Buone notizie: Rogue One è un vero film di Star Wars.
Avvertenza: spoiler minori sotto la LINEA DELLO SPOILER, leggete tranquilli.
Giustizia è fatta. Rogue One è un film di Star Wars a tutti gli effetti. Può stare accanto all’Original Trilogy e starci a testa alta. È altrettanto bello? Ovviamente no, ma è un buon film, andate a vederlo. Cosa lo separa dall’essere un bellissimo film? Personaggi più memorabili, con archi (molto) più definiti. Cosa lo mette al di sopra di I, II, III e VII? Il rispetto per l’ambientazione.
Cominciamo dalle basi. Rogue One non fa parte del filone principale della saga di Star Wars, ma è un episodio a parte. Il tipo di operazione che in genere viene presentata così: finalmente possiamo raccontare la storia di come Tizio ha conosciuto Caio, di come Caio è diventato Sempronio, etc. Solo che mentre in genere di quelle storie non ce ne frega niente, questa è una che (se sei fan di Star Wars) ti interessa sul serio, per l’ottima ragione che la sinossi l’hai già letta qui:
L’opening crawl dell’Episodio IV: “È un periodo di guerra civile. Navi spaziali ribelli, colpendo da una base segreta, hanno ottenuto la loro prima vittoria contro il malvagio Impero Galattico. Durante la battaglia, spie ribelli sono riuscite a rubare i piani segreti dell’arma decisiva dell’Impero, la MORTE NERA…”.
Rogue One è un altro prequel, e come la Prequel Trilogy (PT, quella del 1999-2005) si appoggia senza mezze misure all’Original Trilogy (OT, quella sacra), ma riesce a farlo con molta più grazia, aggiungendo nuovi tasselli e gettando nuova luce su quelli che già avevamo, ma senza creare confusione e specialmente con uno stile narrativo che se non somiglia, senz’altro è in armonia con quello originale.
Con questo non sto dicendo che Rogue One è il film più simile agli originali. È un film cupo, classicamente di guerra, in cui il Bene e il Male restano sullo sfondo; è un film dove i cavalieri Jedi sono statue sepolte nella sabbia e l’unica spada laser che si vede è rossa; dove mancano figure di riferimento eticamente certificate; e dove non ci sono personaggi per bambini, neanche un Ewok, neanche BB-8, niente. È a tutti gli effetti un altro genere rispetto all’avventura scanzonata della OT (o del peplum imbolsito della PT) o di qualsiasi cosa sarà la Sequel Trilogy, e proprio nell’essere coerentemente un film di guerra, senza disperdere temi e personaggi in mille rivoli disorganici, riesce ad essere rispettoso e a guadagnarsi il suo posto di degno prologo dell’Episodio IV.
Per capirci: quando dico “rispetto” intendo rispetto per l’ambientazione, non per i film originali. Anche i film originali ogni tanto svirgolano sul piano del rispetto per l’ambientazione, lo sappiamo. Mostrando i primi sintomi di qualsiasi cosa gli sia successa dopo, George Lucas decise di sostituire i Wookie con i più simpatici Ewok nel finale del Ritorno dello Jedi. Gesto ormai cristallizzato nel canone, ma di per sé non meno grave di dotare i cattivi di un’armata di droidi buffi che dicono “Roger Roger” o di mostrare il sedere dell’imperatore nel mezzo di un duello (minuto 1.20). L’ambientazione di Star Wars si è fondata in gran parte sull’Original Trilogy, ma poi ne ha preso il meglio per allargarsi sugli altri media e diventare la miglior fantascienza avventurosa di sempre. Rogue One mette in scena questa ambientazione nella sua forma più pura, con lo scopo evidente di celebrarla. E lo fa in tre modi.
Tre modi di celebrare un’ambientazione
Primo, la mette in scena alla grande: costumi, astronavi, alieni, pianeti, tutto è ricchissimo e riempie gli occhi. Solo il rifugio di Saw Gerrera offre una collezione di personaggi mitici che non ha pari in nessun altro film. Dietro ogni angolo o colonna c’è un tizio che ti fa venire voglia di dire: “Voglio essere lui! Ridatemi il gioco di ruolo da tavolo di Star Wars (e i quattordici anni) così che possa dare un nome a quel tipo e vivere tutte le sue avventure!”.
E non è il baraccone scomposto della Prequel Trilogy, ma piuttosto un distillato del meglio del design che in trent’anni è stato sviluppato tramite fumetti, videogiochi, libri illustrati, romanzi. Pesca a piene mani con la sicurezza di chi si è comprato tutto il museo e ora può farci quello che vuole. Ve lo ricordate Bossk? Bossk è un cacciatore di taglie, ha un ruolo minimo nell’Episodio V, ma sono quelli come lui, a mio avviso, che hanno fatto volare l’ambientazione di Star Wars.
Potrei continuare dicendovi quanto sono belli i pianeti, il pianeta pratone, il pianeta tempestoso, il pianeta spiaggia, il pianeta di lava, etc… Potrei parlarvi delle astronavi, vecchie e nuove (anche se a dire il vero non ci sono astronavi memorabili, restano tutte sullo sfondo). Potrei andare avanti sulla bellezza dell’architettura imperiale in ogni sua manifestazione, sui templi che affiorano dalla giungla, sugli star destroyer che incombono un po’ ovunque, ma avete capito. Unico difetto: gli estremisti vestiti come arabi, nascosti dalle parti di una città sacra. Stilisticamente un po’ troppo dritto per il 2016, politicamente assai sbagliato, e purtroppo non serve essere fan di Star Wars per capirlo.
Il secondo modo in cui Rogue One celebra l’ambientazione è riportando in scena personaggi e ambientazioni della Prequel Trilogy in modo filologico. Riesce con successo ad essere il primo tempo di un film di quarant’anni fa (mica male), e per quanto mi riguarda il Machete Order può essere aggiornato così: Rogue One-IV-V-I-II-III-VI-VII (ma sì, lasciamoci la Minaccia). Gli elementi di raccordo tra Rogue One e Una nuova speranza ci sono tutti, a parte un paio di esagerazioni, e sono tutti mitici: dalla costruzione della Morte Nera al consiglio ribelle su Yavin 4, dalla composizione degli squadroni di X-Wing e Y-Wing ai due superminuti finali. E lui, quante volte ce l’hanno fatto vedere?
Il terzo modo di celebrare l’ambientazione è regalandole un film di guerra, che è come regalare una penna stilografica: un simbolo di passaggio alla maturità. Come a dire che Star Wars non se la gioca con Star Trek, bensì con il west, con il Giappone feudale, con la Seconda guerra mondiale. Ambientazioni in cui puoi mettere in scena una banda di eroi che parte per una missione disperata, e puoi tratteggiarli in maniera molto approssimativa, perché tanto sono i grandi eventi storici sullo sfondo che parlano. È la lotta dei partigiani contro i nazisti che ci ha consegnato il mondo che conosciamo, è l’effimera resistenza del codice d’onore dei samurai contro l’arrivo della modernità, è la lotta di un manipolo di ribelli che ruba i piani della Morte Nera. Il mondo in cui viviamo è qui grazie a Gerard Butler e ai trecento spartani che hanno difeso la Grecia, a Tom Hanks che si è fatto lo sbarco in Normandia e a Jin Erso che ha permesso la distruzione della Morte Nera. Se non vi ho convinto, ne riparliamo dopo la spoiler line.
Dulcis in fundo, è un gigantesco regalo che la Disney fa ai fan di vecchia data, dopo aver chiesto loro tanta pazienza con il Frankenreboot dell’Episodio VII. Mentre il filone principale prende una strada sempre più mainstream, con i droidi simpatici, scenari politici tratteggiati alla bell’e meglio e piani di battaglia esposti letteralmente con “è la solita roba, muoviamoci”, Rogue One si permette di accennare ai Whill senza spiegare chi siano e di avere come momento culminante un complicatissimo piano fatto di centraline e ripetitori. Per farla breve, è un film fatto per tranquillizzare i nerd e dire loro: non ci siamo dimenticati del perché siamo qui, gente. O almeno, abbiamo costruito un parco nazionale per impedire che quel perché si estingua. E va bene, ci siamo persi per strada l’avventura scanzonata, ma il prossimo è sul giovane Han Solo, no?
E i personaggi?
Il prezzo da pagare per quest’ambientazione in stato di grazia, naturalmente, sono i personaggi. Non si fanno molto amare e le loro motivazioni nel migliore dei casi sono abbozzate. Cambiano idea con grande facilità, non hanno mai la possibilità di spiegare perché (complice il ritmo serrato) e quando lo fanno (complice il doppiaggio) lo fanno davvero male. Non c’è dubbio che i personaggi dell’Episodio VII siano molto più simpatici, carismatici e riusciti di quelli di Rogue One.
Infine, la formazione della classica band of brothers è eseguita davvero male. All’inizio i nostri eroi sono estranei che fanno fatica a fidarsi gli uni degli altri e poi d’un tratto sono fratelli in armi (e quindi anche chi se ne frega). La mancanza di progressione rappresenta senz’altro il più grande difetto del film, un difetto capitale in un film del genere. Se la squadra di Rogue One fosse stata mitica in quanto squadra, il film avrebbe rischiato di essere strabello, e invece no, quindi c’è un solo modo di affrontare questo paragrafo: con le pagelle.
Krennic (quello col K-way bianco): Variazione interessante sul tema dell’ufficiale imperiale, stavolta caratterizzato dall’ambizione. Soffre un po’ l’assenza di una spalla che gli permetta di dare voce alle sue motivazioni, in un film in cui non c’è tempo per stare a sottilizzare. Per sua fortuna quando ha delle spalle sono due spalle d’eccezione e danno vita a scene memorabili. Sulla qualità delle scene in sé non sono in grado di giudicare, dovrei rivederlo (leggi: cosa ne penserebbe uno a cui non frega niente di rivedere il Grand Moff Tarkin). Voto: 8, ma vale 7 perché in giro c’è un altro cattivo che risponde al nome di Darth Vader, e altro mezzo voto in meno perché l’attore sembra troppo il rimpiazzo di Christopher Waltz.
Jin: Zavorrata dalla sua faccia da stronzetta, è una con cui non vorresti mai partire per una missione suicida. Per il resto è un onesto personaggio che si fa onestamente carico di una storia di vendetta. Come dice Chirrut, “her path is clear” (non ricordo la battuta in italiano): Jin, complice il fatto di essere la figlia dell’unico personaggio importante del film (l’ingegnere che è riuscito a costruire la Morte Nera) è l’unica che sa cosa fare. E nel farlo tira su un casino notevole. Voto: 7, ma vale 6 perché sconta il paragone con Rey dell’Episodio VII che è molto più simpatica, ma mezzo voto in più perché è vestita davvero stilosa e molto a suo agio nelle scene d’azione.
Cassian: la spia ribelle con un passato di cui non va fiero. Apprezzabile il tentativo di creare un personaggio ambiguo, mediocre l’esecuzione, splendida la giacca. Voto: 6, ma se non parlasse gli darei 8 perché è sempre incredibilmente Ribelle.
Chirrut: il cieco fissato con la Forza. Mistico e simpatico al punto giusto, gustoso nelle coreografie d’azione, azzoppato da una pessima scena di presentazione. Voto: 6, perché poteva essere molto più gasante (scusate la categoria critica anni ’80).
Baze: l’esperto di armi. Non ha un gran costume, ma ha un bel fucile e uno zaino che sembra una caldaia, con tanto di comignolo. In termini di impatto sulla storia, meno di zero. Serve a sfoltire gli Stormtrooper quando riempiono troppo l’inquadratura. Voto: 5, ma sospetto salirà a 6 quando uscirà l’action figure.
Bohdi: il pilota. Personaggio dolciotto, senza pretese, un po’ Murdock dell’A-Team. Quando ti dicono che perderà la ragione sembra buttare bene, poi torna normalissimo e si assesta su una sufficienza senza infamia e senza lode. Voto: 6, che scende a 5 e mezzo quando dice: “Questo è per te, Galen”.
Blue Squadron: solo amore per questi ragazzi. Voto: 10. Che la forza sia con loro.
K-2S0: il droide fissato con le probabilità. Il primo caso di personaggio tratto da una battuta (quella di C3PO sul campo di asteroidi), è una boccata d’aria in un film in cui sono tutti sempre un po’ troppo nervosi. Voto: 7, ma sospetto che salga a 8 e mezzo in originale con la voce di Alan Tudyk.
N.B. Sospetto che tutti i voti salgano di mezzo punto in lingua originale.
Per concludere
Star Wars ha due anime: da una parte l’avventura scanzonata dei nostri eroi e la guerra contro gli antipatici imperiali, dall’altra la storia di sopravvivenza degli Jedi e il dramma familiare degli Skywalker. Queste due anime sono ugualmente importanti, ma nel percorso con cui Star Wars si impone sull’immaginario collettivo la storia degli Jedi e il dramma familiare degli Skywalker si prendono il centro del palco solo alla fine del secondo film (per capirci, alla fine dell’Episodio IV Luke non fa niente con la spada laser. Ci rendiamo conto? Impara a usarla, ma poi porta a casa il risultato solo con le sue doti di pilota. Checov, dove sei?).
Per questo quando si parla di “anima” di Star Wars spesso si fa riferimento in primo luogo a quello che succede nell’Episodio IV e in gran parte dell’Episodio V, ovvero: scappiamo dai caccia Tie, travestiamoci da imperiali, spariamo raggi laser inutili ai camminatori, corriamo e spariamo battute mitiche mentre gli imperiali ci sparano addosso, vai là dentro montagna pelosa, non m’importa se poi puzzi, etc.
È questo il cemento armato con cui erano costruiti i primi film di Star Wars (e non è un caso che l’Episodio I fosse quella schifezza che era, nel momento in cui sceglieva di rinunciarvi completamente e di raccontare una storia di Guerre Stellari senza la guerra. Non ci dimentichiamo di quando Anakin va a pranzo dai genitori di Padme e poi le donne lavano i piatti. C’era davvero bisogno di farli innamorare su un prato fiorito? Non potevano innamorarsi sotto una pioggia di blaster come tutte le coppie un minimo interessanti? Never again).
Rogue One è molto meno scanzonato di quanto mi aspettassi e, se c’è una linea leggera che affiora qua e là, spesso cozza con il dramma e si ha l’impressione che sia stata ridimensionata in corsa. A fare da protagonista resta la guerra, la Ribellione contro l’Impero, che è una delle primissime cose che da bambini ci catturava di Star Wars. Forse non tutti condivideranno quest’affermazione, e ci sono sempre i duelli di spada laser, e tutti volevamo essere contrabbandieri spaziali, ma non è un caso che la guerra sia al centro dei principali prodotti per ragazzi di Star Wars: Clone Wars (che racconta la guerra tra Episodio II e III) e Rebels (che racconta la nascita della Ribellione tra Episodio III e IV).
Per quanto mi riguarda era proprio a questo che si giocava a sette anni, rincorrendosi per la casa e facendo piuh piuh, come a quattordici quando si sceglieva lo scenario per il Gioco di Ruolo da tavolo. Accantonata la splendida ma ludicamente inservibile saga familiare degli Skywalker, si andava al sodo: scappiamo dai caccia Tie, travestiamoci da imperiali, spariamo raggi laser inutili ai camminatori, etc. La guerra rappresenta il lato più adulto di Star Wars e allo stesso tempo quello che parla più direttamente ai ragazzi, ed è per questo che Rogue One si sforza di essere così dark e maturo: per poi arrampicarsi fino ai ricordi d’infanzia. Questa intenzione era chiarissima fin dai primi trailer, eravamo preparati all’ennesimo tentativo di espugnare il nostro immaginario di gioventù, e proprio per questo credo che ancora una volta sia riuscito solo a metà (o per tre quarti). Resta il fatto che erano quarant’anni che aspettavamo un film su questi tizi qui:
Dicevamo, regalo simbolico all’ambientazione. Ora anche Star Wars ha i suoi martiri, c’è gente che è morta per permettere a Luke Skywalker di portare il suo caschetto biondo a spasso per la galassia: vi sfidiamo a non prenderlo sul serio. ☺
In generale, il finale da film di guerra, con tutti che muoiono per permettere alla speranza di sopravvivere, regge tutto il film. Se fossero sopravvissuti anche in due o tre, tipo magnifici sette, ci saremmo di colpo trovati in zona “allegra cazzatona”. ☺
Perché tutti muiono in un’esplosione? Il droide è l’unico che si becca un colpo di blaster. Cos’è censura? Scelta di regia? Distrazione? ☹
L’apparizione di Bail Organa mi ha fatto sobbalzare. Non pensavo che mi sarei affezionato così a un personaggio della Prequel Trilogy, eppure. ☺
Come sempre in SW, è il dramma familiare che catalizza i grandissimi eventi. Ma arrivare ad insinuare che la Ribellione si sarebbe sciolta se Jin non avesse voluto vendicare il padre? ☹
I protagonisti cercano di volare basso, perché sanno che quando verrano notati la Storia si rivelerà più grande di loro. Ho apprezzato particolarmente il momento in cui Tarkin sottrae a Krennic il comando della Morte Nera. È comodo per la storia, e allo stesso tempo rende Krennic un personaggio potenzialmente molto interessante (anche se poi è una potenzialità che non si scioglie nel finale, quando il nostro amico in K-Way bianco atterra sul pianeta spiaggia senza un’idea chiara di cosa voglia fare). ☺
Stesso discorso per quando Rosso 5 si trova un caccia Tie in coda. Sei fregato, Rosso 5, sta arrivando la Storia. ☺
I due droidi che cazzeggiano su Yavin 5 se li potevano risparmiare, ma immagino che sia una questione di principio metterli in TUTTI i film. ☹
Capo Rosso e Capo Oro sono proprio loro! E il Blue Squadron? Com’è che non abbiamo mai sentito parlare del Blue Squadron? Ah, già. Perché sono morti tutti. Best fan service ever. ☺
Presentazione di Darth Vader nella vasca di Bacta: dieci e lode. ☺
La battuta di Darth Vader sul soffocare? ☹
I due minuti finali sono puro godimento. Quando ho visto l’imbuto in cui si stava infilando la storia per ricollegarsi all’episodio IV, ho provato un meraviglioso senso di vertigine. E la scelta di ambientare questo imbuto in un corridoio (e di mostrare Darth Vader alle prese con pochi ribelli, e non mentre spazza via interi battaglioni come sarebbe stato anche legittimo fare) basta secondo me a promuovere il film. Prequel e Sequel un finale così se lo scordano. ☺ ☺ ☺
Simone Laudiero scrive romanzi per ragazzi e sceneggiature per la tv e per il web con La Buoncostume.