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Cospirazionismo, ISIS e Matrix: e se la paranoia illuminata di Philip K Dick avesse previsto tutto? Viaggio nella mente di un grande del Novecento, autore tra l'altro di The Man in the High Castle.

Un mattino di novembre 2015, i passeggeri della metropolitana di New York sono stati scaraventati in un universo parallelo. Nel torpore mattutino, ancora ottenebrati dal dormiveglia, hanno trovato i loro vagoni decorati con i simboli del Terzo Reich. Hanno scoperto con stupore che, contrariamente a ciò che raccontano i libri di storia da oltre mezzo secolo, gli Stati Uniti d’America non hanno mai vinto la Seconda Guerra Mondiale. A dire il vero questa illuminazione è durata per qualche decimo di secondo, giusto il tempo che il loro cervello finisse di assimilare le proteine della colazione: a quel punto i passeggeri hanno realizzato che si trattava semplicemente di una campagna pubblicitaria. Un lancio in grande stile per la serie TV The Man in the High Castle, tratta dal romanzo di Philip K Dick (in italiano La svastica sul sole),  che racconta cosa sarebbe successo se le forze dell’Asse avessero vinto la guerra.

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Il trailer della serie TV The Man in the High Castle.

Fantapolitica? Certo, a meno che quelle “proteine” tanto solerti nel contribuire al fabbisogno giornaliero di razionalità non fossero invece dei potenti allucinogeni, e quella brevissima visione sotterranea di un’America nazificata uno squarcio nello spazio-tempo. Già, la “campagna pubblicitaria”, la “serie” e il “romanzo” di Dick potrebbero essere i frammenti di una realtà rimossa: l’America è stata davvero sconfitta, ma noi non lo sappiamo. Ecco dunque la verità che riemerge in forma ipnagogica. D’altronde da anni l’industria culturale ci manda degli evidenti segnali con film come Matrix, V for Vendetta, Hunger Games, Divergent e non ultimo Captain America: Winter Soldier, che denuncia appunto un’infiltrazione nazista al cuore del sistema americano.

Un ritratto di Philip K Dick
Ecco, questo è proprio il genere di paranoie metafisiche che si trovano nei romanzi di Philip K Dick. The Man in the High Castle non fa eccezione: al cuore dell’intreccio ambientato in un mondo in cui hanno vinto i nazisti si trova un misterioso romanzo-nel-romanzo (nella serie TV si tratta di una pellicola) che racconta la vittoria degli Stati Uniti in maniera simile, sebbene non sempre identica, a come sono andate le cose nel nostro mondo. Ma questa storia alternativa che nel romanzo dovrebbe essere finzionale invece non lo è: a essere finzionale è l’esperienza vissuta dai personaggi, la loro vita quotidiana, la loro realtà, la loro “storia ufficiale”. Il romanzo-del-romanzo indica loro una verità segreta – i nazisti non hanno davvero vinto la guerra – e diventa un simbolo della Resistenza. A questo punto i lettori di Dick non possono fare a meno di chiedersi se non valga per loro, in maniera speculare, ciò che vale per i personaggi del romanzo: forse è la nostra “storia ufficiale” a essere falsa…

L’intera opera di Dick, perlomeno da Tempo fuor di sesto del 1959 fino alla trilogia di Valis terminata nel 1982, è percorsa da questa “diffidenza” nei confronti della realtà. La matrice di questa visione del mondo, come renderà esplicito lo stesso scrittore americano nella sua Esegesi, da poco in libreria per i tipi di Fanucci, è l’antica teologia gnostica: ovvero un corpus di dottrine apocalittiche coeve del cristianesimo primitivo e fortemente influenzate dal platonismo. Secondo gli gnostici il mondo materiale non è altro che un’illusione forgiata da una divinità malvagia, detta il Demiurgo, che nasconde il mondo reale. Una vera e propria prigione dalla quale è possibile sfuggire soltanto per mezzo d’uno sforzo intellettuale e spirituale: la gnosi. Gli uomini sono quindi divisi in tre categorie: i “pneumatici” che conoscono la verità, gli “psichici” che la intuiscono e gli “ilici” completamente legati alla materia. Lo gnosticismo aveva vissuto un vero e proprio revival a cavallo tra Otto e Novecento, testimoniato ad esempio dall’interesse per la questione di Carl Gustav Jung (importante influenza di Dick) e riacceso nel 1945 con il ritrovamento dei codici di Nag Hammâdi in Egitto: lettere, trattati, vangeli apocrifi e apocalissi come se piovesse.

Leggendo l’opera di Dick saltano all’occhio almeno due ulteriori caratteristiche per definire il moderno gnosticismo: la sovrainterpretazione paranoica e la negazione della realtà materiale.

Negli ultimi anni lo gnosticismo ha invaso il nostro immaginario cinematografico: ma magari si trattasse solo di questo! Lo gnosticismo potrebbe essere anche il paradigma adeguato per capire certe forme recenti di radicalismo politico. Fu il filosofo tedesco Eric Voegelin il primo a individuare nello gnosticismo una chiave di lettura per capire il presente, e a partire dagli anni Cinquanta s’impegnò a scovare echi gnostici nel marxismo, nel fascismo e in tutte le ideologie che non gli garbavano. L’operazione, che appare talvolta un po’ rozza, è comunque ricca di spunti. Negli anni della Guerra Fredda in cui gli intellettuali liberali sfuggiti dalla vecchia Europa – da Hayek a Arendt – costruivano in laboratorio il concetto di “totalitarismo”, il contribuito di Voegelin fu di accorpare tutte le utopie politiche che propugnavano la cosiddetta “immanentizzazione dell’eschaton”: i nuovi gnostici sarebbero tutti coloro che vogliono redimere l’umanità e imporre con la forza la realizzazione dei loro progetti di salvezza. Rendere immanente, storico, ciò che invece dovrebbe restare trascendente: i fini ultimi, l’eschaton.

A Voegelin piaceva vincere facile e pur di mettere nello stesso sacco tradizioni diverse come fascismo e comunismo si era costruito un’idea di gnosticismo abbastanza vaga. Invece leggendo l’opera di Dick saltano all’occhio almeno due ulteriori caratteristiche che non possono mancare per definire il moderno gnosticismo: la sovrainterpretazione paranoica e la negazione della realtà materiale. Portando Voegelin all’estremo, e sempre tenendo presente che si tratta di approssimazioni, queste due caratteristiche sembrano adatte a definire le ideologie postmoderne che del fascismo e del comunismo hanno preso il posto dopo la caduta del muro di Berlino, e delle quali Dick è stato il profeta involontario.

La prima caratteristica dello gnosticismo dickiano è la sovrainterpretazione paranoica. Ogni cosa di cui abbiamo esperienza potrebbe essere un segno di una verità superiore o un indizio del complotto metafisico dentro al quale viviamo. I suoi romanzi sono pieni di questi indizi e nell’Esegesi l’autore formula l’ipotesi di essere riuscito a “intercettare” delle informazioni dal futuro trasmesse a ritroso per mezzo di tachioni, particelle più veloci della luce. In questo modo Dick ha potuto descrivere in anticipo, come lui stesso rileva, certe malaugurate trasformazioni della società e della vita politica – in maniera simile all’Uomo nell’Alto Castello che per scrivere il suo romanzo-nel-romanzo si è lasciato guidare dagli oracoli dell’I Ching. Aiutato senza dubbio dal suo consumo di stupefacenti, lo scrittore ha dato un contributo importante a quell’immaginario che lo storico Richard Hofstadter aveva definito, in un celebre articolo del 1964, “Lo stile paranoico nella politica americana” e che ritroviamo sotto una nuova forma negli anni Novanta nella serie X-Files di Chris Carter o nel film Ipotesi di complotto di Richard Donner.

Dick era vicino alla Chiesa episcopale e questo spiega la presenza nella sua opera di certi temi “apocalittici” tratti di peso dalla pubblicistica antipapista. La trilogia di Valis rende esplicito il sottotesto teologico già presente nelle opere precedenti. Le forze del male vengono fatte coincidere con un’entità chiamata Impero, sopravvivenza dell’antico Impero romano che perseguitava i cristiani e poi, quando diventò lui stesso cristiano, perseguitò gli gnostici, gli eretici e i protestanti: “Roma era dappertutto, in ogni epoca, un gigante smisurato che si estendeva in un immenso arco cronologico… realtà latente del nostro mondo attuale”. Questo Impero coincide, nel discorso cospirazionista contemporaneo, con un governo-ombra mondiale il cui potere si estende in maniera tentacolare e del quale è arduo individuare un esterno. Perché, come annota Dick all’apice della paranoia: “Combattere l’Impero significa essere contagiati dalla sua follia. Questo è un paradosso, chiunque sconfigge un segmento dell’Impero diventa l’Impero; esso prolifera come un virus, imponendo la sua forma ai suoi nemici”.

I romanzi di Dick narrano spesso di personaggi che vivono dentro un mondo illusorio: che si tratti di una messa in scena, un sistema totalitario, una nazione sotterranea o droghe futuristiche, se non addirittura di un velo metafisico come nella trilogia di Valis.

Hofstadter denunciava un’ossessione della destra americana – all’epoca incarnata dal senatore McCarthy – per le cospirazioni, della quale individua l’origine nella reazione del clero americano all’Illuminismo. Proprio da quell’antica polemica di fine Settecento, e precisamente dal libello Proofs of a Conspiracy Against All the Religions and Governments of Europe, Carried on in the Secret Meetings of Free Masons, Illuminati, and Reading Societies, ereditiamo la leggenda nera degli “Illuminati di Baviera” che ancora oggi va di moda. E non solo a destra: in effetti “lo stile paranoico” sembra essersi esteso nel frattempo a più ampie fasce di popolazione, in America e in tutto il mondo. L’esito è inquietante ma perfettamente dickiano: volendo rifiutare una realtà “mediatica” che appare loro come totalmente illusoria, molti si richiudono in un sistema di credenze ancora più assurde e contraddittorie. Questo porta nella migliore delle ipotesi all’isolazionismo e all’incapacità di agire politicamente. Nella peggiore, all’adesione a ideologie radicali o pseudo-radicali.

Dalla paranoia discende in effetti una seconda caratteristica del moderno gnosticismo, ovvero la negazione della realtà materiale. Ne La svastica sul sole, la Resistenza contro il nazismo prende sostanzialmente la forma di una confutazione della stessa esistenza di quel regime. I romanzi di Dick narrano spesso di personaggi che vivono dentro un mondo illusorio: che si tratti di una messa in scena (Tempo fuor di sesto), di un sistema totalitario (Il mondo che Jones creò), di una nazione sotterranea (La penultima verità), di un’alterazione della percezione per mezzo di tecnologie avanzate (Memoria totale) o di droghe futuristiche (Un oscuro scrutare), se non addirittura di un velo metafisico come nella trilogia di Valis.

Nell’Esegesi, Dick rileva: “Adesso queste anomalie stanno accadendo a me”. Con il successo del film Matrix nel 1999, che descrive il nostro mondo come una realtà virtuale nella quale gli esseri umani vivono per volontà dei loro dominatori alieni, questo schema narrativo è diventato un patrimonio condiviso della cultura popolare e forse ancora qualcosa di più: una metafora politica. Vi ricorrono ad esempio Beppe Grillo e i suoi adepti per denunciare la propaganda della “casta” politica al potere e vi ricorre lo scrittore cospirazionista David Icke (in Figli di Matrix) secondo cui “da migliaia di anni una razza proveniente da un’altra dimensione (i famosi rettiliani, ndr) tiene soggiogata l’umanità”.  Lo gnosticismo marginale di Philip K Dick, con qualche considerevole variazione, è diventato in qualche decennio una visione del mondo che seduce le masse.

Paradossalmente, lo gnosticismo non è più come in Voegelin un’espressione del totalitarismo ma un’ideologia politica che si nutre della narrativa popolare sul totalitarismo: lo gnostico contemporaneo è colui che vede ovunque indizi che viviamo in una società totalitaria, come quella de La svastica sul sole, da combattere con ogni mezzo. Il protagonista di Radio libera Albemuth, prima stesura di Valis, lo esprimeva così:

“Mi trovavo coinvolto in una guerra antica, una guerra che veniva combattuta senza sosta da duemila anni. I nomi erano cambiati, così come lo erano i volti, ma gli avversari rimanevano una costante permanente. L’impero degli schiavi contro coloro che lottavano per la giustizia e la verità”.

Questo dualismo radicale ha delle conseguenze che in Matrix sono evidenti. Se la realtà che ci circonda è interamente falsa, allora non resta più nessun appiglio per negoziare: diventa legittimo scatenare una guerra totale. Così Neo, il protagonista del film, convinto di vivere dentro una specie di videogioco popolato da esseri virtuali, fa centinaia di vittime innocenti senza battere ciglio. Il suo maestro Morpheus lo aveva indottrinato perbene, denunciando la complicità (e la spendibilità) degli ilici servi del sistema:

“Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d’affari, insegnanti, avvocati, falegnami… le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo”.

Esiste un intero filone di studi che tenta di applicare i modelli voegeliniani al jihadismo, ma ancora nessuno che mostra la quantità di analogie tra Dick e Daesh.

In fondo Neo non è altro che un terrorista che ha subito un lavaggio del cervello, simile agli attentatori che colpiranno New York due anni dopo. Anche per i seguaci di Bin Laden il mondo materiale, rappresentato dal capitalismo americano, è soltanto un’immagine rovesciata della verità. Infedeli (e ugualmente spendibili) sono tutti coloro che brancolano nel buio. Tutto torna: secondo Laurent Murawiec, autore di The Mind of Jihad, i terroristi islamici sarebbero proprio degli eredi dello gnosticismo… E tanto più dickiani se è vero che assumono Captagon, la “droga dei terroristi”, uno stimolante che aumenta la sensazione di potenza e li trasforma in soldati perfetti. Che cos’è d’altronde il loro “Stato Islamico” se non uno Stato che non esiste, una visione apocalittica da realizzare anche a costo di distruggere il mondo come lo conosciamo? E che dire poi di tutti gli informatori sfuggiti al controllo dei servizi d’informazione, di tutte le radicalizzazioni improvvise, del caos dei comunicati pseudo-ufficiali? Esiste un intero filone di studi che tenta di applicare i modelli voegeliniani al jihadismo, ma ancora nessuno che mostra la quantità di analogie tra Dick e Daesh.

Un terrorista.

Rassicuriamo i lettori: Philip K Dick non può essere ritenuto del tutto responsabile per Matrix, David Icke e gli eredi di Bin Laden, anche perché queste forme diverse dello gnosticismo contemporaneo sono fondate su una rigida gerarchia dei livelli di realtà – mondo vero e mondo falso – che nell’opera dello scrittore americano semplicemente non c’è.  In fin dei conti il problema dei personaggi di Dick, spesso tossici o paranoici, è proprio che falliscono nel distinguere il vero dal falso. Proprio come i collezionisti di reperti della tradizione americana ne La svastica sul sole, ingannati dai falsari. Contrariamente ai terroristi che sparano sulla folla perché tenacemente convinti di vivere dentro un’illusione, questi personaggi vivono il disagio di non poter fare nessuna scelta definitiva. In questo senso è più dickiano un film stratificato come eXistenZ rispetto a Matrix, con il suo dualismo rassicurante. Le teorie cospirazioniste e i millenarismi politici devono la loro fortuna proprio alla capacità di fornire (in piena tradizione gnostica) una “via d’uscita dalla confusione”. Ma a chi dobbiamo questa confusione?

Raffaele Alberto Ventura
Raffaele Alberto Ventura vive a Parigi dove si occupa di marketing per un grande editore europeo. Editor-at-large di Prismo e fondatore del blog Eschaton, ha scritto per Studio, Internazionale e Minima & Moralia.

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