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In anteprima per Prismo un estratto da Senza Filtro, il nuovo libro di Alessandro Gazoia dedicato a come il ricambio tecnologico, i social media e il web stanno modificando non solo le forme della comunicazione, ma il nostro stesso rapporto con l'informazione, la politica, la democrazia.

In questi giorni minimum fax manda in libreria Senza Filtro – Chi controlla l’informazione, il nuovo saggio dello scrittore Alessandro Gazoia. Ringraziando autore ed editore, ne pubblichiamo un estratto che racconta come, in pochi anni e pur tra molti fraintendimenti e ritardi, l’uso invasivo dei social media sia diventato una costante anche nella politica italiana, da Monti a Salvini, da Grillo a Renzi.

Il 21 dicembre 2012, dopo aver guidato per oltre un anno un “governo tecnico”, Mario Monti si dimette da Presidente del Consiglio. Passati alcuni giorni sceglie Twitter e non l’Ansa, il Tg1 o il Corriere della Sera per rendere più chiaro il suo diretto impegno politico futuro: “Insieme abbiamo salvato l’Italia dal disastro. Ora va rinnovata la politica. Lamentarsi non serve, spendersi si [sic]. ‘Saliamo in politica!”. Il tweet viene lanciato il 25 dicembre 2012 alle 23.31, orario troppo tardivo per comparire (se non con una “ribattuta”) sui quotidiani del giorno successivo, che però non bucano la notizia, il 26 non sono infatti in edicola, mentre il giornalismo online e anche i mezzi tradizionali come radio e tv subito commentano il messaggio e il mezzo.

Quell’elaborato tweet, in bilico tra un plurale maiestatico e una comunità elettorale in via di definizione, è in affannata e legnosa rincorsa sulla strategia web di Grillo (“va rinnovata la politica” ma “lamentarsi non serve”) e in diretta polemica con il declinante Berlusconi. “Insieme abbiamo salvato l’Italia dal disastro” allude all’opera di Monti, e viene contrapposto all’ultima fase del governo precedente, con il famigerato spread (la differenza in punti percentuali tra gli interessi di obbligazioni di stato tedesche e italiane) alle stelle. L’espressione inusuale, marcata pure dalle virgolette, salire in politica richiama in filigrana e per contrasto lo storico scendere in campo dell’imprenditore, nel messaggio registrato su videocassetta e inviato ai telegiornali nel 1994.

La copertina di Senza Filtro – Chi controlla l'informazione, minimum fax, 2016.

In Italia la comunicazione politica, senza o oltre il giornalismo professionale, l’ha fatta per vent’anni Silvio Berlusconi, in una forma estrema e paradossale: si manifestava per monologhi – espliciti, come la videocassetta per proporsi leader del centrodestra, o impliciti, come le tante interviste concesse a Porta a Porta e alle sue televisioni – e, nelle rare occasioni in cui si trovava esposto a domande non servite per la facile replica, preferiva dare le sue risposte, spesso con grande abilità e autorità. Berlusconi, al pari del comico Grillo dotato di un gusto per la battuta vivo, seppur non sempre felice, e molto attento alla comunione empatica con l’elettorato, faceva spettacolo coi suoi assoli, e disintermediava l’informazione dall’alto.

La “calza” davanti alla telecamera del messaggio della discesa in campo, il filtro rozzo e analogico che rendeva il leader levigato e luminoso, era il correlativo oggettivo dell’immagine magnanima e imperiale che Berlusconi si proponeva di costruire, nei confronti della stampa e dei cittadini (telespettatori). Si doveva al tempo stesso marcare la distanza derivante dall’efficienza, competenza e ricchezza di quell’uomo eccezionale, e creare l’illusione dell’accesso diretto e non filtrato per ciascuno: Berlusconi toccava e rassicurava l’elettore, parlava al cuore della gente (utilizzo qui la retorica delle parole semplici e vere di tanti slogan pubblicitari di Forza Italia ed evoluzioni successive).

Quando, verso l’inizio di questo decennio, sia per gli eccessi dovuti alla troppa sicurezza e alla cerchia di assoluto consenso (la “bolla” privata) dentro cui il leader viveva, sia per il logoramento degli schemi di narrazione e contenimento applicati a eventi (personali e collettivi) sempre più problematici, la calza si strappa e il filtro plebiscitario si rompe, un enorme spazio resta aperto per Beppe Grillo, Matteo Salvini e Mario Monti che presto scomparirà, lasciando a propria volta campo libero, ovvero facile salita, nel centro-sinistra a Matteo Renzi.

Col tweet di Monti del dicembre 2012, l’importanza dei social network e della relazione che offrono con l’elettore comincia a essere pienamente riconosciuta.

In quella fine del 2012 Renzi è ancora sindaco di Firenze, e Monti all’apice della sua influenza intende disintermediare, ora che, conclusa l’esperienza del “governo tecnico”, si ritrova a dover conquistare i voti degli elettori. Non è certo la necessità a spingerlo verso Twitter, a partire dal basso, dato che ha a disposizione le colonne e il pieno sostegno del Corriere della Sera (del quale è da lungo tempo editorialista di grande peso) per esprimere la sua idea dell’Italia e convincere i millecinquecento lettori che contano di Forcella. Ma nel giorno di Natale e in apertura di campagna elettorale preferisce il social network, l’immediatezza e il tocco personale: vuole produrre quell’empatia che molti gli rimproverano di non saper neppure imitare (il tweet inizia con un significativo “insieme”).

L’importanza delle nuove piattaforme digitali e della relazione che offrono con l’elettore comincia infatti a essere pienamente riconosciuta, i politici di primo piano comprendono la necessità di operare anche in questo ambiente e il nostro giornalismo parlamentare deve adattarsi a non considerarlo più una curiosità buona per un pezzo di colore, tra folklore grillino e moda americana. Giusto alcuni mesi prima Pierferdinando Casini aveva compiuto un piccolo ma significativo gesto: dimostrava l’unità della maggioranza governativa di cui faceva parte postando su Twitter una foto che lo ritraeva in una riunione ufficiale e privata con Monti, Alfano e Bersani. Il testo proclamava: “Siamo tutti qui! Nessuna defezione!”, in raddoppio sugli esclamativi e con un noi più ristretto rispetto al tweet di Monti. La foto non era chiaramente scattata dal politico, che sorrideva seduto a destra nell’inquadratura ma venne definita un selfie (parola che stava diventando allora popolarissima), sia perché inviata a Twitter dallo stesso Casini sia per il suo proporsi come testimonianza personale.

Il fantomatico “selfie” di Pierferdinando Casini.

Per alcuni professionisti la disintermediazione del giornalista e del fotografo praticata da quel tweet è insieme un mistero, un pericolo e un oltraggio, come spiega, nel contesto di una più ampia riflessione, Michele Smargiassi: “Dirsi come fa Alessandro Di Meo dell’Ansa, forse uno tra i fotografi professionali che assediavano Palazzo Chigi l’altra sera, che è “uno scatto che funziona, ma perché non chiamare noi, che seguiamo notte e giorno i politici?”, è già avere la risposta: perché quello scatto funziona, e funziona proprio perché è un autoritratto del potere che si presenta in modo inconsueto, diverso dalle ingessature dei ritratti ufficiali. Questa fotografia “ufficiosa” che simula una familiarità da tag di Facebook (tipo “Ragazzi guardate, siamo qui, a Palazzo Chigiiii! Con Monti! Wow!”) è sicuramente un fatto nuovo nella comunicazione politica italiana. Ma questa fotografia è tutt’altro che innocente e spontanea, e lo capisce chiunque. Il potere rappresenta se stesso”.

Monti e Casini decidono di comunicare attraverso Twitter oltre che con agenzie, giornali, radio e TV, perché è ormai sentita come un’esigenza non procrastinabile l’“orientamento della conversazione” che si sviluppa sui social network e da lì passa nei canali tradizionali. Il tweet ha preso il posto della breve d’agenzia e il post su Facebook del comunicato stampa, ma i politici disintermediano in piena continuità con quanto hanno sempre tentato di fare nell’era delle comunicazioni di massa. La familiarità e spontaneità della comunicazione in rete è un’estensione e un aggiornamento del tradizionale primo lavoro del politico: stringere le mani, baciare i bambini e farsi riprendere mentre compie queste azioni, senza filtro, oltre le “ingessature dei ritratti ufficiali”.

La pizza di Salvini.

Quando, alle otto di sera del 24 febbraio 2014, Matteo Salvini invia con lo smartphone a Facebook la foto della sua pizza casalinga fa notizia e lavoro politico: quel piatto è una sorta di gesto di pacificazione con il Sud e segnala la nuova vocazione nazionale della Lega. Buona parte del pubblico lo sa, a cominciare da quelli che lo criticano per la forma – invero peculiare – della pizza e quindi lo accusano, implicitamente o meno, di volersi appropriare di qualcosa che non gli appartiene. L’uso dei social network di Salvini, con le aperture sulla propria vita privata, il linguaggio molto diretto e le frequenti domande retoriche che invitano a uno specifico commento di approvazione per il leader o di denuncia degli avversari, non è meno codificato e strutturato di un comizio degli anni Settanta e vuole ottenere la stessa comunione e “condivisione” con il singolo elettore.

Negli anni Trenta i discorsi al caminetto del presidente americano Roosevelt alla radio, il primo mezzo di comunicazione di massa con la diretta, volevano essere un messaggio personale, capace di toccare ogni singolo cittadino: disintermediavano e coinvolgevano empaticamente. Costituivano la risposta democratica alle orazioni fasciste trasmesse alla radio di Mussolini e Hitler che, a propria volta, sussumevano il singolo in una superiore unità – il Popolo, la Nazione – e lo rendevano, in questo movimento, in forma diversa speciale.

Vediamo lo stesso desiderio di congiungere la massima copertura in broadcast e la massima individuazione dell’elettore nel messaggio per la discesa in campo di Berlusconi, e nell’uso massiccio da parte di Obama di new e social media. Salvini su Facebook e Twitter non fa nulla di radicalmente nuovo, e la sincerità e l’immediatezza del singolo gesto – il desiderio di cliccare invia sullo smartphone e condividere subito una certa immagine sui social network, esattamente come accade a noi comuni cittadini – non cambiano ma confermano il contesto di cura dell’elettorato e della propria immagine.

Il numero di professionisti della comunicazione politica aumenta e le loro competenze si fanno più varie, ora che i potenziali elettori sono facilmente conoscibili grazie ai social media.

Il politico di rilievo, così come la star, è oggi sempre notiziabile, o meglio vorrebbe esserlo sempre e nel modo da lui favorito, e lavora a questo fine attraverso l’attività in rete. Questa comunicazione salta alcune mediazioni tradizionali – nel caso della foto di Casini il fotografo parlamentare, nel caso di Salvini il fotografo privato che Berlusconi utilizzava per mostrare la sua villa e la sua famiglia agli italiani – ma rimane fondamentale l’assistenza degli esperti. Anche sul web, e pure in questo aspetto possiamo dire che Grillo e Casaleggio sono stati fonti di ispirazione.

I professionisti dell’informazione vengono coinvolti e “orientati” come un tempo e i professionisti della comunicazione politica continuano a essere impiegati, anzi il loro numero aumenta, le loro competenze si fanno più varie e il loro lavoro più sofisticato, ora che i potenziali elettori, proprio grazie all’attività sui social network, sono facilmente conoscibili in molte preferenze. È quindi possibile andare incontro al voto individuale, in maniera non troppo distante dalla personalizzazione di un sito. I social network sono stati integrati perfettamente nella grande macchina delle due campagne presidenziali di Barack Obama, dove si sono dimostrati utili anche per la definizione di un accurato profilo degli elettori che, all’occorrenza, diventano bersagli di un marketing politico miratissimo. Semplificando diremo che per vincere un certo voto in un determinato luogo si potranno accentuare alcuni temi e mettere la sordina ad altri, come da regola in campagna elettorale in un grande e variegato paese quale è l’America, ma sulla base di una quantità molto più ampia e al tempo stesso molto più raffinata di dati rispetto ai tradizionali sondaggi.

Non a caso vi è ormai in America un rapporto molto stretto e pure un flusso di personale tra protagonisti dei social network e della politica. Nicholas Lemann lo spiega attraverso l’esempio di LinkedIn, il social network per l’attività professionale con oltre 375 milioni di iscritti, e del suo ceo Reid Hoffman: “LinkedIn ha fornito alla Casa Bianca una parte della miniera di dati collezionati sull’attività degli utenti nel mercato del lavoro, che sono quindi stati utilizzati nel rapporto economico annuale del Presidente. All’inizio di quest’anno, un ex dirigente di LinkedIn, DJ Patil, è stato nominato chief data scientist alla Casa Bianca. A luglio Hoffman ha organizzato un incontro con persone coinvolte nella nuova fondazione di Obama su come sfruttare al meglio la forza dei social network[…]”.

Selfie con la nazionale di pallavolo prima del summit europeo sull'occupazione.

La stretta relazione tra Hoffman e la Casa Bianca non è limitata al suo ruolo di grande political donor. Lui e quelli come lui hanno qualcosa di più potente del denaro da offrire: un modo per gli officials di connettersi con il pubblico più largo possibile. Nel diciannovesimo secolo, questo ruolo lo svolgevano i capi delle macchine elettorali; nel ventesimo, i capitani dei media, specialmente nel broadcasting e nei giornali; nel ventunesimo lo fanno le persone che hanno creato grandi reti sociali online.

Il rapporto coi signori delle grandi piattaforme online è molto ricercato pure dai politici italiani che amano volare verso il futuro e la Silicon Valley – e nel pezzo appena citato si parla anche di una cena tra Larry Page (Google) e l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino che desiderava “creare un piccolo gruppo qui”. Le sofisticate forme di profilazione dell’elettorato non sono ancora del tutto sviluppate nel nostro paese e il più frequente travaso di personale verso la politica continua a essere quello molto tradizionale dei giornalisti.

Filippo Sensi – ex vicedirettore del piccolo quotidiano Europa (legato al PD e chiuso alla fine del 2014), oltre che famoso blogger e influencer su Twitter – ha acquisito un ruolo strategico nella gestione della comunicazione di Matteo Renzi, e l’enorme interesse che la sua figura suscita sui giornali è dovuto in parte al meccanismo abituale e forzoso del Grande Vecchio o almeno dell’Eminenza Grigia, favorito nell’applicazione alla rete dall’esempio di Grillo e Casaleggio; ma deriva anche da un certo ritardo del nostro contesto, dallo stupore di fronte a una comunicazione politica condotta con grande professionalità e aggiornamento tecnico su tutti i media, di fronte a uno spinning che include e anzi mette in evidenza i social network. Nell’attività di Sensi si individua tuttavia una forte continuità con pratiche antiche, a cominciare dalla piena consapevolezza del ruolo della stampa nel nostro paese: la solerzia con cui ricerca e cura il filtro dei singoli giornalisti e intellettuali è almeno pari all’ingegno profuso nella “disintermediazione” via hashtag arguti di Renzi.

Con il governo Renzi si è superata una nuova soglia: la costante e insistente attività sui social fa parte del messaggio stesso di giovanile dinamismo, concretezza antiburocratica e apertura al nuovo.

Mario Monti alla fine del 2012 annunciava la sua intenzione di salire in politica su Twitter, Matteo Renzi nel febbraio 2014 sale al Quirinale per presentare la lista dei ministri a Napolitano e durante il lungo colloquio col presidente della Repubblica twitta impaziente il messaggio politico dell’energia e dell’ottimismo: “Arrivo, arrivo! #lavoltabuona”.

Con il governo Renzi si è appunto superata una nuova soglia, poiché la costante e insistente attività sui social media fa parte del messaggio stesso di giovanile dinamismo, concretezza antiburocratica, apertura al nuovo e trasparenza del politico. La strategia è ancora una volta orientata alla personalizzazione, sia nel senso dell’enfasi sul leader sempre attivo e presente, sia del singolo cittadino a cui in principio si presta ascolto, e anzi se ne sollecita il contributo sulle reti sociali, con un appello all’unità e alla buona volontà oltre le differenze, per far ripartire il paese.

Renzi opta per l’uso sistematico e primario di Facebook e Twitter come agenzia politica, anzi governativa, e al pari di Grillo e Casaleggio, ma in forme più misurate ed eleganti, segue un’ideologia della rete e dell’innovazione. Ritiene quindi un progresso comunicare stabilmente notizie di rilievo per la nazione in prima istanza su quei social network, piattaforme private di proprietà di aziende americane, e le promuove così, nell’ideale della comunicazione empatica, a bene comune – e nel concreto economico e digitale della Silicon Valley, a meta di pellegrinaggio politico.

(c) Alessandro Gazoia, 2016 – (c) minimumfax, 2016. Tutti i diritti riservati.

Alessandro Gazoia presenterà Senza filtro a Roma, da Sparwasser (via del Pigneto 215), alle 19,30 di domenica 21 marzo. Con l’autore interverranno Christian Raimo, Vanessa Roghi e Giuliano Santoro.

Alessandro Gazoia
Alessandro Gazoia è saggista e scrittore, per minimum fax ha già pubblicato "Come finisce il libro. Contro la falsa democrazia dell’editoria digitale" (2014) ed è co-curatore dell’antologia "L’età della febbre" (2015).

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