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Arte, letteratura, filosofia: perché Tom McCarthy è uno degli autori più importanti degli ultimi anni, e perché dovreste leggere Satin Island, il suo ultimo romanzo.

Premessa: scrivo questo articolo per convincervi che Tom McCarthy è un autore importante, che dovreste leggere e conoscere perché dice delle cose sul presente che meritano attenzione, quindi il mio intento non è disinteressato. Inoltre scrivo questo articolo proprio mentre il suo ultimo romanzo, Satin Island, sta riscontrando in Italia qualche attenzione da parte della solita nicchia di affezionati (e la solita totale indifferenza da parte del mainstream). Sto avanzando i miei argomenti nel momento in cui il vostro fianco esposto è più debole: oltre a non essere disinteressato, il mio intento è anche parzialmente disonesto.

Parte prima: l’arte
Chiarito il terreno da ogni dubbio, veniamo ai fatti. Tom McCarthy nasce a Londra nel 1969. I dati fondamentali della sua biografia fanno pensare a una famiglia di classe sociale alta: nato a Greenwich, viene educato all’esclusivo Dulwich College e poi a Oxford, tappe che sarebbero le stesse se il vostro scopo nella vita, invece che diventare un romanziere d’avanguardia, fosse quello di farvi introdurre a Windsor.

Ma a Tom di Windsor non importa nulla, e invece di proseguire gli studi comincia a condurre una di quelle vite da bohémien a spasso per l’Europa: lavora come modello di nudo a Praga, spilla birre in un pub irlandese di Berlino, affetta verdure per uno chef che legge Nietzsche in un ristorante di Amsterdam(1). Tornato a Londra alla fine degli anni 90, in tempi in cui il brutalismo non era ancora di moda, si trasferisce in un appartamento del Golden Lane Estate, un complesso popolare che data i tardi anni 50 e ha la particolarità di condividere praticamente il giardino interno con il Barbican(2). A questo punto, Tom ha la buona idea di dedicarsi all’arte.

Nei primi anni 2000 produrrà alcuni lavori degni di menzione, e il cui significato, chiaro alla luce della sua opera di scrittore, doveva risultare del tutto incomprensibile a un osservatore dell’epoca. Il primo si intitola Greenwich Degree Zero ed è, nell’epoca in cui i confini tra realtà e fiction cominciano a sfumare, una raccolta di falsi documenti che testimoniano come il famoso tentato attentato all’Osservatorio di Greenwich del 1894 (lo stesso da cui trasse ispirazione Joseph Conrad per L’agente segreto) non solo non fallì ma riuscì nel suo intento; il secondo, Ontic Helpline, è un telefono nero che trasferisce le chiamate di chi lo utilizza a un loop di messaggi pre-registrati; ma senza dubbio il vero pezzo forte del lavoro di McCarthy artista è la fondazione della International Necronautical Society (INS) insieme – e qui qualche lettore starà cominciando a collegare qualche filo – al filosofo Simon Critchley.

Dagli archivi della International Necronautical Society.

Critchley in Italia è noto soprattutto per un recente libro su David Bowie e per un saggio sull’umorismo, ma ad averlo reso una delle voci principali della filosofia continentale degli ultimi anni (e ad avergli procurato una prestigiosa cattedra alla New School, la curatela del bel blog The Stone sul New York Times e incarichi da visiting professor in Australia, Francia, Norvegia e Svizzera) è la sua riflessione sul nichilismo sviluppata a partire dall’opera di Martin Heidegger. Per capirci, Critchley ha scritto libri che si intitolano Very Little… Almost Nothing e Things Merely Are, nonché un compendio sul concetto della buona morte intitolato The Book of Dead Philosophers. A questo punto sia il carattere “ontico” del telefono nero di McCarthy che il significato della INS dovrebbero diventare un po’ più chiari.

Il modo in cui i necronauti entrano in scena è di quelli che lasciano il segno, e giustifica la menzione che David Shields dedica al duo nella prima pagina di Fame di realtà: il 14 dicembre 1999 acquistano una pagina sul Times di Londra e pubblicano un manifesto sulla falsariga di quelli delle avanguardie storiche, dada o futurista, che dichiara che “la morte è un tipo di spazio che intendiamo mappare, nel quale intendiamo entrare, che vogliamo colonizzare” e “che non c’è bellezza senza morte”. Lo scopo del gruppo è quello di “produrre progetti (…) che facciano con la morte quello che il surrealismo ha fatto con il sesso”.

Sulla colonna destra: il manifesto della INS sul Times, 1999.

Qui tocca fermarsi un attimo, perché è importante capire approfonditamente cosa significa questa frase che all’apparenza sembra, diciamolo pure, una presa per il culo. Be’, non lo è – non del tutto, almeno. “Quello che i surrealisti hanno fatto con il sesso” è la sessualizzazione di tutte le cose, la traduzione sul piano estetico della nuova scoperta di Freud che Eros è alla base di tutte le nostre azioni(3). Tuttavia i surrealisti si erano basati solo sul primo Freud, quello che privilegia Eros rispetto a Thanatos come unica ragione nascosta alla base delle nostre azioni.

Ora provate a fare un giochino di immedesimazione e cercate di immaginare cosa significa guardare il mondo pensando, letteralmente, che la morte è ovunque ed è alla base di tutte le cose. L’effetto che otterrete è qualcosa a metà strada tra il corpo come cadavere vivente di Burroughs, il Philip Dick di Ubik e la collezione di un entomologo, o magari uno stilista come Alexander McQueen – che forse non proprio per caso bazzica gli ambienti dell’arte londinese negli stessi anni di McCarthy(4).

In quei primi anni Zero i necronauti combinano alcune cose abbastanza interessanti. Nel 2003 sostengono di aver hackerato il sito della BBC e averne trasformato il codice sorgente in un bollettino di propaganda segreta (non ci sono prove che sia mai accaduto). Nel 2007, dopo aver presentato alla Tate Britain di Londra la loro Dichiarazione di inautenticità, colgono al balzo la bizzarra affermazione della rivista Triple Canopy secondo la quale i lettori di una precedente performance INS tenutasi a New York non erano McCarthy e Critchley, ma due attori: da quel momento la Dichiarazione viene interpretata solo da attori in giro per il mondo (ma l’unica versione di cui si abbia notizia è una traduzione in greco alla Biennale di Atene del 2009). Nel 2008 installano al Moderna Museet di Stoccolma la scatola nera di un aereo che trasmette poesie generate automaticamente. Nel frattempo, Tom McCarthy è diventato un romanziere.

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McCarthy e le scatole nere.

Parte seconda: la letteratura
Remainder, il primo romanzo pubblicato, è in realtà il secondo scritto da McCarthy e ha una storia editoriale interessante: rifiutato da diversi editori britannici, viene infine dato alle stampe nel 2005 dal minuscolo editore di libri d’arte francese Metronome Press e distribuito in tiratura limitatissima tra i cataloghi delle mostre nei musei – salvo poi essere riportato in UK nel 2006 grazie all’intuizione degli italiani espatriati a Richmond di Alma Books e finire diretto l’anno dopo alla Vintage di New York. Nel 2008 diventa per Zadie Smith l’esempio di “romanzo del futuro” in quello che verosimilmente è uno degli articoli di critica letteraria più importante degli ultimi anni.

In Italia il romanzo arriva tramite ISBN e col titolo cambiato in Déjà-vu: un compromesso forse necessario per riuscire a introdurre nel nostro paese uno scrittore piuttosto alieno ai nostri canoni come McCarthy, ma a livello filologico è un disastro; perché il titolo originale in inglese significa “residuo” ma suona anche come reminder, “ricordo”, e fornisce non solo  la chiave di lettura del singolo romanzo, ma anche di tutta l’opera a venire.

La trama è di quelle che o vi mandano in visibilio o vi allontanano immediatamente: un bel giorno un personaggio senza nome viene colpito da un oggetto che precipita dal cielo e perde la memoria. L’azienda responsabile dell’incidente gli offre una somma di denaro praticamente illimitata purché lui si impegni a non intraprendere azioni legali. L’uomo senza nome accetta, non sa cosa fare con quei soldi, poi durante la festa a casa di un amico a Brixton vede una crepa nel muro del bagno e improvvisamente gli torna in mente qualcosa: in un momento imprecisato del passato ha vissuto a Parigi, in un appartamento di cui ricorda solo un preciso istante – una donna che cuoce il fegato, un uomo che ripara la sua moto, gatti neri sul tetto. Decide di utilizzare l’immensa fortuna di cui si è trovato in possesso per ricostruire quel momento fin nei minimi dettagli e per riprodurlo ancora, e ancora, e ancora.

Dal romanzo è stato tratto nel 2015 anche un film diretto dal regista israeliano Omer Fast, e come questo cerca di mettere in chiaro – riuscendoci solo in parte, secondo l’opinione di chi scrive – che Remainder è anche una discesa nell’ossessione personale del ricordo, una riflessione sull’arte come happening che instaura con la realtà una relazione ambigua e un delirante viaggio attraverso i meandri oscuri del mito tecnocratico dell’efficienza (quella che il narratore senza nome mette in piedi è un’infernale macchina kafkiana o deleuziana dell’epoca del turbocapitalismo, dove ognuno è un numero in un processo più grande e conseguentemente ognuno è sacrificabile(5)).

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Il trailer tratto dal film di Remainder.

Lo stesso anno della pubblicazione britannica di Remainder, il 2006, un grosso editore come Granta chiede a Tom di, parole sue, “scrivere qualcosa su Freud o Derrida o qualcuno così”: Tom decide di scrivere invece qualcosa su Hergé e parlare di Freud e Derrida, e pubblica una analisi strutturalista dei fumetti di Tintin intitolata Tintin e il segreto della letteratura. Il libro è stato criticato per il “sorrisetto autocompiaciuto” da “giornalista che ruba le teorie critiche all’accademia”: ed è vero, fa un po’ quell’effetto. Il che non lo rende una lettura meno interessante – vi spiega anche perché Tom piaccia ai critici letterari, come il sottoscritto – ma nel caso in cui decidiate di approcciarvi alla sua opera dopo la lettura di questo articolo, ecco, forse questo non è il punto di partenza migliore.

Nel 2007 esce invece Men in Space, scritto prima di Reminder, e nel 2010 arriva il romanzo che gli vale il vero successo internazionale, C. La trama segue la breve vita di Serge Carrefax, nato in una scuola per bambini sordi in Francia senza essere sordo, radioamatore, poi pilota di aerei durante la prima guerra mondiale, morfinomane nella Londra degli anni 20 e infine egittologo. Costruito come un agglomerato traslucido di citazioni e rimandi (la storia è quella dell’Uomo dei lupi di Freud, Serge nasce “con la camicia” come Houdini, Kafka è ovunque, Pynchon – ci ricorda nientemeno che Jennifer Egan – pure, le sequenze sulla morfina sono Burroughs, A.S. Byatt è nel giardino della casa di Serge, la passione giovanile di Jung, prima di dedicarsi alla psicanalisi, era l’egittologia), C è almeno tre cose contemporaneamente: 1) un esperimento di romanzo d’avanguardia di massa, modulare, auto-generato, potenzialmente infinito; 2) una riflessione intorno al segno, alla sua criptatura e alla possibilità del significato; 3) l’estensione a vette quasi ascetiche del delirio iniziato con Remainder sul potere disumanizzante delle tecnologie (le sequenze in cui Serge spara sugli esseri umani bidimensionalizzati dalla sua prospettiva aerea sono contemporaneamente una disturbante fotografia retrò e un terribile sguardo al mondo dei droni(6)).

Passano due anni e McCarthy pubblica un libricino tutto sommato perdibile che riassume le sue posizioni critiche (Transmission and the Individual Remix, più vicino nei contenuti alle pubblicazioni della INS – Navigation Was Always a Difficult Art e Calling All Agents – che ai romanzi). Ne passano altri tre e dopo una lunga attesa anticipata da un fenomenale articolo su Joyce, l’antropologia e il codice binario, esce Satin Island, portato in Italia da Bompiani a settembre dello scorso anno.

L'edizione italiana di Satin Island, Bompiani 2016.

La trama: U, antropologo culturale prestato a una grande corporation che sembra occuparsi di tutto, viene incaricato dal suo capo di produrre una Grande Relazione che fotografi la totalità del presente. Nel tentativo di riuscirci, scivola nell’ossessione per una storia di paracadutisti morti e per gli incidenti agli impianti petroliferi, si sente raccontare dalla donna che frequenta una stupenda storia kafkiano-bolano-pasoliniana sul G8 di Genova e fa un sogno curioso in cui Staten Island rappresenta qualcosa di simile all’inconscio di New York.

Il romanzo funziona meno bene di tutti i precedenti: innanzitutto è meno propriamente un romanzo, poi non sembra essere in grado di prendere alcuna direzione precisa, manca della furia avanguardistica dei precedenti – fatemelo dire – capolavori, e più che remixare Lévi-Strauss e Google remixa soprattutto Tom McCarthy stesso. Ma è più accessibile di C, meno estremo di Remainder, e ha momenti ottimi. Se con McCarthy volete evitare di partire in quarta, questo potrebbe essere un buon inizio.

Tom McCarthy in uno scatto di Andrew Crowley.

Parte terza: la filosofia
Di cosa parlano allora i lavori di McCarthy (i romanzi, i saggi critici, le opere d’arte)? Come mai ho cominciato questo articolo dicendo addirittura che Tom “è un autore importante, che dovreste leggere e conoscere perché dice delle cose sul presente che meritano attenzione”? Facciamo un decalogo:

i)

Alla base dell’opera di McCarthy c’è il problema del senso. Si tratta di un problema critico e filosofico, più che estetico – la possibilità di accedere al nucleo delle cose e che questo nucleo significhi qualcosa. Praticamente in ogni lavoro ci troviamo di fronte a un dispositivo semiotico che richiede un’interpretazione: il segreto della letteratura (Tintin), il senso della propria esistenza (C), un passato avvolto dal mistero (Remainder), la fotografia che coglie in un istante tutto il presente, illuminandolo (Satin Island).

ii)

L’opera di traduzione dei significati in significanti è sostanzialmente un’opera di mascheramento del senso: ogni segno è un segno criptato. Così Hergé depista i suoi lettori sotto la patina di un fumetto per ragazzi, Serge si diletta a decodificare le trasmissioni radio che riesce a captare dalla mansarda di casa sua, il protagonista senza nome di Remainder e U cercano la chiave per sbloccare quello che sembra un dispositivo inaccessibile – il passato tagliato fuori dall’amnesia, l’equazione capace di rappresentare il presente nella sua totalità. Il messaggio trasmesso è reso incomprensibile dalle interferenze, come nella scatola nera dell’installazione al Moderna Museet (se avete letto feedback avete letto bene: e infatti – come stupirsene? – Tom è un grande amante della musica punk(7)).

iii)

Il primo livello di criptazione del messaggio è quello tecnologico, che è come dire che non c’è messaggio senza tecnologia, che se la parola stessa è una tecnologia allora figuriamoci la scrittura. Nell’epoca della trasmissione diffusa e del broadcasting individuale, la tecnologia satura l’etere di messaggi, frammenti di messaggi, brandelli di frammenti di messaggi. Ognuno di noi, come un’antenna ricetrasmittente, assorbe e propaga i messaggi che capta.

iv)

Nell’epoca del postumano questo significa quasi letteralmente che siamo macchine, componenti di una macchina più grande. Il protagonista senza nome di Remainder costruisce una macchina-condominio dove, in una metafora del capitalismo estremo (ricordate da dove vengono i soldi che finanziano la macchina-condominio), ogni attore è costantemente sacrificabile. Quando sale sul suo Spitfire e sorvola i campi francesi, Serge, come i piloti futuristi, si identifica con la macchina e la sua spietatezza – toglie la vita in maniera fredda, impersonale. Nella scena più bella di Satin Island, il proprietario di una misteriosa villa fuori Genova chiede a una manifestante anti-G8 che ha sequestrato di assumere posizioni che somigliano a quelle di un’antenna, mentre lui maneggia un dispositivo di controllo remoto(8).

v)

Tuttavia l’efficienza promessa dalla tecnologia non solo è inumana, è anche illusoria. Remainder si apre con la lunga descrizione della riabilitazione del protagonista innominato dopo l’incidente. Una volta ripresosi, quello che fa è ripetere all’infinito lo stesso movimento – ripercorrere ancora e ancora la propria nevrosi. La tecnologia ha la tendenza a ridurre ogni processo a un input/output: tutto quello che devia dalla linearità di questo percorso viene considerato “rumore” inservibile a migliorare l’efficienza del processo.

Il processo di svelamento del nucleo profondo delle cose è sempre fallimentare. Al di sotto delle cose ci sono solo altre cose.

vi)

Se non possiamo aspettarci che il messaggio ufficiale veicolato dalla tecnologia sia rilevante, o attendibile, dobbiamo pensare che il vero senso si trovi da qualche parte nel rumore. Il telefono ontico dell’installazione manda in loop messaggi pre-registrati, rendendo impossibile la conversazione. Nello scantinato della corporation per la quale lavora, U passa ore a guardare il buffering dei video di YouTube. Nell’errore, nella non-efficienza, nella (hello Kafka: ricordate Odradek?) macchina folle e disfunzionale, c’è una qualche forma di risposta.

vii)

Quindi bisogna dedurne, in qualche modo, che quella scatola nera che custodisce il significato contiene essenzialmente rumore e ripetizione. Leggetevi il finale di C(9).

viii)

Infatti il processo di svelamento del nucleo profondo delle cose è sempre fallimentare. Al di sotto delle cose ci sono solo altre cose: il telefono che il protagonista di Remainder strappa dalla parete rivela che dietro il messaggio ci sono solo fili che sembrano viscere, le radio trasmettono in un caos di segnali statici, i computer rappresentano il mondo servendosi di un codice binario incomprensibile per gli uomini.

ix)

Ricordatevi Simon Critchley quando diceva che “things merely are”: qui siamo fuori dai confini del postmodernismo in cui, niccianamente, esistono solo interpretazioni. Qui la realtà esiste eccome – ma è radicalmente ritirata, inaccessibile, inconoscibile.

x)

Provate un po’ a indovinare con cosa coincide la realtà?

Ecco perché un termine come Remainder (quel termine che la traduzione italiana non avrebbe dovuto obliterare, per quanto anche il concetto di obliterazione – la scrittura come palinsesto, la creazione come eterna riproduzione – sia tanto caro a Tom), riassume l’opera di McCarthy: il residuo è quello che rimane dell’umano in un mondo sempre meno umano, il punto di fuga dal nichilismo.

Note
(1) In un’intervista del 2011 scopriamo che, secondo McCarthy, questo cuoco “leggeva Nietzsche nello stesso modo in cui Hitler leggeva Nietzsche” e che considerava i camerieri Übermenschen.
(2) Se avete letto Satin Island e conoscete il Golden Lane Estate avrete notato che è in un appartamento molto simile che U, il protagonista del romanzo, vive, tenta invano di compilare la sua Grande Relazione e salva un bambino che rischia di affogare in uno stagno.
(3) Ricordate come esempio l’educazione sentimentale del proto-nazi Lucien nell’Infanzia di un capo di Sartre per mano del surrealista Bérgere, che “gli parlava spesso di Rimbaud e del ‘disfrenamento sistematico di tutti i sensi’. Quando potrai, passando in place de la Concorde, vedere distintamente e a tuo piacere una negra in ginocchio nell’atto di succhiare l’obelisco, potrai dire a te stesso che hai strappato il sipario e che sei fuori pericolo”.
(4) McCarthy e McQueen sono nati lo stesso anno, il 1969, entrambi a South East London. Ritengo comunque probabile che non abbiano avuto contatti diretti, almeno significativi, o almeno non sono riuscito a trovarne traccia.
(5) Tra i due poli deleuziani della differenza e della ripetizione, evidentemente, McCarthy preferisce la ripetizione: non il rizomatico sviluppo del desiderio incontrollato ma il loop della nevrosi che ripete l’evento sempre uguale a se stesso.
(6) A un certo punto un compagno di battaglione di Serge viene colpito durante il volo, si lancia con il paracadute che non si apre e si schianta al suolo. Alcuni giorni dopo quello che rimane di lui è una traccia di sostanze chimiche nell’erba: things merely are, direbbe Crithcley.
(7) Da qualche parte, non ricordo più dove, ho letto questo interessante aneddoto: poco dopo aver pubblicato Remainder, Tom si trova in un locale di New York quando entra Lou Reed, il suo idolo dai tempi dell’università. Tom decide che si tratta di un’occasione irripetibile, approccia il grande Lou e gli consegna una copia autografata del suo romanzo. Gli dice qualcosa come: “Questo è il mio primo libro, parla di un tizio a cui cade in testa un oggetto misterioso dallo spazio, rischia di rimanere paraplegico e impazzisce nel tentativo di recuperare il passato che ha scordato”. Lou Reed lo guarda per un secondo e dice: “Sembra divertente!”. Poi lo appoggia su un tavolino e se ne va. (Potrei aver ingigantito o inventato di sana pianta qualche particolare).
(8) Questa è una scena di estrema violenza ed estrema sensualità, che vi mette a disagio perché state guardando la colonia penale di Kafka e ci trovate qualcosa di erotico, oltre che di ridicolo. È anche la migliore metafora dei fatti di Genova che mi sia mai capitato di leggere.
(9) Qui voglio fare notare un parallelo curioso. Abbiamo detto che C ricalca un famoso caso clinico di Freud, quello di Sergei Pankejeff, comunemente conosciuto come l’uomo dei lupi. La storia è lunga e complicata, ma per farla breve il trauma di Pankejeff è collegato alla morte della sorella gemella quando era bambina. Anche il trauma di Serge Carrefax, quale che sia veramente, è collegato in qualche modo alla morte della sorella, ed è la sorella che [SPOILER] incontra alla fine del romanzo. A questo punto vorrei far notare che la lettura della parabola umana di Philip Dick che fornisce Emanuel Carrère nel su Io sono vivo e voi siete morti ricalca in maniera all’incirca esatta questo modello – quello di Freud e quello che McCarthy, che ovviamente ha scritto il suo libro una ventina d’anni dopo quello di Carrère. Carrère ha letto Freud? McCarthy ha letto Carrère? Tutti e tre, Sergei Pankejeff includo, attingono a un inconscio collettivo? Ecco un altro mistero da interpretare.

Gianluca Didino
Gianluca Didino è nato nel 1985 in Piemonte. Ha vissuto otto anni a Torino e da tre vive a Londra. Suoi articoli sono stati pubblicati su IL, Studio, Nuovi Argomenti. Ha curato la rubrica VALIS sul Mucchio Selvaggio e attualmente collabora con minima&moralia e Doppiozero.

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