Prima di Paris e Niki, le sorelle Hilton più chiacchierate al mondo erano state Daisy e Violet, gemelle siamesi diventate star del vaudeville. Per i primi vent'anni della loro vita vissero in condizioni di sfruttamento e schiavitù, per poi provare a vivere una vita “normale”. Fu più difficile del previsto.
Il 29 settembre è uscito nelle sale italiane il nuovo film di Edoardo de Angelis, Indivisibili. Si basa su un soggetto originale di Nicola Guaglianone e ha per protagoniste due bellissime sorelle siamesi di diciott’anni che vivono a Castel Volturno (Caserta), sostenendo economicamente tutta la famiglia esibendosi come cantanti neomelodiche a battesimi, matrimoni e feste private. I loro corpi sono attaccati all’altezza del bacino, e in questa rara condizione fisica la comunità locale vede una magia, un buon auspicio e per questo le adora.
Dasy e Viola non sono viste come fenomeni da baraccone, ma paradossalmente trattate come tali: i loro genitori – un padre-padrone che fa loro da manager e una madre inerme che si intontisce di canne – le hanno trasformate nella loro personale macchina da soldi (esentasse). Quando le ragazze scoprono che un’operazione potrebbe separarle e renderle finalmente indipendenti, sarà la fine dell’idillio. Saranno ancora considerate sensazionali quando i loro corpi saranno divisi?
Le due sorelle sono interpretate dalle gemelle (non siamesi) Angela e Marianna Fontana, attrici-cantanti al loro esordio cinematografico. I personaggi che interpretano non si chiamano Dasy e Viola per caso. Per raccontare la loro storia, Guaglianone si è infatti ispirato a quella di Daisy e Violet Hilton, due delle sorelle siamesi più famose al mondo, vissute nella prima metà del Novecento, star del vaudeville apparse nel film di Tod Browning, Freaks. “Il circo Barnum di allora non è poi tanto diverso dal mondo di oggi” ha commentato il regista.
“Born Joined, Never Separated”
Daisy e Violet nacquero il 5 febbraio 1908, a Brighton, in Inghilterra. La madre, Kate Skinner, era una giovane cameriera sull’orlo della povertà, per di più nubile: la nascita delle siamesi la sconvolse al punto che si convinse fossero una punizione divina per aver figliato fuori dal matrimonio. Per tutta risposta evitava di avvicinarsi a loro o anche solo sfiorarle.
Mary Hilton, la titolare del bar dove lavorava e che l’aiutava ad accudire le bambine, vide in loro un’opportunità. Le adottò (anche se sarebbe meglio dire che le comprò, poiché verso dei soldi a Skinner per lo scambio) e le crebbe. Ma già dai loro primi giorni di vita decise che le avrebbe tenute in mostra nel retro del locale, facendo pagare una moneta a chi avesse voluto affacciarsi. I curiosi abbondavano e non esitavano a sollevare la tunica che indossavano le piccole per vedere il punto esatto in cui erano unite.
Per la ricerca medica quello del primo Novecento fu un periodo molto fertile: i dottori non avevano paura di sperimentare e provare procedure per vedere se avrebbero funzionato. Non era infrequente che di fronte alle sorelle Hilton, fantasticando sulla possibilità di separarle, dicessero: “Potremmo provare a tagliare qui e vedere che succede”. Ma Daisy e Violet non avevano mai mostrato di desiderare la separazione o di detestare la loro condizione. Unite sulla schiena da un lembo di pelle, condividevano il sistema circolatorio e un pezzetto di colonna vertebrale, ma nessun organo; per delle gemelle siamesi, erano inoltre in ottima salute.
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Quello delle nascite siamesi è un fenomeno piuttosto raro: si calcola che avvengano in media ogni 110.000 parti (oggigiorno soprattutto in Africa, Brasile e Sud-est asiatico). La maggioranza dei siamesi muore per complicazioni dopo pochi giorni; le coppie che sopravvivono lo fanno perché l’unione dei loro corpi si limita a poche strutture anatomiche.
Daisy e Violet Hilton erano pigopaghe, congiunte al livello del sacro. Non solo vissero ben oltre le prime critiche settimane (arrivando a compiere sessant’anni) ma crescendo diventarono due ragazze molto belle e apprezzate. I loro problemi ebbero piuttosto origine professionale e affettiva.
Anche Mary Hilton evitava di pensare alla separazione delle gemelle, dal momento che questa avrebbe comportato per lei una considerevole perdita di denaro. Si prendeva cura delle due sorelline, nondimeno alle loro spalle si arricchì moltissimo: il pub crebbe notevolmente grazie alle entrate provenienti dai curiosi che volevano vedere le “congiunte”, e ad un certo punto Hilton iniziò a girare per l’Europa, mostrando Daisy e Violet (che avevano appena 3 anni) alle fiere.
Decisa a vivere il proprio sogno americano, nel 1915 Mary Hilton volle far esibire le gemelle anche negli Stati Uniti, ma incontrò delle resistenze al momento di registrare la loro ammissione, poiché le autorità locali le considerarono “non idonee” da un punto di vista medico. A quel punto coinvolse la stampa e creò un caso mediatico che mise pressione ai funzionari finché decisero di lasciarle passare.
Aveva una figlia, Edith, che viaggiava con loro, e quando Mary morì prese in carico le gemelle assieme a suo marito, un venditore di palloncini dal nome iterato: Meyer Meyers.
Meyers si rivelò un aguzzino, per le due gemelle: le costrinse all’isolamento, vietando loro ogni contatto con estranei (pensava infatti che se le due avessero iniziato a girare per la città da sole, l’esclusività dei loro spettacoli sarebbe venuta meno, e nessuno avrebbe più sentito l’esigenza di pagare per vederle) e istruendole in casa alle arti performative utili alla partecipazione ai sideshow. Si allenavano a suonare violino e pianoforte per ore, se si lamentavano venivano picchiate: Meyers minacciava di rinchiuderle in un istituto se non avessero seguito il programma che aveva minuziosamente elaborato per loro.
I sideshow
I sideshow erano degli spettacoli generalmente associati al circo, dove trovavano posto quegli individui che altrove sarebbero stati ridicolizzati (sopratutto a causa di antiche superstizioni) per le loro disabilità fisiche o mentali, e non avrebbero altrimenti mai potuto lavorare. Per ognuno dei performer veniva stabilita una speciale biografia, spesso associata a un nome d’arte altisonante, che avrebbe funzionato da canovaccio per il presentatore (e per il disegnatore di poster) e suonava più o meno come una rivincita contro le avversità andata a buon fine.
In un certo senso, i sideshow consentirono ai cosiddetti freaks di trovare un loro posto nel mondo, sebbene vi fossero degli evidenti tornaconti da parte dei gestori.
Fu P.T. Barnum, il celeberrimo imprenditore circense americano, a inventare questa formula di intrattenimento. Ebbe numerose vite ma quella di showman iniziò nel 1835, quando propose come attrazione Joice Heth, una signora di colore cieca e semiparalizzata, presentandola al pubblico come “l’infermiera di George Washington”, arrivata alla veneranda età di “161 anni”. Il pubblico pagava e ascoltava rapito le storie di questa donna, immaginando che fossero vere: il format funzionava. Quando Joice Heth morì, non ci misero molto i dottori a confermare la sua vera età: 80 anni. Nonostante la frode, Barnum potè comunque continuare con i suoi spettacoli.
All’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento, il suo giro d’affari era così cresciuto che potè stringere un alleanza con altri promotori circensi (la più famosa delle quali fu con Bailey) per portare in giro il suo “Museo delle curiosità”. Lo spazio che pensò di allestire per questi spettacoli era a lato (side) del tendone principale (show), di modo che andassero in scena prima dello spettacolo centrale.
Oggi lo consideriamo pornografia della disabilità, ma allora era considerato uno dei più popolari spettacoli per famiglie. Il pubblico che assisteva a questi spettacoli, molto spesso si trovava di fronte a persone che mettevano in scena la propria normalità – la coppia di nani felicemente sposati, l’individuo senza braccia che firmava autografi tenendo una penna coi piedi – e questo era il cuore dell’intrattenimento: la scoperta dell’altro come simile.
Il progresso medico rese improvvisamente imbarazzante la partecipazione a questi spettacoli. Le alterità dei corpi degli artisti, disabilità e malformità, trovarono una catalogazione e vennero identificate come qualcosa da (provare a) curare. Il freakshow degli ultimi anni assunse dimensioni squallide e per i suoi protagonisti divenne un incubo. Robert Bogdan, nel suo libro Freak Show: Presenting Human Oddities for Amusement and Profit, scrive che alla fine degli anni Trenta “essere diversi aveva un significato differente nella società Americana. La medicina scientifica aveva indebolito il mistero che circondava certe variazioni umane (…). Le persone che erano diverse avevano “malattie” e ora erano specialità dei medici, non del pubblico”.
Daisy e Violet Hilton amavano esibirsi anche perché gli spettacoli offrivano loro gli unici momenti di libertà e socialità della giornata. Non ci misero molto a diventare delle star. Erano radiose, sempre sorridenti; la rassicurazione per un pubblico di sfortunati che stava facendo i conti con la Grande Depressione e vedeva nella loro situazione una croce più pesante di quella che portavano sulle proprie spalle. Erano diverse dagli altri performer disabili, che il più delle volte non avevano uno spettacolo da proporre al pubblico se non la loro mera presenza: Daisy e Violet sapevano suonare, ballare e cantare e tutti gli occhi erano su di loro. Anche per questo motivo faticarono sempre a riconoscersi nella convenzione che le avrebbe volute “freaks”.
Le due lavoravano moltissimo, guadagnando migliaia di dollari – al culmine della carriera, anche cinquemila alla settimana – ma non videro mai un centesimo. Meyers ed Edith si prendevano tutto, lasciando loro le briciole: con quei soldi comprarono una casa a Sant’Antonio, in Texas.
Più o meno in quel periodo, Houdini divenne un loro ammiratore e amico sincero. Insegnò loro a “separare i pensieri”, a trovare ciascuna nella propria testa uno spazio mentale in cui ripararsi, quando sentivano di volere della privacy l’una dall’altra. Dal momento che le ragazze ignoravano il successo che stavano avendo, l’illusionista consigliò loro di leggere i giornali per informarsi e prendere di petto la situazione coi loro tutori legali, i Meyers.
Quando si resero conto della fortuna che avevano fatto alle loro spalle, decisero di far causa a Meyer e Edith: procedettero per vie legali e grazie all’avvocato Martin J.Arnold, ottennero la libertà e un risarcimento di centomila dollari.
Nuova vita e doppi standard
Avevano 23 anni, nel 1931, quando ottennero l’emancipazione e la cittadinanza americana. Il passaggio da una vita di isolamento e abusi ad una di libertà e ricchezza fu piuttosto brusco. Non avevano gli strumenti per prendersi cura di loro stesse o dei loro affari, perché Meyer Meyers era stato sempre attento a impedire che potessero prendere la minima iniziativa mentre erano sotto il suo giogo (le controllava persino di notte, dormendo nella loro stanza).
Come prima reazione, le sorelle Hilton vollero provare tutto quello che era stato loro negato fino a quel momento: ciò comprese l’alta moda, il fumo, l’alcool, la vita notturna e il sesso. I risultati non furono sempre piacevoli, soprattutto nelle interazioni con gli uomini: si infatuarono spesso dei loro colleghi maschi, senza rendersi conto dell’omosessualità di alcuni. Qualche promoter sposato approfittò della loro ingenuità per abbandonarle poco dopo.
Come ha osservato Leslie Zemeckis, che ha condotto approfondite ricerche su di loro per realizzare il documentario Bound by Flesh, “con la libertà giunsero anche le prime prove con i fidanzati. Cercavano dei compagni, ma non esclusivi. Se un uomo andava con una delle sorelle, l’altra rimaneva comunque a pochi centimetri di distanza”.
Ebbero una regolare vita sessuale e dissero di non aver mai provato fastidio l’una per le relazioni sentimentali dell’altra. Installarono nella loro abitazione una cabina telefonica, che consentiva a ciascuna di avere la propria privacy mentre telefonava ad un uomo, mentre l’altra “aspettava” appena fuori dalla porta, solitamente leggendo o mettendosi lo smalto.
La prima ad innamorarsi fu Violet che non potè sposarsi perché nessun giudice avrebbe celebrato il matrimonio, visto come immorale, un caso di bigamia. Fu più o meno a questo punto che lei e la sorella (che provò a sostenerla in tribunale) capirono di non poter avere una vita normale.
Se si considera che i primi noti gemelli congiunti, Chang ed Eng Bunker (celebrità del museo di Barnum, che in quanto provenienti dal Siam vennero definiti “siamesi”, l’espressione che sarebbe poi entrata nell’uso comune per definire questo legame fisico) ebbero non solo la possibilità di sposarsi con due donne, ma anche di avere più di venti figli, sembrerebbe che l’unico problema dei giudici fosse quello di concedere la possibilità a una donna di scegliere cosa fare della propria vita sentimentale.
La fine di un’epoca
Mentre negli Stati Uniti il vaudeville passava lentamente di moda, nel 1932 Daisy e Violet decisero di rilanciare la loro carriera col cinema, prendendo parte al contestato film di Tod Browning, Freaks. Nonostante la pellicola volesse porre attenzione sui sentimenti e l’umanità dei teatranti disabili, non solo fu censurata e boicottata per decenni, ma fu deprecata dalle stesse sorelle Hilton che si erano sempre professate “normali” e non si riconoscevano nell’etichetta di mostri, non volevano essere accostate al resto del cast.
Nella loro autobiografia The Lives and Loves of the Hilton Sisters (1942) Daisy espresse la sua infelicità descrivendo lei e la sorella come ragazze sole, ricche sulla carta ma nella pratica povere e costrette a lavorare come schiave, e chiosava dicendo: “Non sono una macchina; sono una donna. Dovrei poter avere il diritto di vivere come tale”.
Il ritorno al cinema con il film d’exploitation Chained for life, liberamente ispirato alla loro vita, fu un flop e le costrinse a cercare altri modi per sbarcare il lunario. Qualche anno prima, in un maldestro tentativo di riguadagnare consenso, il loro manager dell’epoca pensò di organizzare un matrimonio pubblico tra Violet e un noto ballerino, James “Jim” Moore, vendendo i biglietti per l’evento. I loro fan reagirono male quando si scoprì che era una mossa pubblicitaria (e che Moore era gay). Anche Daisy andò incontro ad un matrimonio combinato quando era ormai incinta di 5 mesi, e anche il coniuge prescelto per lei era omosessuale (il padre del bambino non fu mai identificato, il figlio dato in adozione una volta nato). Entrambi gli uomini fuggirono dopo qualche mese.
Ci fu un periodo in cui si esibirono cantando e ballando ai drive-in, davanti a pubblici svogliati che aspettavano le proiezioni di film a luci rosse. La breve parentesi del burlesque fu disastrosa (i loro non erano ritenuti corpi desiderabili), e così pure il loro tentativo di aprire in Florida un negozio di snack: il proprietario della catena trovava di pessimo gusto che fossero “due come loro” a vendere il suo cibo e stracciò il contratto.
La loro ultima esibizione pubblica fu nel 1961, a Charlotte, nel Nord Carolina. Dopo quella sera il loro tour manager decise di abbandonarle e lo fece nel più vigliacco dei modi: intascandosi l’incasso delle ultime serate e lasciandole senza mezzo di trasporto, lungo una strada. Per loro fortuna, incontrarono un uomo che possedeva un hotel e un ristorante nella zona e riuscirono a stabilirsi lì per un po’. La vita da persone qualunque, lontane dai riflettori, sembrava tutto sommato giovare alle due. Per la prima volta nella loro vita fecero parte di una comunità che non provava a sfruttarle o agire alle loro spalle: avevano un lavoro, una casa, finalmente qualche amico. Rifiutarono senza battere ciglio l’ennesima proposta di sottoporsi ad un’operazione per separarsi: erano nate così e così sarebbero morte.
Quando la febbre di Hong Kong si diffuse per tutta Charlotte, Daisy si ammalò e pochi giorni dopo morì; Violet la seguì dopo quarattott’ore. Non chiamò i soccorsi, probabilmente stava troppo male per farlo, e rimase con la sorella fino alla fine. Avevano 61 anni. Le gemelle vennero ritrovate da un collega del negozio di alimentari dove lavorarono gli ultimi anni, preoccupato per la loro assenza sul lavoro di quei giorni. Come da loro desiderio vennero seppellite assieme, in una bara su misura, sotto una lapide che recitava “amate sorelle siamesi”.
Quello di siamesi fu molto più che un stato fisico per loro, divenne uno stato mentale. Per molto tempo Daisy aveva avuto solo Violet e Violet solo Daisy: non vollero nemmeno provare a scoprire cosa significasse stare una lontana dall’altra.
Un legame molto complesso e difficile da replicare, come ha ammesso Angela Fontana, che durante un’intervista in cui chiedevano a lei e Marianna cosa avesse significato recitare questi ruoli, ha risposto: “Essere siamesi è completamente diverso… abbiamo un’affinità mentale molto forte e viviamo sensazioni in comune, ma lavorare insieme è stato molto particolare perché ciascuna di noi ha la propria indipendenza e l’idea di dividerla con l’altra è complicato”.
Classe 1988, è una delle tre fondatrici di Soft Revolution. Non ha dubbi sul fatto che le Ice Capades fossero super.