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È ufficiale: la nuova console Nintendo Switch arriverà sul mercato il prossimo 3 marzo, e per l’azienda di Kyoto è la migliore occasione per riprendersi le quote perse con la WiiU. Ma non sarà facile, specialmente se è lo stesso management a mettersi di traverso.

Qualche giorno fa, sapendo che sarei andato a Londra per partecipare alla conferenza europea di presentazione della Nintendo Switch, mio padre mi ha chiesto di illustrargli la situazione attuale del mercato videoludico. Era una domanda di pura cortesia che come tale meritava la sintesi, per cui non mi sono dilungato: in questa ottava generazione di console, Sony detiene poco più del 55% dello share, seguito dal 28% circa di Microsoft e, infine, dal 18% di Nintendo (dati QUI). Per chi come lui non segue il settore, ricordandosi tutt’al più dei fasti degli anni ’80 e delle pubblicità con Jovanotti, venire a conoscenza della sudditanza della Big N fa strano. Un disorientamento che diventa totale quando lo informo che, mentre l’ultima console portatile è andata piuttosto bene, la controparte casalinga è stata un disastro; basti pensare che ha venduto più unità la riedizione del NES (1986) in tre settimane di quante ne abbia piazzate la WiiU in sei mesi.

Ma lasciamo stare mio padre e vediamo quali sono le ragioni di tale débâcle, riassumendole in cinque punti di importanza decrescente. Nell’ordine: 1) la WiiU ha sempre sofferto di un’identità debole, figlia di letture del mercato sbagliate per le quali i giocatori occasionali conquistati con la Wii – soccer mom ed equivalenti europee, anziani, bambini – avrebbero ancora costituito una parte consistente dell’utenza, mentre in realtà avevano perso interesse nei videogiochi oppure erano passati al mobile; 2) da qui la sua obsolescenza tecnologica, nascosta dietro a un joypad con touchscreen dal valore aggiunto discutibile (con qualche eccezione), ma che nondimeno obbligava gli sviluppatori a investire risorse per trovarne degli usi; 3) struttura hardware ostica e servizio di supporto agli sviluppatori farraginoso; 4) conseguente mancanza di un parco titoli competitivo; 5) marketing e campagna promozionale confusionari o comunque incapaci di presentare il prodotto come una novità.

Questi elementi vanno poi inseriti in un contesto storico – la fine della settima, lunghissima generazione – caratterizzato da una tecnofilia diffusa che da lì a due anni avrebbe premiato chi prometteva il balzo tecnologico più consistente (e poco importa che fossero più o meno balle): il pubblico cercava potenza di calcolo, e negarglielo è stato il primo di una serie di errori che hanno portato la WiiU a diventare un flop commerciale. Un danno relativo sul piano economico, che però ha contribuito a rafforzare lo stereotipo che vede in Nintendo un’azienda legata a un passato certamente glorioso, ma ormai insufficiente a soddisfare le richieste della maggioranza degli appassionati contemporanei (riassumibili in: “Belli Mario e Zelda, ma se per avere loro devo rinunciare a Fifa o Overwatch, anche no”). Cambiare questa percezione è dunque l’ostacolo più grosso che avrà di fronte la loro prossima console, battezzata Switch, in uscita il prossimo 3 marzo.

Se non si era capito, Zelda c’è

Di ritorno dalla recente presentazione europea, mi sento di dire che risalire la china non sarà affatto facile, benché abbia provato la console e ne sia rimasto più che soddisfatto. Durante il volo di ritorno rifletto dunque sulla generale capacità di autosabotaggio da parte delle multinazionali videoludiche, concludendo che se fossi uno dei progettisti della Switch, a quest’ora starei aspettando il presidente Tatsumi Kimishima sotto casa sua impugnando una chiave inglese da 36. Il motivo è semplice, ma prima di arrivarci cominciamo con gli aspetti positivi.

Principi costituenti
A differenza del predecessore, la visione su cui si fonda la natura ibrida della Switch (su cui ritornerò più avanti) è azzardata ma plausibile e, soprattutto, guarda al futuro nel tentativo di intercettare i desideri degli appassionati. In sostanza, la tesi sposata da Nintendo è che le ragioni che hanno giustificato l’esistenza delle console come le abbiamo conosciute negli ultimi quindici anni stiano venendo meno. Previsioni di questo tenore sono del resto sempre più diffuse tra i professionisti del settore (per esempio Tim Sweeney di Epic, che ne parla in una recente intervista rilasciata a Glixel), e per ora l’unica fonte di disaccordo in merito riguarda le tempistiche con cui si avvereranno.

Può darsi che si tratti di esagerazioni, ma intanto è un fatto concreto che di recente il prezzo medio dei computer si sia abbassato sempre di più, pur mantenendo intatta una tradizionale qualità superiore dell’esperienza videoludica. Inoltre, la loro fruibilità è migliorata e ciò, aggiunto a una varietà di titoli e generi tradizionalmente maggiore, li rende sempre più appetibili anche per il pubblico più generalista. Per converso, le console tradizionali non solo continuano a costare quanto prima, ma per giunta richiedono frequenti aggiornamenti di software e hardware per restare – zoppicando tra mille compromessi – al passo coi tempi; il che da un lato invalida il principio di semplicità di utilizzo, e dall’altro costringe l’utenza a esborsi sempre più frequenti, pena l’esecuzione subottimale dei giochi più recenti (ehilà The Last Guardian!) o addirittura la loro cancellazione (ciao Scalebound!). Da qui l’ipotesi che nel corso dei prossimi anni avverrà una migrazione di parte dell’utenza da console a personal computer, in quanto la maggiore spesa iniziale sarà sufficientemente bassa per essere riassorbita psicologicamente dalla superiore qualità dell’esperienza, dall’oggettivo risparmio sul software e dal fatto di disporre di una macchina davvero multiuso. Del resto, un fenomeno analogo si è già verificato in ambito mobile, dove le console portatili “pure” sono state rese a tutti gli effetti obsolete da smartphone e tablet sempre più potenti, che, oltre ad avere un parco giochi sempre più vasto, hanno l’ovvio vantaggio di essere degli oggetti utili e versatili.

Per queste ragioni Nintendo, cosciente se non altro della perdita di senso nell’avere prodotti distinti per l’uso domestico e portatile, si è trovata a dover operare una scelta tra due opzioni nettamente diverse tra loro: o entrare in diretta competizione con Sony, Microsoft e l’intero ecosistema PC, presentando quindi una console “tradizionale” incentrata sulla potenza di calcolo e abbandonando ogni ambizione nel settore delle portatili, oppure concepire un prodotto che da un lato aggiri una competizione tecnologica che si promette spietata e su cui ha già accumulato un considerevole ritardo, e che dall’altro sappia offrire i vantaggi della portabilità senza rinunciare alle caratteristiche del gaming AAA. Un prodotto volto a riproporre l’esperienza ludica dei titoli più in auge anche fuori casa, senza preoccuparsi più di tanto della fedeltà audiovisiva e che offra come forma di compensazione il valore aggiunto dei franchise proprietari o tradizionalmente legati a Nintendo.

Nonostante i diversi elementi che la compongono, la Switch è robusta.

Ecco allora la Switch. Ma cos’è, di preciso? In breve, è una console a doppia configurazione che permette di far girare i giochi sia sfruttando la tv del salotto, sia quando ci si trova fuori casa. Esteticamente si presenta suddivisa in tre elementi modulari: quello centrale, che ospita la maggior parte dell’hardware e un bello schermo touch da 6,2”; il controller, a sua volta separabile in due metà speculari, ciascuna delle quali dotata di sensori di movimento; infine, il dock di ricarica da collegare alla televisione. Nel complesso risulta un oggetto ben costruito, che restituisce un’impressione di robustezza malgrado sia realizzato in sola plastica, e le cui generose dimensioni (pur inferiori al gargantuesco pad della WiiU) sono giustificate da una discreta ergonomia. La penalizzazione audiovisiva che si paga quando si passa dalla modalità domestica a quella portatile consiste perlopiù in un calo della risoluzione (da 900/1080 a 720p), impercettibile a occhio nudo su uno schermo di quelle dimensioni, e, probabilmente, a una riduzione del framerate che varierà da gioco a gioco. A mio avviso sono entrambi compromessi accettabili e, soprattutto, imprescindibili per alzare la durata della batteria (anch’essa dipende dal singolo titolo, ma voci ne attestano la media tra le due e le tre ore) e abbassare i costi di produzione.   

Cash Rules Everything Around Me
E così arriviamo alla gravissima nota dolente della Switch, ovvero il prezzo di listino: 299$ in America e 329€ in Europa (lo scarto è legato alla presenza di imposte locali come l’Iva), a cui aggiungere un ulteriore esborso per l’acquisto pressoché obbligatorio di una scheda SD che espanda i miseri 32 GB (!) di memoria in dotazione. Inutile girarci attorno: è una cifra oggettivamente fuori mercato, che da sola costituisce la maggior zavorra per il successo del prodotto, in quanto già adesso Sony e Microsoft offrono le proprie macchine – peraltro più potenti – a prezzi inferiori (rispettivamente, 270 e 250€). La ragione di questa discrepanza è semplice: laddove PlayStation 4 e Xbox One sono state inizialmente vendute più o meno sottoprezzo, seguendo una logica per cui si barattano piccole perdite immediate con un cospicuo ritorno economico nel periodo medio-lungo (dovuto al progressivo calo dei costi manifatturieri e allo sfruttamento delle licenze di pubblicazione), il top management Nintendo ha invece deciso di anteporre il guadagno sull’unghia a qualsiasi altra considerazione.

In tutta franchezza – visto l’attuale handicap di partenza della casa di Kyoto in termini di reputazione e presenza sul mercato – trovo che tale decisione sia surreale, tanto sul piano commerciale quanto su quello comunicativo; l’unica giustificazione che avrei potuto accettare sarebbe dipesa dalla presenza di una componentistica migliore rispetto a quella ipotizzata finora, ma il fatto che non vi siano state rivelazioni ufficiali giustifica un pessimismo in tal senso. E se il problema è minore negli Stati Uniti dei 299$, nell’Europa continentale la presenza di quel “3” all’inizio della cifra avrà ripercussioni esiziali non solo tra gli acquirenti tradizionali, ma anche tra gli early adopters. Temo pertanto che nell’immediato gli unici entusiasti si riveleranno essere i fan della Big N e, sia detto senza eccessiva offesa, la loro è una presenza molto rumorosa su internet, ma statisticamente ininfluente nelle classifiche di vendita.

Tatsumi Kimishima, CEO di Nintendo.

Non resta molto da aggiungere in merito, se non che personalmente auspico il repentino rinsavimento di Kimishima e dei suoi daimyo, e con esso un deciso dietrofront su una decisione per la quale al momento è difficile trovare contrappesi di alcun genere. Anche perché è impossibile glissare sull’esiguità dell’offerta ludica garantita per l’arrivo sul mercato della Switch: il 3 marzo, infatti, a parte due titoli già editi (Just Dance 2017 e Skylanders Imaginators) e uno smaccatamente rétro (Bomberman R, non proprio un nome di richiamo), saranno disponibili solo l’atteso nuovo capitolo di Zelda, Breath of the Wild, e la raccolta di minigiochi 1-2 Switch. Una penuria, questa, ulteriormente aggravata dal fatto che per ora non si prevede l’inclusione di nessun gioco con la console e, soprattutto, che la nuova avventura di Link (la cui qualità deve peraltro ancora essere verificata, a voler essere fiscali) apparirà contemporaneamente anche per WiiU; fattore, quest’ultimo, che porterà a un’ulteriore erosione della fascia dei potenziali acquirenti al day one.

Ok, ma dopo?
A prescindere da quello che si prevede essere uno dei lanci più difficili della storia di Nintendo, le fortune successive della Switch dipenderanno però da altri fattori, primo fra tutti il parco giochi e la regolarità con cui verrà aggiornato. Stando alle promesse, tra il 3 marzo e il 31 dicembre usciranno 55 titoli, alcuni dei quali molto interessanti: tra gli altri, a Londra è stato possibile provare Splatoon 2 (divertente quanto l’originale), una versione deluxe di Mario Kart 8, il sottovalutato puzzle-platform Snipperclips e, soprattutto, la nuova IP Arms. Contro ogni mia previsione, è quest’ultimo ad avermi colpito maggiormente: si tratta di un picchiaduro cartoonesco 1 VS 1 basato sul motion control (a proposito: il controller, noto come JoyCon, è realizzato magnificamente, con sensori di movimento che danno la paga a qualsiasi alternativa presente sul mercato), in cui si controllano personaggi dalle braccia estensibili à la One Piece. Un’idea alla quale non avrei dato mezza lira e per cui temevo il ricorso a un sistema di controllo che ho sempre detestato, ma che dopo nemmeno due round ha convinto perfino un joypadista ultraortodosso come il sottoscritto; l’immediatezza delle meccaniche di base è infatti accompagnata da una profondità del gameplay inaspettata, resa poi fresca da controlli reattivi ed efficaci. Non esagero se dico che tra tutti è questo il motivo principale per cui vale la pena comprare una Switch prima dell’estate.

In autunno, invece, apparirà Super Mario Odyssey, di cui per ora si sa solo che avrà elementi open world, e che rappresenta una promessa di innovazione necessaria per un franchise che, dopo Galaxy, si era addormentato sugli allori.

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Ma se sul fronte dei titoli sviluppati in casa Nintendo non ci si può lamentare se non per l’assenza di un nuovo Metroid, la portata del contributo degli sviluppatori esterni è fumoso. A esclusione di titoli già visti altrove, come Skyrim, Disgaea 5 o Rayman Legends (belli, per carità, ma insufficienti a motivare l’acquisto), non è infatti chiara l’entità del supporto delle tante software house che hanno fatto bella mostra dei propri loghi sulle slide di presentazione. Di Electronic Arts, per esempio, si sa che intende sviluppare il nuovo Fifa anche su Switch, ma non è chiaro se i vari Battlefield seguiranno la stessa strada; parimenti, “Activision” può voler dire molte cose, ma al momento l’unica promessa riguarda Skylanders. Discorso analogo per UbiSoft, Bethesda, Atlus, Sega e praticamente tutte le compagnie sbandierate finora, i cui giochi principali sono attualmente in lavorazione per PlayStation, Xbox One e PC, ma – stranamente – non sulla nuova console Nintendo. Ora: nonostante alcuni preoccupanti segnali (niente Mass Effect Andromeda, niente Persona 5, niente Yakuza 0) è ancora presto per esprimere giudizi definitivi, ma non vorrei che il loro supporto si limitasse solo a titoli secondari o poche riedizioni come avvenne a suo tempo con la WiiU, una console a cui non mancano alcuni giochi validi, ma il cui problema sul fronte del software è stato soprattutto quello di far passare troppo tempo tra le singole uscite senza avere dei riempitivi di spessore.

Altresì misteriosa è l’assenza di riferimenti all’aspetto del mobile gaming “tradizionale”: per quanto sia matematicamente certo che prima o poi un Pokémon vedrà la luce su Switch, non sarebbe stato male ottenere una conferma ufficiale anziché dover leggere le dichiarazioni veltroniane da “sì-ma-anche-no” del presidente di Nintendo America Reggie Fils-Aime.

Promettente, perlomeno sulla carta.

Un aiuto potrebbe però arrivare dai servizi online: abbandonata la policy da rapina che associava gli account alla macchina in possesso, anche il passaggio da un ecosistema gratuito a uno a pagamento va accolto positivamente: innanzitutto perché toglie ogni alibi per ritardare un miglioramento complessivo (stabilità, usabilità) del servizio necessario, e in secondo luogo perché apre la porta a politiche promozionali simili a quelle di Sony e Microsoft, dove offrire sconti e regali su titoli – indie e non, e nel caso specifico anche il catalogo mobile – passati sotto silenzio ma validi.

Quindi?
Quindi per ora le previsioni che si possono fare riguardano solo il lancio e, a meno che non avvenga un dietrofront che reputo improbabile, i primi mesi saranno molto – ma soprattutto inutilmente – duri per la neonata Nintendo. E così si ritorna all’autolesionismo accennato in apertura: dal punto di vista concettuale e progettuale la Switch surclassa la WiiU, presentandosi come un’alternativa potenzialmente low cost per il gaming contemporaneo, a cui aggiungere le peculiarità dell’ecosistema Nintendo. Prezzata a 250 o anche 299€, con un gioco incluso e una lineup più solida, nonché avvalendosi di una comunicazione migliore di quella praticata in passato (quanto visto finora lascia ben sperare), potrebbe ancora avere la capacità di penetrare un mercato in mano a Sony e Microsoft e conquistare en passant nuovi utenti, magari proprio tra i più giovani, i cui genitori sono cresciuti con il NES e potrebbero essere attratti da un esborso modesto.

E se anche un parco titoli di lancio debole è relativamente perdonabile (Knack, LOL), non lo è la scelta di stabilire un prezzo di vendita ingiustificato. Di sicuro non quando la concorrenza è fermamente arroccata su percentuali di mercato più che doppie rispetto alle proprie, e tantomeno se non si è ancora consumato l’ipotetico passaggio di molti su piattaforma PC. Senza contare che erigere una tale barriera d’ingresso economica porta ad associare mentalmente la Switch con le altre console, evidenziandone alcune mancanze tecnologiche che altrimenti sarebbero state accettate come compromessi ragionevoli. Last but not least, chi conosce la storia recente di Nintendo è autorizzato a ipotizzare scenari di fantabusiness secondo cui nell’arco di pochi mesi avverrà una inevitabile riduzione del prezzo che renderebbe l’acquisto immediato un azzardo doppiamente rischioso.

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Il trailer è un po’ trash, ma fidatevi che Arms merita.

Ora: trovo sbalorditivo che il management giapponese non abbia pensato e riflettuto a quanto scritto finora e agito di conseguenza, ma dubito che il problema sia l’intelligenza. Casomai – questo sì – un misto di arroganza e isolamento culturale che però rischiano di essere deleteri, e dei quali spero che Kyoto si liberi quanto prima. D’altronde, tra l’ondata di articoli attendisti/pessimisti che ha invaso internet in questi giorni e i primi segnali negativi della borsa, i segnali d’allarme non mancano, e se Kimishima & Co. vogliono continuare a passare come “visionari” anziché “pazzi” (una differenza sottile, glielo concedo) farebbero bene ad ascoltarli.

Costanzo Colombo Reiser
Costanzo Colombo Reiser è nato a Milano nel 1981. Di professione grafico, nei tempi morti preferisce scrivere di musica, politica o altro. Ha scritto per Il Mucchio, L'Ultimo Uomo, Rivista Studio e L'Uomo Vogue, ed è caporedattore area gaming di Prismo.

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