Ripercorriamo la storia, l'immaginario rivoluzionario e il ruolo centrale nella cultura pop di ieri e di oggi della combattente che veste alla marinara.
Ho trent’anni compiuti da poco e un ciondolo di Sailor Moon che dondola dal cellulare. Ieri, tornando dal lavoro in autobus, una sconosciuta con i rasta mi ha chiesto il permesso di fotografarlo. Ho cambiato tram e una donna transessuale, credo algerina, mi ha chiesto se poteva guardarlo. Qualche giorno prima, sullo stesso tram, era stata una madre. Se con questo pezzo volessi soltanto dire che cos’è significato Sailor Moon per le ragazze della mia generazione, avrei finito qui. Nel frattempo, la nuova stagione dell’anime è partita il 4 aprile scorso.
La bella guerriera che veste alla marinara
Bishojo Senshi Sailor Moon (letteralmente,“La Bellissima Guerriera Sailor Moon”) nasce nel 1991 dalle morbide matite dell’allora ventiquattrenne Naoko Takeuchi, che ha un’intuizione: disegnare il primo shojo manga di genere majokko (quello con le “ragazze magiche”) dove la protagonista non si limiti a usare i suoi poteri per fini personali, com’era stato fino a quel momento in serie come Creamy Mami, ma li impieghi invece nella lotta contro nemici malvagi, come accadeva da sempre negli shonen manga per ragazzi. Questa intuizione origina dapprima la serie Codename wa Sailor V (“Il nome in codice è Sailor V”), la cui premessa vi sarà famigliare: Minako Aino, una spigliata tredicenne, incontra un gatto parlante di nome Artemis che le conferisce il potere di trasformarsi in Sailor V, la guerriera mascherata che indossa l’uniforme alla marinara.
Sailor V incarnava già molti elementi del successo che da lì a pochi mesi avrebbe travolto la più illustre sorella, ma gliene mancava uno, il fondamentale: il gruppo. Sailor V era un’eroina solitaria. Quando si trattò di trasformare la serie in un anime, la Takeuchi ripensò la sua protagonista affinché fosse al centro di un quintetto di ragazze combattenti, nella tradizione dei super sentai. È difficile cogliere oggi la vera portata rivoluzionaria di quell’idea.
Con protagonista Usagi “Bunny” Tsukino, una nuova eroina dai tratti ancora più caratteristici (vedasi l’inconfondibile pettinatura a odango) a capo del primo gruppo di super guerriere, il capitolo inaugurale di Sailor Moon uscì sulla rivista Nakayoshi il 28 dicembre 1991 e fece impazzire prima il pubblico giapponese, poi nel giro di tre anni (grazie soprattutto al fortunato anime della Toei Animation) il resto del mondo. La velocità, l’efficacia e la longevità con cui Sailor Moon si è infiltrata nel tessuto della cultura popolare globale sono raramente state eguagliate: si potrebbero snocciolare le cifre del caso (una su tutte: si stima che nei soli primi tre anni di vita, il brand abbia fruttato oltre 15 miliardi di dollari), ma queste non farebbero nient’altro che svilire ciò che è stato e continua ad essere principalmente un fenomeno culturale. Sailor Moon ha ormai più di vent’anni, ma il fascino che seguita a esercitare sembra invariato, cosa ancora più incredibile se si pensa che dal 2003 fino al 2010 tutti i diritti di edizione, trasmissione e sfruttamento del brand sono rimasti bloccati per volere dell’autrice.
Se è vero che negli anni 90 fu anche il massiccio battage pubblicitario a spingere la serie, è lecito chiedersi oggi che cosa rimanga di Sailor Moon. Anche perché se il ricordo dell’anime, pur appartenendo per i più alla sfera dell’infanzia, è ancora vivido nella memoria collettiva, lo stesso non può dirsi per il manga da cui tutto è cominciato. La differenza nel target dei due prodotti (uno per bambine, l’altro per ragazze), ma anche dell’autorialità di Naoko Takeuchi rispetto a quella dello staff (maschile) della serie, hanno fatto del manga un lavoro più personale, nel bene e nel male. Durante la lettura non è raro trovarsi spaesati di fronte alla scansione a volte un po’ confusa degli eventi, ai ritmi narrativi troppo serrati o troppo lenti, alle tavole a dir poco imprecise. Eppure è ancora meno raro scoprirsi incantati davanti a quelle stesse tavole, le cui forme morbide e ariose rimangono in bilico sul confine tra sensualità e innocenza, o stupirsi della maturità inaspettata di certe intuizioni e del modo delicato, ma sempre intelligente, di narrarle. Perché è questa, la cosa più vera che si può dire sul manga di Sailor Moon: non era perfetto, però era speciale. E a ventiquattro anni di distanza, è ancora speciale.
L’amicizia femminile
Si è detto che la prima Sailor V era un’eroina solitaria. Nel corso dei due volumi che compongono la sua avventura, Minako “Marta” Aino farà sfoggio della sua passione per gli sport, sognerà di diventare un’idol e soprattutto si prenderà una serie infinita di tragicomiche cotte. A un certo punto però, giungerà alla realizzazione di non essersi mai “innamorata a costo della vita”, perché la sola cosa in cui si sia impegnata veramente, mettendosi in gioco e rischiando tutto, è “la missione”. Solo capito questo, Minako si risveglia come Sailor Venus e capisce cosa vuole veramente: non diventare famosa, ma più forte; non trovare un fidanzato, ma le sue compagne. Scoprire di avere uno scopo, e qualcuno con cui realizzarlo, la riempie di nuova energia.

Il senso di appartenenza, l’idea di trovare “il proprio posto”, sono concetti centrali nel manga di formazione, ma Sailor Moon ne fa fin dall’inizio il suo punto focale. Certo, Usagi “Bunny” Tsukino (ovvero la Sailor Moon propriamente detta) ha quattordici anni, è pigra, goffa, inaffidabile e non esattamente brillante, ma ha un cuore buono e un animo radioso, che toccano profondamente le persone che la incontrano. Anche se viene rimproverata spesso, è circondata dall’affetto dei suoi coetanei e della sua famiglia. Lo stesso non può dirsi delle altre guerriere Sailor.
Ami Mizuno (Sailor Mercury) è figlia di genitori divorziati. Il padre è un artista che si è ritirato fuori città, la madre una stimata chirurga molto impegnata. Ami è intellettivamente più dotata della media, tanto da essere definita “un genio”, e passa la maggior parte del tempo china sui libri. Non interagisce mai coi suoi compagni, che credono si dia delle arie.
Rei “Rea” Hino (Sailor Mars) ha perso la madre da piccola e disprezza il padre, un uomo politico con cui non ha praticamente contatti. È cresciuta col nonno, la guida di un santuario shintoista, e volendo seguirne le orme Rei ha cominciato prestissimo il suo apprendistato di sacerdotessa, cosa che l’ha allontanata dalle sue coetanee.
Makoto “Morea” Kino (Sailor Jupiter) vive sola, perché entrambi i suoi genitori sono morti in un disastro aereo. Essendo molto alta e dotata di una forza fisica “erculea”, gira voce che sia un’attaccabrighe, e che sia stata espulsa dalla sua scuola precedente perché faceva sempre a botte. Siccome tutti la temono e la tengono alla larga, nessuno ha modo di scoprire che in realtà Makoto è una ragazza affettuosa, con un’indole da sorella maggiore.
In quanto a Minako, già sappiamo che la sua attività di Sailor V l’ha costretta più volte a rischiare la vita, a mantenere segreti e a maturare prestissimo. Se Luna è in tutto e per tutto un mentore, per Usagi, è il caso di dire che Artemis sia diventato, col tempo, l’unico vero amico e confidente di Minako.
Ancora oggi è raro veder rappresentato un gruppo di sole ragazze, a maggior ragione guerriere, unito da un così forte senso del dovere e di lealtà reciproca. Nel 1992, era rivoluzionario.
Queste ragazze erano tutte delle outsider. Conoscere “Bunny”, e grazie a lei conoscersi l’un l’altra, le ha rese parte di un gruppo in cui quello che le allontanava dagli altri è addirittura indispensabile. Sailor Mercury è il cervello, Sailor Mars i sensi, Sailor Jupiter la forza, Sailor Venus l’esperienza. Le differenze che potrebbero dividerle (e che in uno shojo manga del passato le avrebbero divise) invece le uniscono. Insieme si proteggono, si sostengono, si migliorano. Riescono persino, nonostante la missione, a recuperare insieme il sentimento spensierato dell’adolescenza che rischiavano di perdersi.
Ancora oggi è raro veder rappresentato un gruppo di sole ragazze, a maggior ragione guerriere, unito da un così forte senso del dovere e di lealtà reciproca. Nel 1992, era rivoluzionario. Basti pensare che la televisione avrebbe dovuto aspettare altri tre anni per Xena: Warrior Princess, cinque per Buffy the Vampire Slayer, sei per Charmed. In una narrativa popolare che tendeva (e tende ancora) ad antagonizzare tra di loro i personaggi femminili (non è un caso che la rivalità tra Rei e Usagi sia un’invenzione dell’anime, priva di fondamento nel manga), Sailor Moon raccontava di cinque ragazze che combattevano contro il male, e lo facevano insieme. Atti di coraggio, eroici sacrifici, power ups, erano all’ordine del giorno come nei manga per ragazzi, e convivevano con tutti gli elementi d’ordinanza degli shojo manga destinati al pubblico femminile, dal romanticismo alla commedia. Restituiva alle ragazze la libertà di accedere a un immaginario colonizzato dal genere maschile, secondo i propri gusti e alle proprie regole.
Le altre Sailor Senshi (da noi “guerriere Sailor”) non invidiano il potere di Sailor Moon: sanno anzi di esserne parte e lo difendono con orgoglio. Lei stessa, nei momenti di sconforto, si sente di peso a quelle compagne così eccezionali, salvo poi rendersi conto che è proprio la loro fiducia la fonte della sua forza. Sailor Moon diceva alle ragazze qualcosa che nessuno aveva mai pensato di dir loro prima: che va bene, non c’è niente di male a sognare il principe azzurro; ma sono le amiche, alla fine, a salvarti la vita.
Il giudizio sul valore femminista di Sailor Moon non è unanime. Se l’Occidente tende in generale a lodarne lo spirito progressista, in particolare nella scelta di non rendere “maschiacci” le eroine solo perché in possesso del potere fisico (ma anche politico, come vedremo), per lo stesso motivo una parte delle femministe giapponesi rimprovera a Takeuchi di non essere riuscita ad affrancarsi dall’immaginario kawaii a tutti i costi che imprigiona le donne nel Sol Levante. Un altro punto di domanda è la puntualità con cui la narrazione ritorna sull’idea di “trovarsi un ragazzo”, tant’è che le protagoniste – quasi tutte – annoverano spesso il matrimonio tra i loro progetti futuri.
Se ciò può sembrare antiquato, e costituisce senza ombra di dubbio un punto dolente, va però notato come discorsi di questo tipo appartengano perlopiù a contesti comici o più ampi, dove le ragazze fantasticano senza freni sul loro futuro. Trattandosi di adolescenti, è normale aspettarsi che vogliano innamorarsi (fatta eccezione per Rei, che ribadisce spesso il contrario). Di fatto, però, nessuna di loro all’infuori di Usagi ha un vero love interest, né “si trova il ragazzo” alla fine del manga.
Il giudizio sul valore femminista di Sailor Moon non è unanime: alcuni ne lodano lo spirito progressista, come la scelta di non rendere maschiacci le eroine solo perché in possesso del potere fisico. Altri rimproverano a Takeuchi di non essere riuscita ad affrancarsi dall’immaginario kawaii che imprigiona le donne nel Sol Levante.
In una scena della quinta serie, Rei confessa a Minako di avere la sensazione che non riusciranno a sopravvivere contro il nuovo nemico. L’amica, per tirarle su il morale, le dice: “Per noi vale sempre lo stesso motto: salvare le compagne, sconfiggere il nemico e proteggere le persone care. Anche stavolta è così! Sono sicura che sopravvivremo… E poi potremo tornare alle gioie della vita da liceali! Finalmente ci troveremo un fidanzato! È stabilito!”. Le ragazze vengono interrotte da un terzo personaggio, che afferma: “In realtà nel vostro cuore voi avete già scelto una persona, e avete deciso di vivere per lei”. Le due, tornando serie, rispondono che sì, è da molto tempo che loro hanno scelto di vivere per Sailor Moon/Usagi, per questo non hanno bisogno degli uomini.
Il ribaltamento della fiaba
È impossibile, a questo punto, non menzionare il ruolo che assume Tuxedo Kamen (“Milord”) nell’anime, dove è solito andare in aiuto della svampita Sailor Moon lanciando una rosa e dicendole che cosa fare. Queste situazioni però sono inesistenti nel manga, dove la relazione tra i due si emancipa molto presto dal cliché della dama in pericolo. Se nell’anime incarnano l’ideale dell’amore infantile, nel manga incarnano invece quello dell’amore maturo.
Se Sailor Moon ha avuto un successo così immediato lo deve anche alla capacità di attingere ai temi classici della narrativa infantile per bambine. Cosa c’è di più classico di una “principessa di un regno che non sa dov’è”?
Princess Serenity, la precedente incarnazione di Usagi, è l’emblema stesso della purezza virginale. Eterea, innocente, lontana da qualsiasi sfarzo, ha grandi occhi azzurri e lunghissimi capelli biondi, spesso adornati di fiori. Vive in un palazzo argentato sulla Luna, circondato da giardini e fontane, e ha amiche guardiane incaricate di proteggerla. Non poteva, ovviamente, mancarle un principe.
Serenity, in modo non dissimile alla Sirenetta disneyana, è affascinata dalla Terra e vi si reca spesso di nascosto. Lì conosce il Principe Endymion, e i due si innamorano perdutamente. Quando la rivolta della Terra contro la Luna sfocia in una terribile guerra, Endymion muore per proteggere Serenity e lei, disperata, si toglie la vita con la stessa spada che l’ha ucciso. A quel tempo, Serenity non era ancora Sailor Moon.
Nel presente, Usagi e Mamoru “Marzio” Chiba hanno un rapporto inizialmente litigioso, ma sono subito attratti una dall’altro nelle reciproche identità segrete. Dove l’anime si arena a lungo nella formula “non so che la persona che odio è in realtà la persona che amo”, il manga passa oltre molto velocemente. Basti pensare che i due gettano la maschera alla fine del primo volume, nel capitolo 6, dopo che già al loro secondo incontro iniziano a nutrire entrambi dei sospetti. La Sailor Moon del manga, forte del legame con le sue compagne, si responsabilizza in fretta. In una scena della prima serie, dopo che Milord/Tuxedo Kamen l’ha frenata da una caduta, è lei a baciarlo, a esortarlo a mettersi in salvo e a tornare in fretta a combattere insieme alle altre. È qui che Mamoru realizza quanta forza possieda Usagi in realtà, e che comincia a porsi la domanda che lo guiderà per il resto del manga: posso diventare anch’io abbastanza forte da proteggerla?
Nel manga, Mamoru è lontano tanto dai principi asettici delle fiabe quanto dalla sua controparte animata. È uno studente (nel manga frequenta il liceo, nell’anime l’università) che ha dei dubbi, che si evolve, supera le crisi, cresce. Come la sua relazione con Usagi. È un ragazzo che vede la ragazza che ama assumersi responsabilità sempre più grandi, affrontare rischi sempre maggiori, e lui che non ha poteri non può aiutarla. Quando nella quarta serie è ridotto a letto da una malattia indotta dai nemici, mentre Usagi promette che lo salverà lui si chiede: “Possibile che per l’ennesima volta debba essere un peso per Usa?”.
Se consideriamo che il target di Sailor Moon era lo stesso al quale oggi si rivolge Twilight, è facile rendersi conto che qui ci troviamo davanti a un modello di relazione sì ideale, sì romantico, ma anche paritario e sano.
Il trope della “damigella in pericolo” è totalmente sovvertito. Mamoru ricopre un ruolo che è per tradizione femminile, ma questo non toglie niente alla sua dignità di uomo o personaggio. Anche perché il lettore sa benissimo quanto in realtà Usagi si appoggi totalmente a lui, e abbia bisogno della sua presenza. Non per niente il momento in cui Mamoru riesce finalmente ad usare il potere del Cristallo d’Oro – sigillato nel suo corpo – coincide con quello in cui si ribera del complesso, realizzando che fin dall’inizio lui e Usagi hanno desiderato la stessa cosa: proteggere il mondo insieme.
Lui tende a rimuginare troppo, lei ad essere troppo espansiva. Lui si fa carico da solo dei propri problemi, lei è estremamente dipendente. Lui a volte sembra freddo, lei a volte sembra fragile. La relazione tra Usagi e Mamoru non nasce perfetta, lo diventa nel desiderio di migliorare uno per l’altro. Cambiano poco a poco per adattarsi l’un l’altro, ma mai radicalmente. Quando Mamoru vede un altro in procinto di baciare Usagi è geloso, ma riesce a calmarsi perché si fida di lei. Quando Usagi deve lasciare che Mamoru si trasferisca per studio negli Stati Uniti è ansiosa e afflitta, ma cerca di non farglielo pesare perché vuole che lui realizzi i suoi sogni.
Se consideriamo che il target di Sailor Moon era lo stesso al quale oggi si rivolge Twilight, è facile rendersi conto che qui ci troviamo davanti a un modello di relazione sì ideale, sì romantico, ma anche paritario e sano.
Questo è ancora più evidente dall’arrivo di Chibiusa, la loro figlia che arriva dal futuro. Sapendo che Usagi dovrà sempre dare priorità al suo ruolo di guerriera, Mamoru ne assume un altro tradizionalmente femminile: prendersi lui cura della figlia. Non solo la guida e la protegge, ma si occupa di lei, la coccola, la educa, la sgrida, la consola quand’è necessario e si dimostra, in generale, il più sensibile ai suoi bisogni e ai suoi umori. Mentre Usagi è ancora una ragazzina che sta crescendo, ed è lontanissima dal comportarsi come una madre, Mamoru assume naturalmente e istintivamente il ruolo di padre, pur essendo lui stesso ancora giovanissimo.
Recuperando l’irritante adagio per cui dietro ad ogni grande uomo vi è una grande donna, per Naoko Takeuchi dietro la più grande delle guerriere Sailor non può esserci che un grande fidanzato mascherato.
Sessualità e identità sessuale
Sarebbe incompleto parlare degli spunti interessanti del manga di Sailor Moon senza menzionare la questione del genere e della sessualità. Questione, in realtà, resa tale dal clamore mediatico smosso dalle associazioni dei genitori negli anni 90 relativamente al cartone, perché la serie in sé – in entrambe le sue differenti versioni – si pone con grande naturalezza davanti a tali dettagli, senza trasformarli in un caso o in una tematica.
Va detto che, in quanto a shojo manga dei primi Novanta, Sailor Moon si mantiene su toni casti ai limiti del fanciullesco, pur non mancando di suggerire quando necessario chiari riferimenti a una dimensione sessuale dei personaggi. È il caso, ovviamente, dei soliti Usagi e Mamoru, il cui rapporto viene dato per scontato che si sia evoluto anche sul piano fisico, anche se vengono mostrati a letto insieme una volta soltanto, alla fine del manga. Nell’anime, al contrario, è evidente che Mamoru è più trattenuto da questo punto di vista, probabilmente perché in questa versione la sua differenza d’età con Usagi è maggiore. Resta comunque il fatto che il problema della sessualità, per le suddette associazioni, non fosse tanto di tipo grafico o speculativo, ma repressivo: secondo la psicologa Vera Slepoj, Sailor Moon “propone una giovane eroina e si sono riscontrati casi di bambini di sesso maschile che, seguendo quotidianamente il cartoon, hanno finito con l’identificare in questo personaggio forte, vincente, potente, un modello di comportamento, femminilizzando il loro modo di vivere, le relazioni con i coetanei e chiedendo di poter vestire come la loro eroina”.
In quanto a shojo manga dei primi Novanta, Sailor Moon si mantiene su toni casti, ai limiti del fanciullesco, pur non mancando di suggerire, quando necessario, chiari riferimenti a una dimensione sessuale dei personaggi.
Il discorso sull’identità di genere, come quasi tutto il resto, varia a seconda che si consideri l’anime o il manga. In quest’ultimo, infatti, è ancora più marcata la fluidità di genere di Haruka “Heles” Tenou (Sailor Uranus) che, complice una tradizione dell’ambiguità che appartiene alla cultura classica giapponese, veste non solo abiti sia maschili che femminili, ma viene inizialmente disegnata enfatizzando alternativamente i tratti grafici di entrambi i sessi. Michiru “Milena” Kaiou (Sailor Neptune), la sua ragazza, la definisce “sia uomo che donna”. Nel corso del manga, Haruka vestirà con uguale sicurezza sia pantaloni che minigonne, proponendo così alle lettrici una figura ugualmente a suo agio nell’esprimere entrambe le parti di sé (cosa particolarmente sorprendente per le occidentali) senza che questo aspetto della sua caratterizzazione venga in qualche modo problematizzato. Il risultato è un personaggio particolarmente sensuale, il cui fascino riesce a turbare anche la fedelissima Usagi.
Nell’anime questo accade solo un’altra volta, con l’arrivo di Seiya Kou (Sailor Starfighter) nella quinta e ultima serie. Seiya è uno studente che canta nel gruppo emergente dei Threelights, ma quando si trasforma in una guerriera Sailor diventa una donna (dettaglio, questo, modificato nell’edizione italiana affinché i ragazzi, nel momento della trasformazione, evocassero delle fantomatiche “sorelle gemelle”). Curiosamente questo cambio di sesso è del tutto assente nel manga e la stessa Takeuchi se ne è detta sorpresa. Nella sua versione, Seiya è in tutto e per tutto una donna anche se veste abiti maschili, ed è lo stesso innamorata di Usagi, anche se definisce il suo come “il più grande amore non corrisposto della galassia”.
Naoko Takeuchi, quindi, non solo ha inserito nella sua storia così popolare quegli elementi yuri che caratterizzavano certi shojo manga degli anni Settanta (vedasi l’intera produzione di Riyoko Ikeda), ma si è spinta anche abbastanza in là da chiamarli con il loro nome. A seguito delle continue domande su quale fosse la relazione tra Sailor Uranus e Sailor Neptune, nel 1996 dichiarò al mensile italiano Kappa Magazine: “Il rapporto che lega Michiru e Haruka è un po’ speciale. Credo che il sentimento più importante al mondo sia l’amicizia. Il rapporto di amicizia tra le due combattenti è talmente forte da sfociare nell’amore. L’amore non esiste solo tra sessi diversi, ma può nascere anche un amore omosessuale, in questo caso tra due ragazze”. Con buona pace di chi in tutto il mondo ha adattato l’anime cercando inutilmente di nasconderlo, visto che lì la cosa era persino più palese.
Il ruolo centrale di Sailor Uranus e Sailor Neptune nella narrazione prescinde dal loro orientamento sessuale, così come non è determinante ai fini del loro modo di essere, esprimersi e vivere. È solo un altro dettaglio, che l’autrice ci mette davanti a fatto compiuto senza bisogno di spiegazioni. A un certo punto, addirittura, le due, insieme a Setsuna “Sidia” Meiou (Sailor Pluto) decidono di crescere insieme la piccola Hotaru (Sailor Saturn), dividendosi i compiti in base alle capacità e inclinazioni personali. Anche qui, niente di strano. In Sailor Moon è l’amore che conta. Il resto è merchandise.
È strano pensare a quanti di questi spunti, che risulterebbero ancora oggi originali e coraggiosi, appartengano a un manga dei primi anni 90 la cui portata commerciale è stata così sterminata. Ed è strana anche la figura di Naoko Takeuchi, che pur non avvicinandosi alla precisione tecnica di certi esimi colleghi ha creato comunque una serie la cui caratteristica è propria delle opere veramente importanti: restano moderne nel tempo.
Sailor Moon ha formato alcuni dei più importanti autori giapponesi degli ultimi decenni (basti pensare a Kunihiko Ikuhara e Hideaki Anno, che lavorarono in vesti diverse alla terza stagione dell’anime), ha influenzato il pensiero di un’intera generazione, contribuito a lanciare canali televisivi, generato decine di cloni, anticipato fenomeni pop come le Spice Girls o Sex and the City, cambiato il modo di percepire le donne nella narrazione d’intrattenimento.
Usagi è una studentessa, una principessa, una guerriera, tutto insieme. È una delle figure più messianiche comparse in un fumetto, ed è anche una ragazza che non smette mai di sbagliare, di scoraggiarsi, di avere paura, ma che continua a combattere, sempre. Non perde mai la speranza. Alla fine, trova sempre il modo di rialzarsi e sprigionare il suo potere senza pari.
È per questo che, a quasi vent’anni dal finale (pubblicato in patria nel marzo 1997), ancora ci sentiamo un po’ bambini quando rileggiamo le parole che concludono il fumetto: “Anche se un giorno noi ci spegneremo e nasceranno nuove stelle e nuove guerriere Sailor, Sailor Moon, tu di certo sarai immortale. La stella che splenderà più brillante di tutte per l’eternità”.
Eleonora Caruso scrive di cultura pop per svariate riviste e lavora coi videogiochi. Il suo primo romanzo, "Comunque vada non importa", è stato pubblicato nel 2012 da Indiana Editore, mentre il suo primo fumetto, "SchooRA", verrà pubblicato da Shockdom nel 2017. Guarda ancora i cartoni animati.