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Malloy, l'eroe del nuovo romanzo a fumetti di Marco Taddei e Simone Angelini, è il perfetto incrocio tra Mario Monti e Indiana Jones in un Universo governato da un ragioniere.

Ad praesens ova cras pullis sunt meliora, meglio un uovo oggi che una gallina domani. Durante l’ultimo COMICON di Napoli, il proverbio latino che invita ad accontentarsi delle certezze che offre il presente, piuttosto che farsi tentare da prospettive future potenzialmente più entusiasmanti, svettava (in forma abbreviata) sulle toppe date in omaggio con l’acquisto di Malloy, Gabelliere spaziale, il nuovo fumetto di Marco Taddei e Simone Angelini edito da Panini 9L.

Numerosi fumettari (comprese le guest star Tuono Pettinato e Ratigher) sembravano esserne entusiasti, tanto da farsi fotografare con in mano il gadget della gabelleria spaziale. Ma quand’è che i sogni sono stati declassati e la mediocrità è diventata così glamour? E soprattutto, chi diavolo sono questi gabellieri? Con l’ausilio della modernissima posta elettronica ho avuto modo di parlarne direttamente con i due autori abruzzesi, i quali a parte la brutta influenza che li ha colpiti durante il tour promozionale, sembravano ben lieti di poter chiarire i miei dubbi e raccontare la genesi del loro nuovo protagonista.

Nel futuro immaginato da Taddei e Angelini, il potere è detenuto da un Imperatore burocrate che i sottoposti chiamano “Sua Mediocrità”. Gli obbedisce la classe nobiliare dei Gabellieri, cavalieri cortesi con il compito di riscuotere le gabelle (le tasse) con le buone o le cattive maniere. L’intero sistema – qui chiamato Fratellanza Universale – si regge infatti su norme di buona cittadinanza, rispettate più o meno ligiamente. Malloy è il più valoroso di loro, e quando ci viene presentato all’inizio del libro, è in procinto di portare a termine una missione con il nome in codice che lascia poco spazio all’immaginazione: Bagno di Sangue.

Lungi dall’essere rappresentato come il tipico colletto bianco sfigato di fantozziana memoria, Malloy è invece portato in palmo di mano dai suoi creatori, che ne hanno fatto un eroe picaresco che si dà un sacco di arie, possiede un’arma specialissima che si materializza grazie ad un guanto multidimensionale e si esprime in pure modo barocco (è anche misogino, ma su questo tornerò più avanti).

“Malloy è una specie di incrocio tra un avventuriero spumeggiante e un ottuso ‘servo del sistema’” mi dice Marco Taddei, che ha sceneggiato la storia. “È disegnato e si comporta proprio come un picaro, un mezzo furfante, che usa tutti i mezzi per arrivare ai suoi scopi, solo che lui lavora per i buoni, e questa assenza di scrupoli si traduce in una perfetta esecuzione degli ordini”. Simone Angelini, che l’ha disegnata, ricorre a due figure iconiche per descrivere l’unione delle due anime del protagonista: “Malloy è anche il perfetto incrocio tra Mario Monti e Indiana Jones”.

Non è cosa da tutti i giorni trovarsi a fare il tifo per un esattore delle tasse, specie se così platealmente mascalzone, così chiedo ai due autori com’è nata l’idea di dedicare una storia al dio denaro e i suoi discepoli, dopo il successo di Anubi (Grrrz), storia che avevano dedicato invece ad un moderno dio sciacallo.

“Direi che Malloy è come una lasagna a molti strati” dice Taddei, “ci piace fare i libri così, anche Anubi ha questa caratteristica, nel senso che affronta tante tematiche: una delle prime è legata, come hai detto bene tu, al dio denaro. Al denaro pensiamo ogni giorno, o meglio la vita ci costringe a pensarci ogni giorno, è diventata una vera e propria ossessione soprattutto se di primo lavoro fai il fumettista e devi pagare un affitto e le bollette – combinazione fatalissima. Comunque Malloy ha la sua scaturigine da un desiderio molto semplice, quasi ludico direi, di fare una storia di fantascienza. Ovviamente se dovevamo affrontare il “genere” dovevamo farlo secondo le nostre bizzarre regole”.

“Come Anubi nacque durante la promozione del nostro primo lavoro Storie brevi e senza pietà, così Malloy è sbucato mentre ci stavamo dedicando alla promozione di Altre storie brevi (entrambi Bel-ami edizioni)”, prosegue Angelini, “Il momento era particolare, ci trovavamo al banchetto di un mercato rionale di Roma, nel quartiere Coppedè. Col senno di poi, non poteva che nascere lì, tra bizzarre architetture e commercio di patate”.

Le bizzarre regole cui si riferisce Taddei includevano contaminare la fantascienza con il romanzo picaresco del millecinquecento. Dall’unione dei due poli non potevano che nascere dialoghi surreali come il seguente scambio telefonico tra Imperatore e Malloy:

“Per addensare il suo linguaggio così particolare mi sono ispirato al lessico fumantino e sbizzarrito di Francois Rabelais, uno degli autori che amo di più”, mi spiega Taddei, “ed è stata la parte più divertente di tutto il lavoro mescolare espressioni cinquecentesche da osteria con la quotidianità del futuro impossibile di Malloy.”

Se per il buffo eloquio del protagonista dobbiamo ringraziare Taddei, per il suo look il merito è tutto di Angelini: “Per l’abbigliamento di Malloy ho pensato a come ero vestito in quel momento, cioè un paio di jeans e una felpa con cappuccio, e da lì ho iniziato a fantasticare su cosa mi avrebbe fatto comodo e cosa mi sarebbe piaciuto avere per essere un avventuriero spaziale. Rimanendo allo stesso tempo vicino allo spirito medievale che permea tutta l’opera. Al cappuccio della felpa si è così aggiunta una visiera protettiva, una borsa a tracolla rigorosamente in pelle invece mi avrebbe permesso di portare dietro le cianfrusaglie burocratiche, mentre gli stivali “da skate” sarebbero stati comodi per mantenere agilità e grip e via dicendo”.

Faccio loro notare che Malloy è un termine usato nello slang inglese per indicare un individuo che non ha niente da perdere, gioca secondo regole che si è dato da sé, e insomma ama il caos, pur nel rispetto delle missioni che si è prefissato di portare a termine. Forse è un caso di omen nomen? Taddei ammette di non sapere di questa coincidenza, ma rilancia: “Se può essere utile per gli annali mi sono ispirato al nome del grande scalatore George Mallory, un tipetto che ha cercato di scalare – tre volte se non erro – l’Everest morendo nel tentativo. Epoche mitologiche in cui si scalavano montagne immense con i golfini della mamma. Uno spirito adatto a quello di Malloy, insomma. E siccome Mallory era troppo femminile per il nostro esattore, allora ho semplicemente tolto la r”.

“Abbiamo appurato che Malloy non è l’orsacchiotto dei cartoni”, dice Angelini riferendosi al protagonista di Brickleberry, cartoon creato dal comico Daniel Tosh. “Oltre a George Mallory ha qualcosa anche di Terry Malloy interpretato da Marlon Brando in Fronte del Porto”.

Se le citazioni iniziano a sembrarvi tante, aspettate di vedere cosa succede quando Malloy viene inviato sulla Terra per riscuotere il più grande ammanco che le casse del Paravatz abbiano mai registrato: 677 miliardi di zlon dollari – valuta corrente. Nessun Gabelliere si è mai spinto fino al bel Pianeta per richiedere il saldo delle gabelle arretrate: il compito assegnato a Malloy è senza precedenti, e a tutti gli effetti una trappola tesa dalla sua acerrima nemica Monroe; lui però non sospetta nulla e, solerte, obbedisce agli ordini partendo per un viaggio che assumerà toni psichedelici e odori mefitici.

“L’idea dei mimoidi ad esempio viene da Solaris”, mi dice Taddei iniziando ad enumerare alcune delle fonti che l’hanno ispirato. “Il ciclo di Lucky Starr di Isacc Asimov, certe cosette di Ranxerox che abbiamo usato per caratterizzare Monroe, e come detto i libri di Francois Rabelais. Ad esempio l’Agente Scruggs è una citazione letterale tratta dal libro di Emmanuel Carrère su Philip K. Dick [Io sono vivo e voi siete morti, N.d.A.]: l’agente in questione è il primissimo sbirro in cui lo scrittore incappa alimentando la sua futura e leggendaria paranoia per il controllo”. Poi si frena: “Le citazioni, consce o inconsce, sono ancora di più, ma le lascerei ai curiosoni”.

Malloy era, come molti altri, abituato a pensare alla Terra come un “paradiso di acqua fresca e boschetti verdi”, dove gli esseri umani “vivono in pace, governati saggiamente dal loro parlamento democraticamente eletto e passano il tempo dando da mangiare ai cerbiatti”. Gli basterà concludere il suo atterraggio per capire che ciò che gli è stato detto riguardo l’unico pianeta dov’è sopravvissuta la democrazia è sempre stata una menzogna. È a questo punto che il quadro sociale tratteggiato dai due autori si fa più fortemente cinico e l’allegoria con il nostro presente quasi sfrontata.

Ad esempio, quando il protagonista a un certo punto della storia entra nel palazzo del Parlamento, scopriamo che l’edificio si chiama Bildenberg come il club in cui (nel mondo reale Bilderberg Meetings) si ritrovano ogni anno un centinaio delle personalità internazionali più influenti in ambito economico e politico, tra mille teorie cospiratorie. I loro meeting sono segreti, a porte chiuse, un po’ come le sedute dove si ritrovano il Presidente della Terra e i suoi sottoposti.

I cittadini terrestri poi non hanno lavoro (perché i robot lo svolgono al loro posto) e sembrano narcotizzati dalla facilità con cui possono acquistare, consumare e ritornare ad acquistare cibo e sigarette. Alcuni di loro hanno nomi come Viagra, Facebook e Donald Trump perché i loro padri speravano ne ereditassero “determinazione, coraggio e forza”. Nei cieli volteggiano droni tuttofare e i politici sono dei corrotti opportunisti. L’unica soluzione per concedersi un lieto fine pare essere abbracciare la mediocrità, condizione in cui si può ignorare che il libero arbitrio non esista e che a decidere come debba andare il mondo siano poche entità unicellulari. Ma quello che finisce bene è davvero “bene”, in questo caso? Non c’è nulla da fare per opporsi a queste forme di strapotere?

Taddei è lapidario: “La fantascienza è svago e divertimento, ma anche uno strumento di perfetta denuncia sullo stato delle cose e assieme un organo di riflessione metafisica di amplissimo respiro. Quello che letteralmente finisce bene, non finisce nient’affatto bene. Il lieto fine non è nelle nostre corde. E quando descriviamo situazioni in cui lo strapotere vince su tutto lo facciamo per denunciare quella squallida vittoria. Lo facciamo con ironia perché pensiamo non ci sia niente di più penoso di un essere umano che ride delle sue stesse mediocri limitazioni. E con i nostri fumetti vogliamo turbare i nostri lettori non farli stare sereni”. “Solo i virus hanno potere sulla realtà, tutto il resto son castelli di sabbia costruiti da bambini”, chiosa un Angelini sacerdotale.

“Detto questo”, riprende Taddei, “noi si fa solo fumetti, non siamo specie di spicco insomma, ma se siamo così fortunati che ci venga concessa una platea riteniamo che sia giusto utilizzarla oltre che per divertirci anche per evidenziare le assurdità di questo mondo cattivo”.

E a proposito di assurdità, non posso non far loro notare che i personaggi femminili non sembrano uscire troppo bene da questo futuro di uomini lupi.

Miss Kitty, presentatrice del premio per miglior Gabelliere, dice di portare addosso una pistola perché una volta un collega ha provato a violentarla ma nessuno la prende sul serio, e successivamente, pur di avere risparmiata la vita durante la sparatoria in teatro, invoca altra violenza sessuale su di sé. Molly, la moglie del fratello di Malloy, che è una robot, viene mostrata come possessiva e gelosa. Presentata come un trabiccolo, una “condanna” da sopportare, più che una compagna da amare.

Monroe, l’antagonista di Malloy, potrebbe essere considerato l’unico personaggio femminile che si autodetermina, in grado di reagire attivamente contro la misoginia di Malloy, ma invece è ritratta come un’isterica piantagrane con una perversa passione per le lame, che ha avuto un trascorso affettivo col gabelliere e pare non essersi mai ripresa dalla loro separazione.

Insomma, non c’è nessuna donna in grado di badare a se stessa, che non mostri attrazione sessuale per l’eroe della storia (o colleghi). Un simile atteggiamento era evidente anche nel precedente Anubi, così provo a chiedere agli autori semplicemente perché, e se il trattamento riservato alle donne riflette secondo loro la discriminazione che subiscono nella società contemporanea.

“Il mondo dei nostri fumetti è un mondo pazzo e i nostri personaggi, dal protagonista all’ultima delle comparse, senza distinzione di sesso età religione, sono personaggi pazzi, squilibrati, che ragionano male, che agiscono e parlano ancora peggio. I nostri fumetti sono estremi, e come ho detto prima, non sono fatti per dare serenità”, dice Taddei, aggiungendo una postilla: “Ci tengo a dire che i personaggi femminili dei nostri lavori spesso hanno un ruolo decisivo e la loro forza, energia, decisione, apparenza sessuale non è altro che la controparte di protagonisti maschili che spesso – come in Malloy ed Anubi – portano in sé il seme del disordine e dell’incompletezza”.

C’è da dargliene atto, una storia come quella di Malloy, gabelliere spaziale, rimane sotto la pelle ben oltre il termine della lettura. È davvero un libro-lasagna: alcuni strati sono più divertenti, altri stomachevoli, altri eccezionali, altri ancora fanno imbestialire; al centro solo “inconcepibile, primordiale caos”.

Valeria Righele
Classe 1988, è una delle tre fondatrici di Soft Revolution. Non ha dubbi sul fatto che le Ice Capades fossero super.

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