici MEI.

Mentre la notizia della chiusura rimbalzava in giro per i social network – che non si rivelarono granché rammaricati dalla cosa – il patron del MEI era già a dichiarare di essere stato frainteso. Quello a cui si riferiva in realtà era la necessità di un rinnovamento della formula: e quindi ricominciare sotto una nuova stella, con una manifestazione che fosse più adeguata ai tempi.

carico il video...
Il nuovo MEI 'diventa più giovane e più social'.

Detto, fatto: la nuova edizione del MEI, quella andata in scena il fine settimana appena passato, è stata più o meno la stessa kermesse di mammasantissima del giro alternative italiano, effettivi o wannabe che siano; esibizioni, workshop, conferenze e un mare di premiazioni, premiazioni, premiazioni. Il tutto riunito sotto lo sfavillante hashtag #nuovoMEI2015, a supporto di un organismo la cui utilità è argomento di discussione più o meno dalla prima edizione.

Già, a cosa serve il MEI? Copincollando dal sito: “l’obiettivo della manifestazione è quello di sostenere, promuovere e favorire la crescita e la diffusione di una cultura musicale indie ed emergente, per contrastare la massificazioni che si sta avendo in questo comparto”. Punti deboli: a quale “cultura indie” fa riferimento il MEI? E come può esistere una “cultura emergente” nel contesto di un festival che – numeri a parte – cucina lo stesso piatto da 20 anni? Tra gli sponsor della manifestazione, peraltro, spiccano SIAE e Sony DADC.

A quale cultura indie fa riferimento il MEI? E come può esistere una cultura emergente nel contesto di un festival che cucina lo stesso piatto da 20 anni?

L’intento di Sangiorgi diventa più chiaro in certe interviste pubblicate in giro: la creazione di un’unica rete di contatti, che coinvolga il pubblico e tutti i media disponibili, in cui gli artisti senza potere contrattuale riescano a trovare quel briciolo di visibilità negato nei canali della vecchia scuola. È ragionevole pensare che questa funzione sia svolta da Facebook/Soundcloud/Bandcamp, o meglio da internet in generale, in un modo molto più organico efficiente ed economico di come la svolge Sangiorgi stesso, ma la sua formula continua ad attirare l’interesse di qualche addetto ai lavori.

Del resto, anche se il MEI dà l’idea di esistere come irragionevole monumento a un’epoca passata, non è molto diverso il Medimex di Bari, una fiera molto più invitante sia dal punto di vista dei nomi coinvolti che del programma generale, ma tutto sommato identica al MEI sia nella formula che nello spirito (conferenze, showcase di artisti, premiazioni, dibattiti, premiazioni, premiazioni, premiazioni).

Altra cosa: la scorsa settimana, in giro per i social, è girato il video di un (terribile) gruppetto indiepop di nome The Van Houtens, che ha passato le selezioni di X-Factor con la hit Giovanni Rana. Nel complesso ci fanno la figura dei fratellini scarsi dei Camillas, che sei mesi fa si presentarono alle audizioni di Italia’s Got Talent guadagnando un paio di giorni di hype, dopo anni passati a fare concerti-cabaret nei localetti indie. La questione di come sia possibile presentare una proposta indipendente in un programma TV destinato al grande pubblico è vecchia come la musica indipendente stessa, e da chi decide di partecipare a questi programmi viene risolta quasi sempre nello stesso modo: si accettano le regole televisive, ci si presenta come personaggi comici invece che come musicisti radicali, ce la si gioca per quanto possibile e (facoltativo) si risponde di buon cuore ai quattro beccamorti a cui la cosa non va bene.

carico il video...
L'indie al talent show.

Il pubblico di settore ha accettato da tempo che l’indipendenza sia considerata da quasi tutti gli artisti una necessità transitoria piuttosto che una vocazione; è il ragionamento per cui il cantautore Giancarlo Frigieri, nel suo sito, invita a smettere di parlare di indipendenti e ricominciare a parlare, più correttamente, di dilettanti.

Trovo più difficile, personalmente, accettare che, in virtù di questa premessa, chi non è disposto o capace a fare questo salto sia spesso tacciato di chiusura mentale, inezia, provincialismo e quant’altro. È una forma mentis piuttosto diffusa, che trova un terreno fertile anche nella stampa specializzata. Un esempio recente sono alcuni articoli di Virginia Ricci su Noisey, che contestano alla scena indie la tendenza a lamentarsi di un mercato discografico razziato dai talent show, senza saper produrre alcun nome che costituisca un’alternativa a questo sistema.

L’orientamento sempre più pop-friendly della mentalità indipendente, produce naturalmente una musica e dei bisogni diversi dall’orientamento separatista: è il motivo per cui si usa la parola “indipendente” parlando di prodotti che fatturano cifre pazzesche, tipo Adele.

Il MEI ha istituito un premio alla 'prima cantautrice donna totalmente indie nella top 25 della classifica degli album più venduti', e l'ha insignito a Erica Mou, una che usciva su etichetta Sugar: quella che pubblica Bocelli ed Elisa.

Il risultato è un sistema ideologico che permette, in potenza, quasi tutto. Ad esempio far sì che al MEI sia istituito un premio  alla “prima cantautrice donna totalmente indie nella top 25 della classifica degli album più venduti” (!), e che per giunta venga insignito a Erica Mou, una che usciva su etichetta Sugar: quella che pubblica Bocelli ed Elisa. O che Rockit metta in piedi una serata-Karaoke itinerante, il trionfo informale del trash, nella stessa settimana in cui proprio Rockit fa uscire un pezzo firmato da Niccolò Vecchia, nel quale sono elencati gli svantaggi di partecipare ad un talent per i gruppi indipendenti.

E gli indie-indie che fanno nel frattempo? Qualche giorno prima dell’esibizione dei The Van Houtens, i Parquet Courts si imbarcavano nel loro tour italiano. Nel report che Emiliano Colasanti pubblica sulla data romana viene fuori il problema del pubblico: le stesse duecento persone che affollano i concerti da una decina d’anni, invecchiati e stempiati, ma sempre gli stessi. Titolo dell’articolo è L’indie rock è un paese per vecchi.

La musica indipendente, almeno nel nostro paese, sembra destinata a sedimentarsi nell’immaginario come colonna sonora di una crisi di mezza età.

Io i Parquet Courts li ho visti a Ravenna e il pubblico non era poi così diverso; se due indizi fanno una prova, forse è il caso di smettere di arrabattarsi alla ricerca di un ventilato ricambio generazionale che non ci sarà, e iniziare a ragionare sul fatto che la musica indipendente, almeno nel nostro paese, è destinata a sedimentarsi nell’immaginario come colonna sonora di una crisi di mezza età. Cioè che le persone che affollano i concerti indie sono più o meno le stesse che in un’altra vita mettono da parte i soldi per comprare un Boxster usato tra cinque anni, o che continuano imperterriti a consacrare il mercoledì sera al torneo di calcetto con gli ex compagni di liceo.

Ha quindi un certo senso che uno degli appuntamenti più grossi dell’indie italiano di fine estate sia Tutto Molto Bello, un torneo di calcetto tra etichette indipendenti nato in seno al MEI nel 2011 da un’idea dell’etichetta Trovarobato. Dalle 8 squadre che si sfidavano nella prima edizione siamo passati alle 32 dell’ultima.

carico il video...
Partitella.

Musicalmente non sta succedendo molto. La parentesi emocore è stata archiviata, l’hype è passato. Continua a consolidarsi il successo di gruppi come Lo Stato Sociale, che ha trainato la scuderia Garrincha (Officina della Camomilla, Magellano, L’Orso…) fino a farla diventare una delle pochissime istituzioni presenti nel territorio italiano che promuovono un suono ben definito e riconoscibile, un pop da cameretta forzatamente sgarzolino e stralunato, peraltro ancora spernacchiato da quasi tutta la stampa di settore.

Personaggi come Brunori SAS e Colapesce possono ancora cavalcare l’onda lunga di Vasco Brondi: il loro pubblico di riferimento è trasversale ma colto, la loro musica finisce al Club Tenco, eccetera. I nuovi cantautori finiscono persino a impartire lezioni di poetica & grammatica a La lingua batte, il programma di Radio 3 dedicato alla lingua italiana. Qualcosa vorrà dire, anche se non so cosa.

Da qualche anno opera anche una scena di gruppi underground molto interessanti, che qualche articolo ha definito Italian Occult Psychedelia. È roba che funziona molto in contesti internazionali, riviste di pregio e festival di matrice off, ma che non muove un’enormità di pubblico in Italia, fatta salva qualche roccaforte tipo il locale Dal Verme a Roma (la cui capienza è di un centinaio di persone scarse, sia chiaro).

Lo stesso fa una certa estrazione di artisti pop italiani che guardano all’estero, vuoi come nuovi nomi di punta in un genere musicale fin troppo conosciuto (Be Forest, Brothers In Law), vuoi come possibili soluzioni di canzone pop futuribile (His Clancyness o Mamavegas). Ma anche questi nomi, nonostante i favori della critica, nel territorio nazionale generano attenzioni piuttosto basse.

carico il video...
Indie da esportazione (con video di Anna Deflorian).

Domani: ricambio generazionale addio?
Lo scenario sembra descrivere una situazione di stallo. Un equilibrio un po’ improbabile tra concezioni del passato che ogni giorno hanno sempre meno senso di esistere, un presente che non ha ancora deciso che forma prendere, e un futuro in merito al quale non sembriamo avere molti indizi.

Il fatto che l’industria musicale sia essa stessa nell’ennesimo periodo di transizione (il costante declino del CD, la terra di nessuno degli streaming, la barzelletta sull’esplosione del vinile) farebbe pensare che ci sia più bisogno di esperti di nuove tecnologie e teorici della convergenza dei mercati, anziché di una “visione musicale” vera e propria.

Suppongo sia ragionevole pensare che questa musica continuerà a venir prodotta finché non saranno morte di vecchiaia tutte le persone che vogliono ascoltarla, ma il problema del ricambio generazionale continua ad essere serio. Al contempo la musica alternativa/indipendente italiana continua a voler esistere in un contesto altro, in una nicchia di ascoltatori qualificati con gli strumenti concettuali per comprendere il prodotto.

Questa musica continuerà a venir prodotta finché non saranno morte di vecchiaia tutte le persone che vogliono ascoltarla, ma il problema del ricambio generazionale continua ad essere serio.

Considerato che nemmeno il mercato americano sembra avere più la possibilità di produrre tendenze alternative che generino imitatori e si prendano il mercato, verrebbe da dire che tra le realtà presenti quelle più adatte ad evolversi in questi mercati siano quelle che puntano su un’idea sonora molto definita e coerente (un’idea che può essere quella pop e ultra-bambinesca di Garrincha quanto quella del suono di frontiera di un’etichetta come la veneta Boring Machines), più che la versatilità di modelli come La Tempesta.

Ma come possiamo saperlo con certezza? Tocca aspettare e sperare, con la coscienza del fatto che potremmo stare impantanati per altri dieci anni in una perenne transizione tra il nulla e il nulla.

Francesco Farabegoli
Consulente editoriale di PRISMO. Ha fondato Bastonate, scrive per Rumore, Noisey e altre cose in giro. Di tanto in tanto disegna.

PRISMO è una rivista online di cultura contemporanea.
PRISMO è stata fondata ad Aprile 2015 all’interno di Alkemy Content.

 

Direttore/Fondatore: Timothy Small

Caporedattori: Cesare Alemanni, Valerio Mattioli, Pietro Minto, Costanzo Colombo Reiser

Coordinamento: Stella Succi

In redazione: Aligi Comandini, Matteo De Giuli, Francesco Farabegoli, Laura Spini

Assistente di redazione: Alessandra Castellazzi

Design Direction: Nicola Gotti

Art: Mattia Rinaudo

Sviluppatore: Gianmarco Simone

Art editor: Ratigher

Gatto: Prismo

 

Scriveteci a prismomag (at) gmail (dot) com

 

© Alkemy 2015