Il sadico mondo delle app che ci vietano di perdere tempo su internet. Perché l'importante è produrre, produrre, produrre.
Eccoti qui. Giunto tramite Facebook durante una delle numerose pause dallo studio o dal lavoro alle quali non sai proprio resistere. Alle volte non te ne accorgi nemmeno: smetti di scrollare all’improvviso e come un sonnambulo ti chiedi: “che ci faccio qui?” Guardi l’orologio e ti rendi conto che hai buttato un pomeriggio. Maledici BuzzFeed, i social media e pure chi ci scrive. Nello specifico, io maledico l’infinite scroll, una tecnologia che ha trasformato le pagine Web in pozzi senza fondo.
StayFocusd
La buona notizia è che non siamo soli e, dato che questo riflesso automatico succhia-tempo è molto comune, c’è chi propone delle soluzioni. Più di mezzo milione di utenti ha scaricato StayFocusd, un’estensione per Chrome creata da Warren Benedetto, uno sviluppatore che “non ha tempo libero dal 1994”. Il meccanismo è semplice: selezioni i siti incriminati e decidi per quanto tempo al giorno puoi visitarli. Allo scadere del tempo, il social network di turno scompare sostituito da una schermata bianca in cui campeggia la scritta: “non dovresti essere al lavoro?”
StayFocusd è addirittura in grado di monitorare i link raggiunti attraverso i siti succhia-tempo, dunque basta scoop de Il Lercio, oroscopi di Internazionale e forse anche articoli su Prismo. Ovviamente, la tentazione è quella di cambiare le impostazioni ogni volta che c’è bisogno di qualche minuto in più, ad esempio quando si riceve un messaggio su Facebook. StayFocusd propone allora un sfida che consiste nel ricopiare senza il minimo errore il seguente testo:
Il procrastinatore è spesso straordinariamente ottimista circa la sua capacità di portare a termine un compito in vista di una scadenza imminente; tale attitudine è di solito accompagnata da espressioni di rassicurazione riguardo al fatto che tutto è sotto controllo. (Dunque non c’è bisogno di cominciare.) Cullato da un falso senso di sicurezza, il tempo passa. A un certo punto, egli supera un momento di partenza immaginario e improvvisamente se ne rende conto: “Oh no! Non ho il controllo! Non c’è abbastanza tempo!”
StayFocusd è molto apprezzata. Per un utente ha rappresentato “tristemente, l’unico modo di concludere l’università”. Molti parlano di una cura per la dipendenza da social, come dimostra il caso di un utente particolarmente soddisfatto che ha tentato di pubblicare un tweet al riguardo. StayFocusd gliel’ha impedito. Win! Tuttavia, qualcuno sostiene che il lapidario “non dovresti essere al lavoro?” possa risultare poco professionale. Al contrario, è il sogno di qualsiasi supervisore: lasciare al software la paternale e al tempo stesso sapere esattamente quando il dipendente ha provato a concentrarsi e ha fallito.
Il gufo della produttività
Esistono delle app coercitive più fantasiose. Una delle mie preferite è Productivity Owl, un’estensione che inserisce un gufo con tanto di trespolo in ogni pagina Web. Allo scadere del tempo concesso (30 secondi di default), il gufo si libra in volo dirigendosi verso il tab corrente allo scopo di chiuderlo. Se si è svelti abbastanza, è possibile fermarlo. Questi, tuttavia, dopo qualche secondo comincerà a bubolare (pare che si dica così) insistentemente e infine si smarcherà per portare a termine la sua missione.
L’ovvio disclaimer è che si tratta di un’app estremamente fastidiosa. Il gufo non si limita a volteggiare nel browser ma esige che ci si guadagni il suo rispetto. Come? Tenendo fede ai propri propositi, ovvero non cambiando continuamente le impostazioni. D’altra parte il suo creatore sostiene di aver vissuto per 7 anni sotto la soglia di povertà a causa della sua inefficienza. Come biasimarlo?
Rescue Time
C’è un’altra tipologia di app che permette di monitorare l’attività svolta online e di estrapolarne un quadro dettagliato in cui produttività e distrazioni sono espresse in percentuale. RescueTime, una delle più popolari, assegna a ogni pagina visitata un punteggio in termini di produttività: Google è considerato neutrale; Wikipedia produttivo; LinkedIn produttivo mentre Tumblr molto dispersivo, come d’altronde i siti d’informazione e quelli di shopping. Spostandoci in Italia, il sito di PosteItaliane risulta molto dispersivo (categoria: Intrattenimento); il sito della Stampa produttivo mentre quello di Repubblica molto dispersivo; il sito della Tim è molto produttivo (categoria: Business) al contrario di quello della Tre che è molto dispersivo (categoria: News/Opinione).
Freedom
Le soluzioni digitali al problema della distrazione si sprecano. C’è Freedom, che taglia la testa al toro e blocca la connettività per un certo periodo di tempo. C’è Isolator, che oscura tutte le finestre e le icone all’infuori di quella prescelta. ChatterBlocker riproduce una serie di effetti sonori rilassanti che mascherano il chiacchiericcio in ufficio.
I vari online store sono inoltre pieni di applicazioni che fanno riferimento ai pomodori. Ciò lo dobbiamo a Francesco Cirillo, uno sviluppatore e imprenditore “che ha dedicato la sua vita ad aiutare altri a migliorare la propria produttività”. Cirillo è l’inventore della Pomodoro Technique, un metodo di gestione del tempo che consiste in sostanza nell’individuare un compito, impostare un timer (possibilmente a forma di pomodoro, di qui il nome) a 25 minuti, lavorare al compito fino allo scadere del tempo, fare una breve pausa, impostare un nuovo pomodoro e così via per quattro volte, dopo le quali fare una pausa più lunga.
Concepita sul finire degli anni ’80, quando Cirillo era ancora uno studente, la Pomodoro Technique ha anticipato di gran lunga l’avvento dei social media. Ma la sua popolarità non sembra diminuire. Le critiche però non mancano: secondo l’imprenditore e “performance coach” Jameson Brandon, la pausa obbligatoria è controproducente in quanto diversi compiti possono richiedere più di 25 minuti. Inoltre il metodo potrebbe creare una forma di dipendenza da pomodoro, ovvero una maggiore attenzione rivolta al rispetto del limite imposto piuttosto che allo svolgimento del compito.
Non rompere la catena!
Cosa c’entra il comico Jerry Seinfeld (quello dell’omonima serie) con questo discorso? Beh, anche lui ha inventato una tecnica per essere più produttivi. Si chiama Don’t Break the Chain! ed è declinata in innumerevoli app e servizi online. Funziona così: si individua un compito che si intende portare avanti per qualche tempo e ci si procura un calendario su cui disegnare una grossa X per ogni giorno in cui si svolge suddetto compito. Se si è costanti, le X si accumuleranno andando a formare una lunga catena. Lo scopo, a questo punto, diventa quello di non romperla. Per far sì che questa tecnica sia efficace è necessario avere un intento chiaro, identificabile a priori e direttamente traducibile in un task. Jerry Seinfeld l’ha utilizzata per scrivere ogni giorno battute e monologhi nuovi, tra cui il seguente, amaramente dedicato all’impossibilità di risparmiare tempo.
Attraverso un terrorismo psicologico più o meno esplicito e delle ingegnose forme di castigo, le app e i metodi descritti promettono di ottimizzare il processo produttivo e dunque determinare un migliore equilibrio tra vita e lavoro. Ma non sono privi di limiti ed effetti collaterali. Tali sistemi combattono ciò che chiamiamo procrastinazione, ma in fondo di che si tratta? Secondo alcuni ricercatori essa ha tre caratteristiche principali: è controproducente, inutile ed è causa di ritardo. Il problema è che, in un’epoca che non conosce più chiare soglie tra lavoro e tempo libero, qualsiasi momento di svago, ozio, riposo, noia o contemplazione risponde a tali categorie poiché c’è sempre qualcosa di più importante da fare. E ciò provoca un’ansia e un senso di colpa diffusi. Qual è la vera causa? Allargando lo sguardo, il concetto stesso di procrastinazione può essere visto come il prodotto di una visione razionalistica che privilegia l’efficienza: senza enfasi sulla produttività, la dannosità della procrastinazione si stempera.
Sei da poco al bar quando ricevi una mail dal tuo capo. È urgente. Chi è con te lo deduce dall’espressione sul tuo volto illuminato dallo smartphone.
L’erosione del confine tra lavoro e tempo libero non è una novità, ma qualcosa è cambiato: oggi quantifichiamo il tempo libero adottando la forma mentis degli strumenti utilizzati durante il tempo del lavoro. Strumenti che spesso richiedono un feedback attivo, facendo della produttività stessa un’occupazione part-time. Non solo: decidiamo di fare ciò autonomamente. Un po’ come quando si usa Isolator, lo svago diventa un buco nero insondabile. Esso non è altro che assenza di produzione, il parametro assoluto secondo cui misurare ogni attività.
Le soluzioni tecnologiche non devono necessariamente aumentare l’efficienza. L’artista e programmatore Sam Lavigne, in perfetto stile luddista, sfrutta i limiti dell’hardware per sfuggire alla totalizzante smania di produttività. Slow Hot Computer è un sito che rallenta drasticamente il computer facendo sì che esso compia operazioni molto laboriose non permettendo così di svolgere i compiti assegnati. Tra i nemici della produttività c’è anche Kenneth Goldsmith, il poeta americano che mira a rivalutare il tempo sprecato su internet ritenendolo un prezioso momento creativo. E ce ne sarebbero molti altri ma pare siano già passati 7 minuti e 33 secondi. È ora di tornare a lavoro.
Silvio Lorusso è un artista e designer nel bel mezzo di una relazione complicata con la tecnologia. Lo trovi su Twiiter @silvi0l0russo.